Come si legge nei Vangeli, Gesù ha invitato i suoi seguaci a superare tabù alimentari e regole religiose, perché se ci si divide a tavola poi si corre il rischio di separarsi anche nella vita. Ma non sarà facile per i cristiani comprendere l’invito alla libertà e liberarsi da regole e precetti… La riflessione del biblista frate Alberto Maggi, che ci porta al presente

CATENE ALIMENTARI

“Per Dio è stato più facile far uscire gli ebrei dall’Egitto che l’Egitto dagli ebrei”. Questo detto rabbinico insegna che è più facile essere liberati dalle prigioni esteriori che da quelle interiori. Le catene che incarcerano gli uomini vengono vissute come un impedimento alla libertà e chi può cerca di liberarsene; quelle che vengono invece accolte nel più intimo delle persone non sono considerate una prigionia ma, al contrario, fondamentali per la propria sicurezza individuale. Da queste non è possibile essere liberati, almeno finché la persona non ne prende coscienza, come le catene che cadono dalle mani di Pietro (At 12,7) e le squame dagli occhi di Paolo (At 9,18).

 

Gesù è venuto per liberare gli uomini da ogni forma di prigionia, specialmente da quelle accettate in nome della religione in quanto non considerate una privazione della libertà, ma la giusta obbedienza al volere divino. Gesù ha liberato gli uomini da un rapporto con Dio basato sull’osservanza di leggi, precetti, regole. Il credente, per Gesù, non è colui che obbedisce a Dio osservando le sue leggi, ma colui che assomiglia al Padre praticando un amore simile al suo (Lc 6,36). Nel processo di liberazione da tutte quelle schiavitù che impediscono piena libertà agli uomini, Gesù osa affrontare una verità indiscussa, quella della distinzione degli animali puri da quelli impuri, sancita dalla parola divina nel Libro del Levitico. Un intero capitolo di questo libro è consacrato alla distinzione tra gli animali dei quali è permesso cibarsi e quelli proibiti in quanto rendono impuro l’uomo con il solo contatto fisico (Lv 11; Dt 14,3-21), e in tale distinzione non c’è alcun criterio logico. È inutile cercare una spiegazione razionale; non è permesso cibarsi di certi animali semplicemente perché così è scritto, perché questa è la volontà del Signore e come tale eterna e immutabile. Infatti è difficile comprendere perché sia proibito mangiare “la lepre, perché rumina” (sic!) (Lc 11,6), o trovare una spiegazione ragionevole sul perché sia possibile cibarsi di “ogni specie di cavalletta, ogni specie di locusta, ogni specie di acridi e ogni specie di grillo” (Lv 11,22) e sia invece proibito mangiare il maiale (Lv 11,7). Inutile cercare spiegazioni: sono regole di santità e vanno osservate in obbedienza all’imperativo del Signore “Siate santi, perché io sono santo” (Lv 11,44).

Gesù cercherà (con poco successo) di aprire gli occhi alle folle, soprattutto ai suoi discepoli, e di farli ragionare: “Non capite che tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può renderlo impuro, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va nella fogna?” (Mc 7,18-19). La relazione con Dio non può dipendere dal cibo che si mangia, ma dal rapporto con gli uomini (“Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo”, Mc 7,20). Per l’evangelista Marco, Gesù “così rendeva puri tutti gli alimenti” (Mc 7,19), smentendo di fatto il Libro del Levitico. Quel che Gesù ha detto è talmente grave che poi subito dopo dovrà rifugiarsi all’estero, “nella regione di Tiro” (Mc 7,31), in terra pagana.

Per Gesù l’alimentazione è importante, ma non per quel che riguarda il rapporto con Dio, bensì per quel che concerne le relazioni con gli uomini, e quando si supera il divieto di mangiare cibi proibiti, si arriva finalmente a condividere il proprio pranzo anche con quelle persone che la religione considerava impure (“I farisei e i loro scribi mormoravano e dicevano ai suoi discepoli: Come mai mangiate e bevete insieme ai pubblicani e ai peccatori?”, Lc 5,30).

Gesù insisterà nel suo insegnamento, invitando i suoi seguaci a superare tabù alimentari e regole religiose, perché se ci si divide a tavola poi si corre il rischio di separarsi anche nella vita. Per questo Gesù tornerà a invitare i suoi discepoli a superare i divieti del Levitico, evitando di creare problemi se ci si trova di fronte a cibi non in linea con le proprie convinzioni religiose:  “restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno” (Lc 10,8). Insistentemente Gesù chiede ai discepoli “mangiate quello che vi sarà offerto” ( Lc 10,8), senza pregiudizi o preclusioni, vincendo la tentazione di andare a cercare ospitalità presso famiglie più osservanti della legge mosaica. “Non passate da una casa all’altra!” (Lc 10,7) è il suo ordine imperativo.

A tavola la relazione con l’altro è più importante delle proprie convinzioni etiche o religiose; se si rifiuta un determinato alimento o si evita un cibo, inevitabilmente si crea una frattura con gli altri commensali e il cibo, da fattore di comunione, si trasforma in elemento di divisione. Paolo invita addirittura a entrare nelle case dei pagani (“Se un non credente vi invita e volete andare, mangiate tutto quello che vi viene posto davanti, senza fare questioni per motivo di coscienza”, 1 Cor 10,27) e chiede ai credenti di liberarsi da “precetti quali: “Non prendere, non gustare, non toccare” (Col 2,21), tutte regole che hanno una “parvenza di sapienza con la loro falsa religiosità” e che in realtà non solo non servono a nulla, ma sono addirittura nocive: “non hanno alcun valore se non quello di soddisfare la carne” (Col 2,23).

Ma non sarà facile per i cristiani comprendere l’invito alla libertà di Gesù e liberarsi da regole e precetti che erano ritenuti sacrosanti e fondamentali nella religione. Ancora molti anni dopo la risurrezione del Cristo, Pietro mostrerà resistenza e attaccamento alla tradizione: all’invito del Signore che, dopo avergli mostrato in una grande tovaglia tutti gli animali della terra e del cielo, gli comandò “Coraggio, Pietro, uccidi e mangia!”, Pietro obiettò: Non sia mai, Signore, perché non ho mai mangiato nulla di profano o di impuro. E la voce di nuovo a lui: Ciò che Dio ha purificato, tu non chiamarlo profano” (At 10,13-15). Quando finalmente Pietro comprende il messaggio del suo Signore, capisce che non si trattava solo di cibo ma di relazioni umane, e che se si superano i tabù alimentari cade anche il muro che separa dagli altri, e Pietro accoglie i pagani proclamando una grande verità: “Voi sapete che a un Giudeo non è lecito aver contatti o recarsi da stranieri, ma Dio mi ha mostrato che non si deve chiamare profano o impuro nessun uomo” (At 10,28).

Il processo di liberazione innescato da Gesù deve però essere continuo, altrimenti, liberati dalle catene imposte dalla religione, si corre il rischio di crearsi da soli altre forme di ideologie, convinzioni, mode, ossessioni, fisime, che si trasformano in schiavitù dalle quali sarà pressoché impossibile liberarsi, e la “condizione di quell’uomo diventa peggiore della prima” (Mt 12,45).

 

L’AUTORE – Alberto Maggi, frate dell’Ordine dei Servi di Maria, ha studiato nelle Pontificie Facoltà Teologiche Marianum e Gregoriana di Roma e all’École Biblique et Archéologique française di Gerusalemme. Fondatore del Centro Studi Biblici«G. Vannucci» a Montefano (Macerata), cura la divulgazione delle sacre scritture interpretandole sempre al servizio della giustizia, mai del potere. Ha pubblicato, tra gli altri: Chi non muore si rivede – Il mio viaggio di fede e allegria tra il dolore e la vitaRoba da preti; Nostra Signora degli eretici; Come leggere il Vangelo (e non perdere la fede)Parabole come pietreLa follia di Dio e Versetti pericolosi. E’ da poco uscito per Garzanti L’ultima beatitudine – La morte come pienezza di vita.

Qui tutti gli articoli scritti da Alberto Maggi per ilLibraio.it.

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