Pubblicato nel 1994, “Sostiene Pereira”, è uno dei libri più celebri di Antonio Tabucchi (1943 – 2012). La storia inizia una mattina d’estate del 1938, a Lisbona, nel pieno del regime di Salazar. Pereira è un uomo anziano e abitudinario, direttore della pagina culturale di un modesto giornale locale del pomeriggio. Occuparsi solo di letteratura lo tiene lontano dalla vita vera, da quello che sta accedendo in Portogallo. La scelta di non interessarsi alla politica lo fa apparire, almeno inizialmente, come una figura mediocre e inetta. Ma Pereira non rientra nella categoria degli antieroi del Novecento, perché non è un personaggio ambiguo, incapace di prendere una posizione: è semplicemente addormentato. Il romanzo descrive una una sorta di risveglio, che trasforma la sua natura di uomo… – L’approfondimento

Pubblicato nel 1994, Sostiene Pereira è uno dei libri più celebri di Antonio Tabucchi (1943 – 2012). Nell’anno stesso della pubblicazione il romanzo riceve il Premio Campiello, dopo aver ottenuto già diversi riconoscimenti, mentre nel 1995 il regista Roberto Faenza ne trae il film omonimo, con Marcello Mastroianni nel ruolo del protagonista.

sostiene pereira

La storia inizia una mattina d’estate del 1938. Pereira, il direttore della pagina culturale del Lisboa, un modesto giornale locale del pomeriggio, si trova in redazione a riflettere sulla morte. Non è una novità per lui. Quando era bambino suo padre gestiva un’agenzia di pompe funebri, e da qualche anno sua moglie è morta di tisi.

La morte è un pensiero ricorrente, anzi, un interrogativo a cui bisogna trovare risposta. In particolare, quello che più lo lascia perplesso, da buon cattolico, è la resurrezione della carne. Pereira crede nella resurrezione dell’anima, “sì, certo, perché era sicuro di avere un’anima; ma tutta la sua carne, quella ciccia che circondava la sua anima, ebbene, quella no, quella non sarebbe tornata a risorgere, e poi perché?, si chiedeva Pereira. Tutto quel lardo che lo accompagnava quotidianamente, il sudore, l’affanno di salire le scale, perché dovevano risorgere?”.

Per questo rimane molto colpito, quella mattina di luglio, quando si imbatte per caso nell’articolo di una rivista letteraria d’avanguardia. C’è scritto: “Il rapporto che caratterizza in modo più profondo e generale il senso del nostro essere è quello della vita con la morte, perché la limitazione della nostra esistenza mediante la morte è decisiva per la comprensione e la valutazione della vita“. Il pezzo è firmato da un certo Monteiro Rossi.

Pereira non sa spiegarsi il perché, ma viene colto dal desiderio di contattarlo. Lo chiama e lo incontra a una festa della gioventù salazarista (siamo nel pieno della dittatura di Salazar, alla vigilia di uno dei periodi più bui della storia del Portogallo): Monteiro Rossi è un giovane anarchico con una ciocca di capelli che gli cade sulla fronte. Non è come se lo aspettava. Il ragazzo è energico, solare: ama la vita. Al contrario di Pereira, che invece è interessato soltanto alla morte.

Nonostante non corrisponda esattamente alle sue aspettative, c’è qualcosa che lo affascina in questo individuo che riempie tutti i suoi discorsi di teorie socialiste e anarchiche. Così decide di farlo collaborare al Lisboa, come redattore di necrologi. I testi che scrive Monteiro Rossi, però, non vanno bene e non potrebbero mai essere pubblicati senza correre il rischio di essere censurati dal regime.

Pereira lo rimprovera, si lamenta, lo corregge. Eppure, invece di cestinare i suoi articoli, decide di conservarli. Anche in questo caso, non sa spiegarsi il perché. C’è da dire che, oltre a essere un buon cattolico, direttore della pagina culturale di un modesto giornale locale, Pereira è un uomo tremendamente preciso e abitudinario. Un uomo che non ama infrangere le regole, anzi: fa di tutto per comportarsi senza destare la minima attenzione. Ogni giorno si reca nello stesso bar, il Cafè Orquidea, dove consuma sempre il solito pasto: omelette e limonata. Tutte le sere, prima di andare a dormire, si rivolge al quadro della moglie deceduta, e parla con lei. Le racconta quello che ha fatto, i suoi pensieri, le sue paure. Non c’è niente che possa turbare la sua quotidianità. Del resto anche il lavoro che ha scelto lo porta a condurre un’esistenza il più tranquilla possibile.

Occuparsi solo di cultura e letteratura tiene lontano Pereira dalla vita vera, da quello che sta accedendo a Lisbona. La scelta di non interessarsi alla politica lo fa apparire, almeno inizialmente, come una figura mediocre e inetta, soprattutto a confronto con Monteiro Rossi, che invece rappresenta l’azione, la passione, l’impegno civile.

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Ma Pereira non rientra nella categoria degli antieroi del Novecento, perché non è un personaggio ambiguo, incapace di prendere una posizione: è semplicemente addormentato. Il romanzo è una sorta di risveglio che lo porta da uno stato d’intorpidimento a uno stato di attività. Il cambiamento di Pereira (in fondo si può dire che il libro è un vero e proprio Bildungsroman) riguarda la sua natura di essere umano, che da uomo di pensiero si trasforma in uomo d’azione.

Se all’inizio lo troviamo mentre dice: “Non è facile fare del proprio meglio in un paese come questo, per una persona come me, io non sono Thomas Mann“, alla fine Pereira si rivela capace di schierarsi politicamente contro le ingiustizie del regime.

Il percorso consiste in una graduale presa di consapevolezza. Pensando a Monteiro Rossi e a Marta, la donna di cui il ragazzo è innamorato, Pereira riflette: “Se loro avessero ragione la mia vita non avrebbe senso, non avrebbe senso aver studiato lettere a Coimbra e aver sempre creduto che la letteratura fosse la cosa più importante del mondo, non avrebbe senso che io diriga la pagina culturale di questo giornale del pomeriggio dove non posso esprimere la mia opinione e devo pubblicare racconti dell’Ottocento francese, non avrebbe senso più niente, ed è di questo che sento il bisogno di pentirmi, come se io fossi un’altra persona e non il Pereira che ha sempre fatto il giornalista, come se io dovessi rinnegare qualcosa”.

Quale mezzo usa per ribellarsi? Quello di cui si è sempre servito: la parola. Pereira è un giornalista, un intellettuale e non potrebbe certo diventare improvvisamente un combattente armato (è anche piuttosto anziano). A cambiare, infatti, è la sua concezione di letteratura, interpretata non più come un rifugio dalla realtà, ma come uno strumento per intervenire in essa. Così, mentre nel corso della storia il personaggio attraversa il suo arco di trasformazione, contemporaneamente anche il romanzo di Tabucchi si trasforma, ponendo una riflessione sul ruolo sociale di chi scrive e diventando esso stesso un manifesto politico letterario.

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