“Facciamo finta che in un futuro il mestiere del virtual-life coach esista davvero (alla fine, sarebbe niente più che un social media manager fuso a un personal trainer e a un analista finanziario). Fingiamo che io svolga esattamente quel mestiere e quindi non sia qui a considerare quanti romanzi, quanti tramonti, quante persone io stessa avrei potuto incontrare se non fossi dotata di un pollice opponibile per scrollare uno schermo. Quali consigli potrei dare ai miei clienti per massimizzare l’utile del tempo speso sui social?” – Su ilLibraio.it la riflessione di Giulia Rossi, in libreria con il suo libro d’esordio, “È così che si fa”

In una puntata della serie tv Black Mirror, ambientata in una sorta di futuro distopico, la vita virtuale e la vita reale hanno finito per compenetrarsi a tal punto che le persone camminano per la strada con un numero che pulsa luminoso sulla propria fronte: corrisponde alla media dei giudizi ricevuti sui propri profili social e ha finito per essere non solo il criterio ultimo attraverso cui gli altri si fanno un’opinione delle persone, ma anche una sorta di versione futuristica dello status sociale: vuoi accedere a nuove cure sperimentali contro il cancro? La lista d’attesa viene determinata dal tuo punteggio online. Vuoi comprare una casa? Per le ville più lussuose devi valere almeno 4,5.

Il discorso, superfluo dirlo, è portato oltre il confine della realtà, ma consente l’avvio di una riflessione viceversa molto realistica: possiamo ancora dire che la vita è ciò che ci succede quando non siamo sui social? Anche senza un numero pulsante sulla fronte, infatti, la sensazione è che la nostra vita online abbia permeato così profondamente il reale da far sì che la distinzione sia sfumata in un unicum indistinto. La protagonista di Black Mirror vive anche la più piccola azione quotidiana come inconsapevolmente già “filtrata”, in senso lato e non, dall’ipotesi di poter essere in seguito condivisa.

Per ottimizzare il proprio punteggio nel minor tempo possibile, si rivolge a quello che potremmo definire un virtual-life coach: “Gli utenti percepiscono la falsità”, sostiene l’analista. “Sia solo se stessa. Gesti spontanei, è questo il segreto”. Questa riproduzione di spontaneità, che in quanto tale diventa soltanto parodia di genuinità, fa sì che a essere vera rimanga soltanto quella che si potrebbe chiamare meta-genuinità: che tu posti la foto del tuo sedere al mare citando Bukowski o un romanzo di Bukowski in cui si cita un sedere (esiste?), la scelta in sé rimane vera, anche se Bukowski non l’hai mai letto e il tuo sedere ha un filtro anti-cellulite. È il fatto che tu abbia scelto di esporre al mondo quel contenuto e non un altro a dire qualcosa di sicuramente vero di te, perfino laddove l’autenticità si limitasse a quale immagine non autentica di te vuoi proiettare.

Sono abbastanza certa che tutto ciò, in un futuro non troppo futuro e non troppo distopico, potrà sfociare in una sorta di “social schizofrenia” diagnostica dall’OMS, ma voglio per un secondo tralasciare le riflessioni psicologiche o filosofiche, uno perché sono argomenti su cui si è già parlato a sufficienza e in modo sicuramente più autorevole di me, due perché rischierei di cadere nel retorico con un manifesto anti-social, che oltretutto non rispecchierebbe come la penso davvero. 

Voglio perciò fare una riflessione meramente utilitaristica, quasi economica: diamo per assodato che passiamo quasi due ore al giorno sui social network e prendiamo il dato in modo asettico, come un fatto neutrale. Facciamo finta che in un futuro il mestiere del virtual-life coach esista davvero (alla fine, sarebbe niente più che un social media manager fuso a un personal trainer e a un analista finanziario). Fingiamo che io svolga esattamente quel mestiere e quindi non sia qui a considerare quanti romanzi, quanti tramonti, quante persone io stessa avrei potuto incontrare se non fossi dotata di un pollice opponibile per scrollare uno schermo. Quali consigli potrei dare ai miei clienti per massimizzare l’utile del tempo speso sui social? 

Io credo che lavorerei su una parola: core-business. Scegli una cosa, due, cinque al massimo. Può essere la passione che ti fa alzare al mattino o una causa che ti sei preso a cuore. E usa i social per quello. La foto al piatto ogni tanto non è un dramma, i virtual life coach non sono qui per giudicarti. Però, anche se magari in futuro non si userà più dire che il tempo è denaro, di sicuro il tempo, da che mondo è mondo, rimarrà tempo. E sarà sempre un peccato sprecarlo.

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L’AUTRICE E IL SUO DEBUTTO NARRATIVO – Giulia Rossi (nella foto di Grazia Ippolito, ndr) è laureata in Filosofia e si occupa di comunicazione e formazione in ambito digitale. È così che si fa è il suo primo romanzo: se chiedessimo al professor Federico Gastaldi quando tutto è cominciato, lui risponderebbe d’istinto: “Quel pomeriggio d’ottobre. Proprio nel momento in cui mia moglie aveva più bisogno di me, io avevo altro per la testa e non ho nemmeno sentito il telefono. Da allora mi è andato tutto storto, e ho commesso fin troppi sbagli…”. Il romanzo, invece, inizia qualche mese dopo, una mattina di maggio, quando a scuola – un liceo classico di una cittadina di provincia – viene trovato un biglietto anonimo che subito viene fotografato e condiviso sulle chat di WhatsApp. È una confessione, uno sfogo, forse una lettera d’addio. Per gli insegnanti, l’autore è di sicuro uno studente, ma chi? L’ultimo a sapere dell’accaduto è come al solito Federico, che tornato a casa si accorge di avere il telefono pieno di notifiche. Legge i messaggi allarmati dei colleghi, infila la mano nella tasca dei pantaloni e impreca… Ha perso quello stupido biglietto, scritto di getto all’alba, e proprio nei corridoi della scuola! Nel giro di un paio di giorni, il biglietto diventa virale su Facebook e la storia monta a tal punto da interessare persino giornali e televisione. Ma un risvolto positivo in questa faccenda c’è. Mentre è freneticamente impegnato a non farsi scoprire e a proteggere la sua vita privata dalla curiosità dei social, Federico ha l’occasione di affrontare tutto ciò che è accaduto da quel famoso pomeriggio di ottobre a quella mattina di maggio. E così anche i lettori, rivelazione dopo rivelazione, impareremo a conoscere davvero Federico, un brav’uomo che si è scoperto fin troppo fragile, al punto da commettere un ultimo, imperdonabile errore. Vittoria, una moglie allo stesso tempo presente e assente. E Matilde, una studentessa diversa dalle altre: testarda, intelligente e… innamorata. E assieme a loro ci renderemo conto che non c’è più posto per alibi, bugie e scorciatoie…

 

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