Il nuovo, attualissimo libro di Adonis, poeta e saggista siriano classe ’30, affronta il tema della violenza come aspetto costitutivo dell’Islam – Su ilLibraio.it due estratti

Conosciamo tutti la follia di certi leader arabi, responsabili dei massacri dei loro popoli, e conosciamo il loro odio nei confronti delle libertà pubbliche. Ma oggi lo Stato islamico, invocando la legge della sharῑ‘a, ostenta una barbarie che supera ogni immaginazione. Il suo compito sarebbe quello di ripulire la terra dell’Islam da tutto ciò che minaccia la sua purezza. E in nome di questa purezza si commettono i crimini peggiori: uccisioni, stupri, massacri, saccheggi, vendita di donne, distruzione di siti archeologici e storici… La condanna dell’alterità va di pari passo con la desolazione e la rovina. “È la rovina” scrive Adonis “che caratterizza lo stato attuale del mondo arabo, un mondo in cui si politicizza la religione e si sacralizza la politica”.

Oggi è della massima urgenza riflettere sul senso di questa rovina. A partire da qui il nuovo libro di Adonis (Violenza e Islam, Guanda), poeta e saggista siriano classe ’30, affronta il tema della violenza come aspetto costitutivo dell’Islam e, passando al tempo presente, mette a fuoco i temi più drammaticamente attuali: il fallimento della Primavera araba, gli attentati terroristici, la nascita dell’Isis.

Su ilLibraio.it due estratti dalla conversazione con Houria Abdelouhed, per gentile concessione di Guanda:

Houria Abdelouhed: Adonis, come si spiega il fallimento della primavera araba?

Adonis: All’inizio, la sollevazione araba faceva pensare a un risveglio. Un bellissimo risveglio. Ma gli eventi successivi hanno mostrato che la primavera araba non era una rivoluzione, bensì una guerra, e che questa guerra, invece di indirizzarsi contro la tirannia, si è trasformata a sua volta in tirannia. Beninteso, ci sono stati oppositori che non hanno usato la violenza. Ma sono stati schiacciati sotto il peso degli avvenimenti occorsi dopo l’inizio della sollevazione. Inoltre, questa rivoluzione ha mostrato la propria matrice confessionale, tribale e non civica, musulmana e non araba. Si trattava però di cambiare radicalmente la situazione della società araba.

H: Quando dici “radicalmente” mi sembra che tu intenda un cambiamento sul piano politico, sociale, economico e culturale.

A: Proprio così. Il problema è che questo cambiamento è andato a cozzare contro le eterne questioni della religione e del potere. I popoli, privati dei loro diritti, hanno badato soltanto a rovesciare il potere costituito, senza prestare sufficiente attenzione alla questione delle istituzioni, all’educazione, alla famiglia, alla libertà della donna e dell’individuo. Mancava, insomma, una riflessione sul modo in cui fondare una società civile, vale a dire la società del cittadino.

H: Quindi, l’errore starebbe nel fatto che gli individui, oppressi dal potere politico, non hanno potuto agire nel senso di un vero e proprio cambiamento e non hanno potuto pensare la complessità che ogni cambiamento porta con sé.

A: Esattamente. Si tratta di un errore di prospettiva: non si può, nel contesto di una società come quella araba, fare una rivoluzione se questa non è fondata sulla laicità. Il secondo errore, poi, è stata l’alleanza organica fra i ribelli che si sono intestati questa sedicente rivoluzione e le forze straniere. Perché invece di considerarsi indipendenti, i ribelli erano strettamente legati a forze straniere.

H: Sono stati gli individui a sollecitare l’intervento dell’Occidente o è stato l’Occidente ad approfittare di questa situazione per prendere il controllo di una rivolta appena iniziata?

A: Entrambe le cose. E le conseguenze sono disastrose. L’alleanza con lo straniero ha danneggiato il movimento. Bisogna aggiungere che la violenza armata ha svolto un ruolo centrale nella distruzione della Rivoluzione. Le armi sofisticate venivano in gran parte da fuori. Si sa che i rivoluzionari non potevano disporre di queste armi senza le forze straniere. Risultato: anziché destabilizzare i regimi dittatoriali, hanno distrutto i loro paesi.

H: Ma se consideriamo l’esempio della Siria, anche il regime ha perpetrato una vera e propria carneficina e ha partecipato alla distruzione.

A: È vero, ma una rivoluzione che si propone di cambiare le cose non può distruggere il proprio paese. È vero che il regime era violento, ma i ribelli dovevano evitare di far sprofondare il paese nel caos. E, come se non bastasse, il fondamentalismo è riemerso meglio organizzato e più crudele. Dalla speranza e dal desiderio di giorni migliori si è così precipitati nell’oscurantismo. E invece di un cambiamento portatore di speranza, viviamo un autentico disastro. In più, non c’è stata nessuna presa di posizione, nemmeno una parola, sulla libertà della donna. Come si può parlare di una rivoluzione araba se la donna è ancora prigioniera della sharī‘a? Il ricorso alla religione ha trasformato questa primavera in un inferno. E la religione è stata interpretata e sfruttata a fini ideologici.

H: Sono stati i religiosi ad approfittare della situazione di instabilità per capovolgere la rivoluzione o è l’uomo arabo e musulmano che, nel suo intimo, rimane profondamente e fondamentalmente religioso?

A: Di solito una rivoluzione riflette il livello culturale dei rivoluzionari. Perciò, l’entità di una rivoluzione in un determinato paese dipende dalla qualità dei rivoluzionari, dalla loro cultura, dal loro atteggiamento nei confronti della laicità, dalla loro visione del mondo e delle cose del mondo. Quel che è accaduto in nome della rivoluzione nei paesi arabi dimostra che la stragrande maggioranza della società araba è ancora dominata dall’ignoranza, dall’analfabetismo e dall’oscurantismo religioso. Una rivoluzione che precipita nell’oscurantismo non ha niente a che fare con una vera rivoluzione. È una catastrofe, perché avevamo iniziato un cammino verso un futuro ricco di promesse, ma oggi siamo tornati indietro. È una regressione totale.

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Houria Abdelouhed: La Mesopotamia fu la culla di due grandi civiltà, quella sumerica e quella babilonese. Questa terra ha visto nascere la scrittura, gli dei e le narrazioni che saranno poi riprese dall’Antico Testamento e dal Corano. Come si spiega il trionfo del monoteismo?

Adonis: Credo che il monoteismo sia il risultato di due fattori. In primo luogo, lo sviluppo del senso dell’economia. In secondo luogo, lo sviluppo del senso del potere. Questi due elementi sconvolsero il mondo antico, ricco di grandi civiltà politeiste, e uccisero l’idea stessa di pluralità.

H: A cominciare dalla pluralità degli dei.

A: Un solo potere in cielo e un solo rappresentante in terra. Questa tesi, che è la tesi del monoteismo, riflette il trionfo dell’economia e del potere terreno. L’islam ne è l’ultimo esempio.

H: Se capisco bene, il potere religioso si è trasformato in esercizio politico e sociale dell’autorità. Si è affermato in tutti i campi il principio dell’”uno solo”.

A: Di fatto, è stato il potere a trasformare tutto. L’islam è nato in una città commerciale, La Mecca. Questa società di mercanti aveva bisogno di un solo capo per far trionfare lo spirito del commercio. Era una società che desiderava unificare le tribù sotto il vessillo di un solo potere.

H: Ciò denota al tempo stesso una grande forza, perché La Mecca era sì un crocevia commerciale, ma per sopravvivere dipendeva da altre città che sorgevano nell’attuale Yemen, come Al-Yamāma e Sana’a, che la rifornivano di grano e di altre derrate.

A: Il commercio ha trionfato perché a quei tempi il mondo antico era superato. I bizantini avevano lasciato un mondo prosciugato. La Siria aprì le proprie porte ai musulmani. Esasperato dai bizantini, il popolo di Damasco, composto in gran parte da nestoriani oppressi, vedeva i musulmani come salvatori e li accolse a braccia aperte. Di pari passo con le loro vittorie, cresceva la ricchezza dei musulmani, che grazie al denaro accumulato divennero potenti. Si può persino dire che furono fortunati, perché non incontrarono mai dei veri nemici, né dei grandi eserciti. Gli arabi, all’inizio, non dovettero mai combattere una vera e propria guerra, in ogni caso non una guerra nel senso greco o romano del termine.

H: In effetti, bisognerebbe riconsiderare le Futūḥāt (Le conquiste). Tu ci inviti ad analizzare la struttura socioeconomica dei paesi conquistati.

A: Una delle opere di riferimento è Futūḥ al-Buldān, in cui si apprende che la guerra, all’epoca di Maometto, vedeva contrapposte le varie tribù arabe. Una volta che l’Arabia fu unificata, l’esercito si fu rafforzato e i capi si furono arricchiti, i paesi circostanti, che erano autentici tesori da conquistare, caddero facilmente. Quasi senza resistenza.

H: Marco Aurelio aveva concesso la cittadinanza ai popoli definiti selvaggi. L’islam è posteriore alle altre religioni e alle altre civiltà, ma non le ha superate in materia di tolleranza, rispetto delle differenze, costruzione della cittadinanza, abolizione della schiavitù…

A: Al contrario, l’islam ha attaccato i progressi raggiunti dalle civiltà precedenti e da quelle successive. Ma, in definitiva, ha conservato tre cose: la Bibbia, la sua Legge e i suoi profeti. A cui possiamo aggiungere il pensiero magico, di cui l’islam ha fatto una dottrina.

(continua in libreria…)

 

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