Danilo Pagliaro, che si è arruolato nella Legione straniera, ha deciso di raccontare la propria storia – Su ilLibraio.it un capitolo dal suo conturbante libro, scritto con Andrea Sceresini

Non è un gioco, non stiamo guardando un film o giocando con la PlayStation. Questa è la storia non di un soldato pentito o di un killer alla ricerca di un nuovo perdono ma di un padre di famiglia che per dare un nuovo senso alla sua esistenza decide di arruolarsi nella Legione straniera.

Una scelta estrema e sofferta, non senza conseguenze. Una storia lunga e movimentata, dal momento in cui Pagliaro, desideroso di mettersi in gioco, dopo aver provato senza successo a entrare nella Polizia e dopo aver ripiegato su un normale lavoro di venditore, si presenta alla sede di Aubagne, nella Francia meridionale, e comincia la sua carriera di militare di professione che lo porterà a combattere soprattutto in Africa, là dove rivoluzioni e crisi internazionali richiedono l’impiego di forze militari addestrate.

Operazioni di assalto, di difesa, corpo a corpo, cecchinaggio di medio e lungo raggio, uso di armi di vario calibro, da minimitragliatrici a fucili di precisione. Ogni legionario sa qual è il suo compito e che le regole vanno sempre rispettate. Nessun fanatismo, nessun sacrificio inutile: la vita del legionario non ammette protagonismi ed esibizionismi, ed è ben diversa dall’immaginario di coloro che amano la guerra per la guerra e credono al mito romantico dell’eroe pronto a tutto (i “legionari da tastiera”).

Mai avere paura (Chiarelettere) di Danilo Pagliaro, scritto con Andrea Sceresini, è la prima testimonianza di un legionario in servizio – per capire che cosa vuol dire davvero avere un nemico di fronte, la necessità di sparargli, la nostra vita contro la sua.

Pagliaro

Per gentile concessione di Chiarelettere, su ilLibraio.it un estratto:

Nome in codice Pedro Perrini

Sono un legionario e il mio mestiere è fare la guerra. Sono entrato nella Legione straniera nel 1994. Avevo trentasette anni ed ero arrivato a un punto di non ritorno. La faccenda è stata piuttosto rapida. Si è svolta nel giro di pochi minuti, in una stanzetta spoglia, due sedie e una scrivania. Il caporal-chef ha scribacchiato qualcosa su un modulo, poi ha alzato lo sguardo, mi ha fissato negli occhi e ha annunciato la mia nuova identità: «Perrini Pedro, nato a Roma, classe 1957, stato civile celibe». I vecchi documenti ormai non servivano più. Me li hanno tolti e li hanno messi sottochiave. Poco importava che fossi sposato, avessi una casa e due figli: improvvisamente risultavo libero, la mia vita precedente era stata completamente annullata. Era bastato un colpo di penna. Ciò che ero non esisteva più, ciò che possedevo aveva smesso di appartenermi. Ero un legionario, un uomo senza nome, questo doveva bastare. Negli anni successivi ho inseguito a lungo l’idea della morte. L’ho corteggiata dal Camerun a Gibuti, alla Repubblica Centrafricana. Non tutto quello che ho visto potrà essere raccontato, ci sono cose che non devono essere dette, per rispetto, per pudore e per scelta. Quelle, statene certi, le terrò per me. Per ora vi basti sapere questo: Perrini Pedro non era un romantico in cerca d’avventura, Perrini Pedro era un aspirante suicida. Aveva le sue ragioni, ovviamente, ma di queste parleremo più avanti. In questo libro vi racconterò cosa significa essere un legionario. Cosa significa oggi e cosa significava quando ho avuto l’onore di diventarlo. È una storia lunga e movimentata. Ma prima di cominciare devo fare una fondamentale premessa: portare il képi blanc, il tipico copricapo del Corpo, non è come indossare un berretto da baseball. Ai miei tempi, se volevi entrare in Legione, prendevi un treno e andavi ad arruolarti. Oggi c’è internet e ci sono le chat, le piattaforme di discussione come Militari Forum o Legio Patria Nostra, i social network. Basta fare un breve giro in rete per imbattersi negli aspiranti legionari da tastiera: decine di giovanotti che annunciano ai quattro venti il loro ferreo proposito di imbracciare il fucile. Scorrendo i loro profili si scopre che sono grossi, palestrati, hanno la passione per le armi, il paintball e i videogiochi. A sentirli parlare, sono la perfetta reincarnazione di Rambo. Poi pian piano emerge il loro vero volto: vorrebbero arruolarsi, sì, ma senza rinunciare alle comodità, al computer, alle telefonate con la mamma e con la fidanzata. Ho avuto scambi con gente che mi chiedeva quante mutande fosse opportuno infilare nello zaino. Oppure, volendo partire in inverno, se fosse meglio portare una maglia di lana a maniche lunghe: «Sa, mia madre è molto in ansia, è per farla stare tranquilla» mi veniva candidamente specificato. Sono tutti uguali, il loro sogno è farsi fotografare in divisa, caricare l’immagine su Facebook e godere di ogni commento. Ebbene, possono mettersi l’anima in pace: costoro non avranno mai nulla a che fare con la Legione.

(continua in libreria)

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