“X-Files racconta tutte le paure degli anni novanta descrivendo il mondo attraverso una lente di pura, emozionante, paranoia…”. Arriva l’11esima, e probabilmente ultima, stagione della serie cult, e la scrittrice Giusi Marchetta su ilLibraio.it spiega perché è stato impossibile resistere al fascino dei due protagonisti, Mulder e Scully – Un sentito racconto generazionale

Quando avevo quindici anni tutti volevano sapere che fine aveva fatto Laura Palmer. Io mi ero persa del tutto Twin Peaks e della serie di Lynch sapevo solo che era inquietante e che anche a guardarla religiosamente si rischiava di non capirci nulla.

Non ho mai rimediato. Non ho fatto in tempo. Prima che me ne potesse importare qualcosa di Laura Palmer, Chris Carter aveva già inventato la scomparsa di Samantha cambiando per sempre la vita di Fox Mulder e la mia.

Siamo nel 1993. FBI. Per tenere sotto controllo lo spettrale agente Fox Mulder che si occupa in maniera troppo libera di indagare casi all’apparenza inspiegabili, gli X-Files, i grandi capi spediscono nel suo ufficio nel seminterrato una giovane patologa, con seconda laurea in fisica e un’indiscussa passione per la scienza.

Così, una sera come tante, Dana Scully ha fatto la sua comparsa nella programmazione di Italia1; con lei abbiamo accompagnato Mulder in Oregon e da lì in ogni angolo buio d’America, a caccia di possibili alieni, scoprendo che dietro l’ossessione per i casi paranormali trascurati dall’FBI si nasconde ancora aperta la ferita di Samantha, la sorellina rapita dagli alieni da bambina.

È stato l’inizio di un viaggio durato nove anni: un percorso a ostacoli fatto di rapimenti alieni, serial killer, fantasmi, golem, vampiri, mutanti, chupacabra, sanguisughe giganti, esperimenti genetici falliti, segretissime operazioni di un governo ombra deciso a impadronirsi del pianeta, tutto affrontato in nome della verità che doveva essere da qualche parte là fuori. Un’ottima idea per una serie: poteva bastare per farne uno show che durasse un paio d’anni.

C’era dell’altro, però e alcuni di noi se ne sono accorti subito: con ogni puntata appariva più chiaramente che il coraggio idealista di Mulder e il suo bisogno di conoscere la verità non sarebbe bastato ad arrivare fino in fondo e che la razionalità scientifica di Scully non le avrebbe permesso da sola di prevalere sul caos di un mondo più complesso e sfuggente di quello in cui credeva.

X-Files non era più solo la storia di una terrificante agenzia di uomini di potere che cospiravano per dominare il mondo con il supporto di una razza aliena interessata a colonizzarci: era la storia di Mulder e Scully, due persone affascinanti e incomplete che avevano bisogno l’uno dell’altra per combattere mostri che nessun altro voleva affrontare. Per questo di Mulder e Scully ci siamo innamorati. Dateci torto.

Sarebbe difficile sintetizzare un universo così vario come quello che Chris Carter e gli altri scrittori hanno prodotto nel corso di nove anni di serialità ininterrotta (anche 24 episodi per volta, una follia se consideriamo che oggi, comedy a parte, una serie ben scritta prevede al massimo una dozzina di puntate a stagione). Ci proveremo dicendo che X-Files racconta tutte le paure degli anni novanta descrivendo il mondo attraverso una lente di pura, emozionante paranoia. È un mondo che precede l’undici settembre, l’Isis, gli smartphone e il complottismo di massa: pensare a qualcuno che tramasse nell’ombra o a una possibile tecnologia in grado di controllare le nostre vite era ancora solo lievemente inquietante, una possibilità che avrebbe potuto non concretizzarsi. Anzi, a guardare oggi le puntate di quegli anni si sorride sinceramente dei floppy disk e delle segreterie telefoniche, degli snodi narrativi incentrati sulle telefonate a casa di un personaggio appena uscito.

Le limitazioni del resto sono sempre state parte delle trame come l’utilizzo di Vancouver come unico set delle prime cinque stagioni che ha reso indimenticabili le storie ambientate nei boschi e nelle piccole cittadine di un finto midwest, o l’immancabile buio dovuto all’esigenza di creare una certa atmosfera ma anche alla scarsità di mezzi: la necessità di migliorare l’efficacia degli effetti speciali presenti ha costretto gli sceneggiatori a immaginare indagini risolte con l’ingegno più che con l’azione, sebbene l’azione non manchi soprattutto nelle prime serie.

Nel buio di X-Files, comunque, si muovono mostri di ogni tipo: primi fra tutti gli umani, sempre bianchi, sempre potenti, spesso legati al governo e simbolicamente rappresentati dal male incarnato, l’Uomo che fuma.

Smoking man è il padre della cospirazione che ha causato la sparizione di Samantha ed è responsabile di tutto il male che colpirà Scully nel corso della serie. Se c’è una cosa che è croce e delizia dei fan di tutti i tempi, infatti, è proprio la dinamica di questi due personaggi e il ruolo di eroina sacrificale che Chris Carter ha voluto conferire alla nostra iconica scienziata dai capelli rossi.

Nell’immaginario di X-Files, Scully assume ben presto una centralità che l’ha resa uno dei personaggi più famosi e importanti della televisione e non solo: l’effetto Scully registrato in quegli anni, l’iscrizione alle facoltà scientifiche di un numero considerevole di ragazze che dichiaravano di ritenerla un modello, è documentato e discusso in diversi studi dell’epoca. A dispetto di un creatore che l’ha voluta più volte vittima e, soffrendo di un evidente complesso donna-Madonna, le ha negato un’espressione libera della propria sessualità, Dana Scully è diventata un’icona femminista semplicemente resistendo in un ambiente a maggioranza maschile, combattendo al fianco di Mulder senza mai lasciarsi relegare al ruolo di damigella in pericolo, ma soprattutto dimostrandosi razionale e competente in un modo che voleva confutare lo stereotipo di emotività femminile dilagante sullo schermo. È ancora un femminismo di difesa, incentrato sulla capacità di sopportare stoicamente il dolore in una serie che ha fatto del suo corpo un terreno di conquista e di manipolazione: nel corso delle puntate Scully viene rapita, ingravidata senza il suo consenso (la bambina morirà in seguito, poco dopo essere stata trovata), resa sterile, fatta ammalare di cancro, guarita con un chip che però può controllarla, quasi uccisa dall’unico uomo con cui sia andata a letto (presumibilmente) durante la serie. Ingabbiata in questa dinamica, Scully non è mai libera di scegliere, se non quando, ripetutamente, decide di rimanere accanto a Mulder nella ricerca della verità.

L’altro punto forte della serie è proprio questo: il rapporto che lega i due agenti, il loro amore platonico e meno platonico delle ultime serie (sebbene quasi mai mostrato al pubblico in famelica attesa di una scena d’amore).

La verità più vera, evidentemente non aveva a che fare con gli alieni. Quello che non ha mai deluso in X-Files era lo spettacolo di due personaggi che si mettevano sempre al primo posto. Più che credere, forse, noi spettatori volevamo immaginare la possibilità nella vita di essere amati da un altro come accadeva a loro: in modo gratuito, totale, indiscusso. La chimica presente tra i due attori, la magia di un rapporto romantico basato su sguardi e grandi gesti di abnegazione più che sui cliché di una relazione tradizionale, ha reso ogni episodio una caccia al momento shipper, (cioè amato dai relationshipper, i fan che li volevano insieme e che hanno coniato un termine usato da allora in ogni serie tv successiva).

In un percorso mitologico accidentato, contraddittorio, a volte imbarazzante (quasi sempre per opera di Chris Carter), il filo conduttore della relazione tra Mulder e Scully non ha mai stancato di appassionare, dando vita a migliaia di fantasie sotto forma di fanfiction, tanto che William, il figlio che pare il prodotto di un’unione finalmente realizzata sebbene fuori campo (grazie Chris), può essere considerato la naturale conclusione di un cammino che è sempre stato dettato dalla ricerca di una verità pubblica e di un’altra intima, così personale da essere tenuta seminascosta anche al pubblico.

(Ovviamente Chris Carter ha costretto Scully a dare William in adozione. Pessimo, pessimo).

X-Files è finito nel 2002 con Mulder e Scully in fuga dall’FBI, pronti a combattere ancora per la verità e per se stessi. Intanto noi ci siamo trasferiti, abbiamo trovato un lavoro, ci siamo sposati e abbiamo avuto figli. Una parte di noi li ha dimenticati. Un’altra ha conservato i ritagli di giornale degli anni ‘90 e si è rifiutata di buttare la serie completa della rivista della Magic Press o le videocassette che ancora ingombrano lo scaffale della libreria della sua cameretta. Ha aspettato.

Nel 2016, Mulder e Scully sono tornati. Si è trattato di sei deludenti puntate (o almeno tre lo sono state, tutte orribilmente scritte da Chris Carter) ma li abbiamo rivisti e sentiti parlare di William e questo è bastato. Ci siamo ammalati di nuovo o, più probabilmente, non ci era mai passata.

A fine mese arriverà in Italia l’undicesima serie di X-Files. L’ultima, almeno per Scully a quanto dice Gillian Anderson che la interpreta da 25 anni. E dunque l’ultima per noi che non riusciamo a concepire un Mulder senza Scully più di quanto riusciremmo a immaginare una Scully senza Mulder (anche se lo abbiamo fatto per quasi due stagioni nel 2000, ma eravamo giovani e forti o più giovani e più forti).

Stavolta ci aspettano dieci puntate, quasi tutte, a detta dei critici, imperdibili. Per noi che per X-Files siamo pronti a passare una nottata in bianco e a sintonizzarci sulla Fox in modi rocamboleschi, la stagione è già cominciata. Abbiamo di nuovo quindici anni, siamo di nuovo innamorati, ci chiamiamo ancora al telefono per chiederci: Hai visto?

La verità è che ci speriamo, ma poco importa se quello che ci aspetta non sarà imperdibile. Questa emozione non ha nulla a che fare con la qualità effettiva della serie: è un sentimento incondizionato pronto a non essere capito e contraccambiato. Un amore che vive un momento felice, ma che non si era mai spento e al massimo ogni tanto va in letargo e che davanti a Black mirror, a Stranger things, a qualsiasi altra serie con due protagonisti coraggiosi, femministi, segretamente innamorati, ci fa pensare: “Mulder e Scully, questo, l’avevano già fatto”.

L’AUTRICE – Giusi Marchetta, nata a Milano nel 1982, è cresciuta a Caserta, poi si è trasferita a Napoli. Oggi vive a Torino dove è insegnante. Per Terre di Mezzo ha pubblicato le raccolte di racconti Dai un bacio a chi vuoi tu (2008), con la quale ha vinto il Premio Calvino, e Napoli ore 11 (2010). Il suo primo romanzo, L’iguana non vuole, è stato pubblicato nel 2011 da Rizzoli. Nel 2015 è uscito, per Einaudi, Lettori si cresce. Il suo nuovo romanzo, Dove sei stata, è in via di pubblicazione per Rizzoli.
Qui tutti gli articoli scritti da Giusi Marchetta per ilLibraio.it.

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