Fazi editore sta recuperando la trilogia de “La famiglia Aubrey”, riportando alla luce un’importante voce della letteratura internazionale, Rebecca West, considerata una delle grandi scrittrici del Novecento – L’approfondimento sui suoi libri e la sua vita

Nel caso, alquanto ironico, di Rebecca West, la scrittrice vede la luce prendendo l’identità di un personaggio letterario: come a dire, la realtà che si traveste da finzione per creare altra arte. Oggi verrebbe definita un’operazione naif, un vezzo o una performance artistica. Dunque, prima di assumere il nome dell’eroina femminista di Henrik Ibsen, uno dei personaggi femminili più rivoluzionari, assertivi e ribelli fino ad allora mai usciti dalla penna di uno scrittore, Cicely Isabel Fairfield, era una giovane suffragetta, nata nel 1892 a Londra e cresciuta circondata da arte e letteratura in una famiglia medio-borghese di Edimburgo, pur non particolarmente benestante. La madre Isabella, scozzese, fu una musicista a cui gli impegni familiari impedirono di intraprendere la carriera da concertista, mentre il padre, Charles Fairfield, un fine politologo e pensatore che purtroppo non riuscì mai nell’intento di sostenere economicamente la famiglia. Una vicenda che diventerà materiale per il maggior lavoro narrativo di West, la trilogia de La famiglia Aubreyopera che, grazie alla nuova traduzione di Francesca Frigerio per Fazi editore, permette anche al pubblico italiano di riscoprire “una delle più raffinate prosatrici del ventesimo secolo”, nella definizione della Columbia Encyclopedia. Non di rado accostato a Piccole donne di Louisa May Walcott perché narra il destino turbolento di una famiglia a tutti gli effetti matriarcale, in cui la sorellanza è il vero perno: a guidarci è infatti Rose, la figlia di mezzo che incarna la stessa West, che mostra la vita del ceto medio-borghese all’interno della società inglese di fine Ottocento. Il titolo originale dell’opera, The Fountains overflow, riprende un verso di William Blake, “The cistern contains: the fountain overflows” che esplicita la natura liquida di quest’opera e il modo in cui il tempo viene rappresentato. Il tempo della letteratura rispecchia quello della vita, ondivago e fluttuante, che non prosegue lineare o scandito da eventi.

La famiglia Aubrey Fazi Editore

Ne La Famiglia Aubrey, opera della maturità, West ha messo tutta la sua vita e il ricordo della sua adolescenza: il lettore lo apprende dalla lettura di altri suoi scritti pubblicati all’inizio della sua attività e raccolti in Italia nel volume Non è che non mi piacciano gli uomini, edito nel 2012 da Mattioli 1885. Il libro si compone di due brevi scritti (un racconto e un personal essay) in cui l’autrice entra nel merito delle questioni famigliari che l’hanno afflitta in giovinezza e che hanno tanto influenzato il suo impegno nella lotta dei pari diritti di genere: in particolare viene messo in discussione il ruolo sociale del matrimonio e la disuguaglianza tra i generi che supporta, tanto da portarla a dichiarare: “Non è che non mi piacciano gli uomini. Mi piacciono molto. In realtà, non credo che potrei sopportare la vita se non fosse per la compagnia degli uomini. Eppure sento che il matrimonio, permanente, pubblico e favorito dallo Stato, sia l’atto più sconsiderato che esista.” Il modello di matrimonio dei genitori influenzerà per sempre la sua visione di questa istituzione, terminando infatti la dissertazione con questa rivelazione: “Invidio moltissimo coloro che muovono i primi passi da un porto sicuro, con un buon padre, oltre che una buona madre e che non nutrono risentimenti profondi che distorcono la loro visione del mondo.”

Per quanto l’attitudine femminista sia al centro di molti suoi scritti, la definizione di femminismo andava stretta alla scrittrice: “Non sono mai stata in grado di dire cosa fosse esattamente il femminismo; la gente mi definisce femminista quando esprimo sentimenti che mi rendono diversa da uno zerbino o una prostituta”. A fare la grandezza di questa autrice è piuttosto un’ampia prospettiva umanista e l’eclettismo, fattore che al tempo stesso potrebbe averle causato difficoltà di catalogazione e quindi un precoce abbandono. West in vita si è distinta più come reporter e saggista che come romanziera, e viene ricordata soprattutto per aver raccontato i grandi rivolgimenti che affliggevano il mondo prima e dopo la Seconda Guerra mondiale. Le altre opere dell’autrice inglese infatti per la maggior parte non sono edite in Italia: A Train of Powder (1955) è il suo reportage relativo ai Processi di Norimberga per The New YorkerThe Meaning of Treason, e più tardi The New Meaning of Treason, sulla Seconda guerra mondiale e sull’Unione Sovietica. Ma a venire ricordato unanimemente come il suo testo più influente è Black Lamb and Grey Falcon – A journey through Yugoslavia, un tomo di oltre mille pagine in cui riporta le sue tre esperienze di viaggio nei Balcani e l’allora neonata Jugoslavia tra il 1936 e il 1938.

Black Lamb and grey falcon

Tuttora considerato un testo di riferimento per chiunque cerchi di capire la storia e la cultura balcanica, l’obiettivo di West per questo libro era di “mostrare il passato fianco a fianco con il presente che ha generato”. La pubblicazione del libro coincise con l’invasione nazista della Jugoslavia, e West fece aggiungere una prefazione in cui elogia il coraggio del popolo contro la Germania. Si tratta di un libro che è molto più di una guida di viaggio, ma un ritratto assai complesso non solo dell’anima dell’autrice ma anche di tutta l’Europa alle porte della guerra. Victoria Glendinning, autrice della biografia di West, non ha dubbi che Black Lamb and Grey Falcon sia “il libro cardine della sua vita… l’opera in cui Rebecca West ha formulato le sue visioni sulla religione, l’etica, l’arte, il mito e il genere”. Storia e geografia sono due aspetti della stessa medaglia che non possono essere sempre distinti l’uno dall’altro e questo libro di West è una lezione di come la letteratura di viaggio possa trasformarsi in un modello esemplare per raccontare una cultura straniera.

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