Si farà una manifestazione libraria in contemporanea tra Milano a Torino l’anno prossimo? E come potrebbe essere questa sorta di “MiTo del libro”? Intervistato da ilLibraio.it, Gianluigi Ricuperati si dice molto ottimista e fa una serie di proposte concrete (compresi diversi nomi da coinvolgere). Lo scrittore argomenta: “Torino non sopravvive senza integrarsi con Milano, vera capitale mentale del paese e una delle città più intense e interessanti d’Europa oggi; d’altro canto Milano può soltanto beneficiare dalla straordinaria capacità di re-invenzione e sperimentazione che Torino continua a mostrare in ogni frangente. Torino-Milano sono già un’unica conurbazione: facciamone la ‘Los Angeles della Lettura’, ad alta e bassa velocità insieme: coinvolgendo anche tutte le provincie”

“C’è l’intesa per lavorare per la costruzione di un unico evento che metta insieme Milano e Torino nelle stesse date”, ha annunciato ieri il ministro dei Beni e le Attività Culturali Dario Franceschini dopo l’incontro a Roma per trovare un accordo nonostante le polemiche dei mesi scorsi. All’indomani della riunione, giunta dopo settimane di crescente tensione e al termine della quale Aie, Fondazione per il libro, Fabbrica del libro e ministeri si sono dati una settimana di tempo per elaborare un nuovo progetto, i commenti degli interessati si dividono tra ottimisti, possibilisti, dubbiosi e contrari. Di certo, non sarà facile trovare un accordo che, va ricordato, deve convincere anche Fiera Milano (non presente al summit romano).
In questa complessa vicenda, Gianluigi Ricuperati, scrittore, curatore e Direttore Creativo di Domus Academy che fa dell’interdisciplinarità il suo riferimento, fa parte del gruppo degli ottimisti. E, a differenza di altri, ha voglia di passare dalle buone intenzioni ai fatti.

Ricuperati, da intellettuale torinese come vede la possibilità di un “MiTo del libro” l’anno prossimo?
“È un’opportunità epocale. Per tre ragioni assolute: 1) si può finalmente aggredire in modo radicale l’Emergenza lettura, che va affrontata, possibilmente sotto la guida di un’unica istituzione nazionale, e avvalendosi di menti capaci di procreare visioni: inaspettate, notevoli, pragmatiche. Idee efficaci, e processi non pigri; 2) si può così riconoscere l’importanza che ha avuto il Salone di Torino negli ultimi vent’anni, un patrimonio che non va buttato, e nel contempo operare un ricambio culturale e umano di tutto il gruppo che ha gestito e programmato il Salone. Non mi riferisco tanto ai dipendenti della Fondazione, ma anche e sopratutto ai dirigenti e ai consulenti che hanno fatto finta di non vedere gli errori quasi comicamente accumulati; 3) si può dimostrare che in un contesto culturale campanilistico, due città come Milano e Torino possono collaborare prendendo il meglio l’una dall’altra. Il problema è di numeri”.

In che senso di numeri?
“Torino non sopravvive senza integrarsi con Milano, vera capitale mentale del paese e una delle città più intense e interessanti d’Europa oggi; d’altro canto Milano può soltanto beneficiare dalla straordinaria capacità di re-invenzione e sperimentazione che Torino continua a mostrare in ogni frangente. Torino-Milano sono già un’unica conurbazione: facciamone la ‘Los Angeles della Lettura’, ad alta e bassa velocità insieme: coinvolgendo anche tutte le provincie. Un insieme di eventi e microcosmi educativi sperimentali, culturali e commerciali intrecciati insieme, lungo l’asse che coniuga Porta Garibaldi a Porta Susa”.

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Sembra particolarmente ottimista, a differenza di altri suoi colleghi. Lei, tra l’altro, in più occasioni nelle scorse settimane si è schierato contro certi conservatorismi: ma, concretamente, come immagina il nuovo “Salone del Libro Italiano”? Quali proposte si sente di fare a chi nei prossimi giorni dovrà tentare di mettere in piedi un progetto che abbia senso per i lettori, gli editori, le librerie e le istituzioni delle due città?
“Voglio essere chiaro: prima le idee, poi le persone in grado di attuarle. Ecco alcune possibilità, poi si troverà chi è in grado di renderle vive. Primo. Patrimonializzare il salone MiTo, per renderlo autonomo dalle pressioni e dalle mediocrità che troppo spesso infestano il rapporto tra politica e cultura in Italia; Secondo. Ispirarsi al Festival Musicale MiTo, straordinario esempio, e programmare un vero esempio di editoria tridimensionale: il festival musicale presenta spesso gli stessi spettacoli nelle due città a distanza di un giorno. Fare lo stesso con presentazioni di libri e appuntamenti affini”.

E poi?
“Terzo. Essere ambiziosi riguardo all’aspetto fisico: più qualità architettonica, magari in collaborazione con Cassina o Flos o una delle tante aziende eccellenti del design italiano. Quarto: ospitare a Milano la fiera mercantile e a Torino il laboratorio di idee e il mercato dei diritti editoriali e media, dividendo nettamente le due attività. A Milano in uno spazio fieristico e a Torino nelle più diverse splendide cornici di proprietà pubblica, in collaborazione con aziende tecnologiche, settore videogiochi, istituzioni pubbliche dell’arte contemporanea. In entrambe le città, poi, concentrare un programma di incontri che sia meno calciatori e star e più internazionale e qualitativo. Quinto: inventare nuovi modi di tessere relazioni con l’ambiente scolastico”.

Visto che sembra avere le idee così chiare, cos’ha in mente da questo punto di vista?
“Basta con le truppe cammellate  forzate a file interminabili che ingrassano i numeri ma lasciano gli ingranaggi della mente granulosi e immobili: i ragazzi vanno coinvolti usando il linguaggio simbolico a loro più affine, quello dei miti d’oggi, che sono i brand, e allora perché non collaborare con brand multinazionali per inventare strategie di creazione di comunità di interesse basate sulla lettura privata e pubblica, anticipando grazie a introiti più generosi e meno farraginosi il sogno vero, la vera utopia liberale e democratica del XXI secolo, ovvero ‘il reddito di cittadinanza della lettura’? Il che ci porta all’ultimo, ma non ultimo, piccolo suggerimento: lanciamo una campagna globale basata sul reddito dei lettori”.

Intende proporre di pagare le persone per leggere?
“Sembra una follia? Io credo di no. È la cosa più saggia che possa fare una società nella quale la conoscenza ha perso valore simbolico. Tecnicamente si può fare un fondo le cui rendite possono sostenere un piccolo esperimento controllato. Gli esperimenti sociali di oggi possono diventare le leggi scontate di domani. Io credo che nel futuro le persone riceveranno un reddito per leggere. Lo vogliamo ? Io lo voglio….”.

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Per chiudere, torniamo all’idea del MiTo del libro di cui si discuterà in questi giorni. Per Torino si tratterebbe di una sconfitta, o di una via d’uscita costruttiva dopo i problemi del Salone degli ultimi anni, anche sul piano giudiziario?
“La vicenda giudiziaria è troppo grottesca per parlarne. Pensiamo al futuro. Inventiamo un comitato di pensiero, capace di indirizzare davvero: Massimo Bray è certamente la persona ideale per guidare un processo qualitativo. Ma in questo comitato vedrei civil servants multidisciplinari della lettura: non necessariamente esperti di libri, ma di grandi menti che amano i libri; architetti-narratori come Patricia Urquiola, Stefano Boeri, Italo Rota. Agitatori culturali, direttori di istituzioni e curatori come Hans-Ulrich Obrist, Paolo Verri, Lorenza Bravetta. Scrittori come Chiara Valerio, Christian Raimo, Letizia Muratori. Persone molto diverse. E altri ancora. Tutti incaricati di formulare un’identità in evoluzione. E chiediamo al grande Michel Serres di essere il presidente onorario di questa iniziativa non basata sulla cultura critica ma sulla cultura della curiosità infinita e dell’invenzione e reinvenzione costante. È un’occasione unica. Vorremo mica sprecarla trincerandosi dietro l’arroganza di certi eccessi che abbiamo visto e il tracotante ‘esageruma nen’ torinese?  Non è più tempo, non c’è più tempo, per abbandonarsi ai propri cliché psicotici. È il tempo di agire con le idee”.

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