“Ne ‘L’amica geniale’ tutto somiglia sinistramente a un antimanuale di sceneggiatura televisiva. Nessun ammiccamento, nessun teaser per agganciare il pubblico, nessuna facilitazione allo spettatore”. Su ilLibraio.it lo sceneggiatore e scrittore Salvatore Basile, partendo dall’analisi della serie tratta dal libro di Elena Ferrante, sviluppa una riflessione sull’evoluzione del linguaggio televisivo: “La tv generalista ha utilizzato per anni un tipo di linguaggio narrativo tradizionale, penalizzando l’intero comparto creativo. Ma col tempo le cose sono cambiate. Il primo passo è stato compiuto da Netflix, che ha offerto la possibilità di guardare le serie ovunque, in casa e fuori, interrompendo e ricominciando esattamente dove sono state interrotte. Cosa ci ricorda? Pensateci bene… Ma sì: il libro!”

Lo confesso subito: il successo della serie tratta da L’amica geniale di Elena Ferrante, su Rai 1, mi ha fatto esultare come Marco Tardelli ai mondiali del 1982. Anche come addetto ai lavori. E non solo perchè il successo di una fiction fa bene a tutto il comparto e incoraggia a produrre nuovi lavori, ma soprattutto perchè è un successo che segna un punto di arrivo e di (ri)partenza per l’audiovisivo italiano. 

All’inizio, lo ammetto, ho tremato: la partenza con una lunga esposizione dei personaggi, il dialetto stretto supportato dai sottotitoli… tutto somigliava sinistramente a un antimanuale di sceneggiatura televisiva. Nessun ammiccamento, nessun teaser che agganciasse il pubblico, nessuna facilitazione allo spettatore. Anni e anni di ricerche, di studi, di verifiche e indagini, invece, ci avevano mostrato come il pubblico televisivo fosse una categoria particolare, bisognosa di artifici narrativi che facilitassero la comprensione immediata del prodotto “altrimenti cambiano subito canale perchè, di sera, mentre cenano, vogliono soprattutto rilassarsi”. 

Per molti anni, il metodo rassicurante ha funzionato e, per certi versi, funziona ancora. Lo testimoniano le fiction vecchio stampo che riscuotono ancora successo, i reality che ancora galleggiano e i programmi di puro intrattenimento. Ma è un fenomeno ancorato al cosiddetto zoccolo duro dell’auditel, la classica famiglia che va dai nonni ai nipotini e che costituisce, ancora oggi, un notevole serbatoio di  pubblico della TV generalista a cui bisogna comunque e giustamente dar conto. 

Però molte cose stanno cambiando e, proprio il successo de L’amica geniale lo testimonia.

Il pubblico, stavolta, nonostante i sottotitoli, la difficoltà di comprensione, ha prestato attenzione, la stessa attenzione che occorre quando si legge un libro, ciò anche grazie al materiale narrativo di inusitata potenza quale è quello dei romanzi di Elena Ferrante.  

E così, al cosidetto zoccolo duro della TV generalista, si è andato a sommare il pubblico più smaliziato, quello delle piattaforme alternative come Netflix, Sky, Prime. Proprio quel pubblico che, generalmente, snobba la TV, interessato ad altri tipi di narrazione. Di ciò va dato merito alla Rai per il coraggio mostrato e per il cammino verso l’innovazione già intrapreso da molti anni e che ora, finalmente, comincia a dare i primi, importanti frutti. 

Ne avevamo già parlato: per lungo tempo, il duopolio delle TV generaliste, obbligato per ragioni di mercato a un certo tipo di linguaggio narrativo tradizionale, aveva penalizzato l’intero comparto creativo, dalle emittenti stesse agli sceneggiatori, ai registi, agli attori. Tutti impossibilitati a sperimentare, provare nuove strade narrative, per il semplice fatto che non esistevano nicchie di mercato in cui poter riversare nuovi tipi di linguaggio, anche a costo di non guadagnare un grande seguito di spettatori come, invece, era possibile fare all’estero. Ma proprio col tempo, le cose sono cambiate grazie all’avvento delle nuove piattaforme che hanno introdotto, anche in Italia, una rivoluzione nello stile e nelle modalità di racconto. 

Cerchiamo di capire cosa sia successo e cosa è destinato ad accadere.

Il primo passo verso la rivoluzione è stato compiuto da Netflix, seguito poi da Prime e ultimamente anche da Raiplay. E la rivoluzione è partita dal mezzo di comunicazione: non più l’apparecchio televisivo, ma il computer. Trasportabile, compatto, collegabile in qualunque posto dotato di connessione. In poche parole, Netflix ha deciso di trasmettere i film e le serie su qualcosa che ti segue ovunque, in casa e fuori.  

Il primo effetto è stato l’abbattimento dei palinsesti: nessun orario da seguire o a condizionare lo spettatore, ma soprattutto la fine dell’attesa tra una puntata e l’altra. Le serie, infatti, sono state rese immediatamente disponibili nella loro interezza, puntata dopo puntata, in un momento in cui perfino Sky, allora considerato innovativo, seguiva la cadenza settimanale tipica dei broadcaster tradizionali. Ciò ha dato il via al fenomeno del binge watching: una sorta di festa della fruizione che permette di godersi le serie preferite senza sosta, finché si vuole o finquando non si è stanchi.

Altra rivoluzione: quando riaccendi il computer e ti ricolleghi con la piattaforma, la serie ricomincia esattamente dal momento in cui l’hai interrotta.

Cosa ci ricorda? Pensateci bene… Ma sì: il libro! 

Lo portiamo con noi, possiamo leggere in qualunque momento, interrompere quando vogliamo e… riprendere dalla pagina in cui abbiamo interrotto la lettura e sistemato il segnalibro. Un’intuizione geniale, supportata dal fatto che la serialità, ormai, somiglia terribilmente al romanzo letterario, grazie al tempo di approfondimento dei personaggi e degli avvenimenti che consente rispetto al film o alla miniserie che hanno una durata limitata a poche ore. Non è un caso se anche RaiPlay stia seguendo lo schema del binge watching, così come Prime e la stessa Sky con l’on demand. 

Non è un caso, inoltre, se la maggior parte delle serie di maggior successo sono tratte da opere letterarie. Seguendo il cambiamento, anche la Rai sta attingendo dai vari Camilleri (Il commissario Montalbano), Ferrante (L’amica geniale), de Giovanni (I bastardi di Pizzofalcone), Manzini (Rocco Schiavone), Gazzola (L’allieva). E tanti ancora ne sono in cantiere: personalmente, per esempio, sto terminando le sceneggiature del Commissario Ricciardi (ancora Maurizio de Giovanni) e de Le luci nelle case degli altri di Chiara Gamberale.

Ma c’è un ulteriore risvolto: se la serialità di successo attinge alla letteratura, gli autori dell’audiovisivo sono, fatalmente, spinti a creare, da subito e nel futuro, per quanto riguarda le sceneggiature originali, storie che assomiglino alle opere letterarie per profondità, caratteristiche tridimensionali dei personaggi, ambientazioni e contenuti. Storie che possano stare bene in quel contenitore che somiglia sempre di più a un libro. 

Anche perché, in fin dei conti… è proprio dei cari, “vecchi” libri che non si può e non si potrà mai fare a meno.

L’AUTORE – Salvatore Basile è nato a Napoli e vive a Roma, dove fa lo sceneggiatore e regista. Ha scritto e ideato molte fiction di successo, tra cui Don Matteo. Dal 2005 insegna scrittura per la fiction e il cinema presso l’Alta Scuola in Media Comunicazione e Spettacolo dell’Università Cattolica di Milano. Ha esordito nella narrativa con il romanzo Lo strano viaggio di un oggetto smarrito, a cui poi è seguito La leggenda del ragazzo che credeva nel mare, entrambi pubblicati da Garzanti.

Alla pagina dell’autore gli articoli scritti da Salatore Basile per ilLibraio.it.

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