“Ava Anna Ada”, romanzo d’esordio di Ali Millar, è un climate-fiction in cui tutti i personaggi vivono in attesa dell’Onda: in un mondo tra esibizione e dissimulazione, tra sostanza e apparenza, Ava e Anna sono protagoniste e narratrici, opposti che si attraggono e mescolano l’una nell’altra, il cui incontro sembra segnato dal destino…
La fine del mondo a La Punta, una cittadina su un litorale alla fine della cartina geografica. Due donne, Anna e Ava, una famiglia che ha subito un lutto e una comunità che definisce le sue giornate attorno all’attesa di una catastrofe climatica, l’Onda. Infine: l’attesa.
Anna Ava Ada di Ali Millar (Sur, 2025, traduzione italiana di Martina Testa) è un cli-fi in cui l’evento disastroso è l’obiettivo ultimo, la preoccupazione e l’occupazione di tutti i personaggi, il punto verso cui le esistenze tendono: a La Punta la vita inizia e finisce ogni giorno con il sottofondo dell’attesa dell’Onda, mentre si cerca di rispettare le regole sociali di una istituzione arcigna, in cui vigono sistemi di misurazione del valore e dell’impatto ambientale, da cui discende l’appartenenza alla fascia migliore o peggiore della comunità e la possibilità di spostarsi – cioè: di scappare.
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Le prime pagine del romanzo si aprono su un’atmosfera sospesa, in cui si scivola con ruvidità, accolti da un Noi che tornerà più volte nel corso della storia e che enuncia antefatti preparatori alla prima scena del romanzo: l’incontro tra Anna e Ava. I fatti del “prima” hanno una gerarchia, separati da un punto e virgola, e sono premesse necessarie: “Qui sulla Punta, dove il mare tocca ed erode, succhia e tira, Noi li guardiamo arrivare; Noi li guarderemo andarsene; qui, dove la terra è passata di mano in mano così tante volte che nessuno sa più dove si trova, né in Inghilterra, né in Scozia, né in Europa, né fuori dall’Europa; più facile chiamarla solo La Punta, come fa la gente del posto; […]”.

Ali Millar, fotografia di Desiree Adams
Noi è un’entità vicina ed effimera, onnisciente, che riporta al centro della vicenda ogni volta che se ne è trascinati fuori. Il romanzo è un andirivieni: ora ci manda oltre i confini, su flashback, insinuazioni, non detti, relazioni problematiche e atti violenti, ora ci conduce al fulcro, all’attesa dell’evento catastrofico e alla sua capacità distruttiva e che per lunghi tratti sembra possa essere catartica.
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Dopo il Noi è la volta di Ava che incontra Anna, in punto in cui inizia la storia, e si ha la sensazione vivida che si sottintenda un “finalmente”, come se fosse destino.
Una delle due appare più centrata dell’altra ma entrambe sono ciniche, distaccate, narcisiste e all’interno della storia prendono le redini del racconto a turno: il punto di vista della maggior parte dei capitoli è quello di una delle due, in un campo e controcampo in cui di volta in volta ciascuna è testimone/spettatrice dell’altra. Gli intermezzi sono lasciati al Noi e al binomio, Ava e Anna insieme, i capitoli in cui le due agiscono all’unisono, si confondono, si mescolano fino a mimetizzarsi l’una delle intenzioni dell’altra, senza più possibilità di distinzione: “Non vedevamo il confine che stavamo superando in quel momento. È questo il problema dei confini: sono impossibili da vedere, fino a cose fatte”.
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Anna è una influencer che ha visto crescere la sua popolarità soprattutto dopo aver esposto la sua vita privata, i suoi figli, la sua famiglia sui social media e dopo aver tenuto un corso sulla gestione del lutto. Ava, invece, è una ragazza che vende sesso nel bosco ai margini della città e progetta di andarsene. Due opposti che si attraggono subito, fin dal primo incontro quando Ava vede Anna picchiare il suo cane, e non è lì per caso: la ragazza ha studiato la donna, l’ha seguita online a lungo e il suo intento è insinuarsi nella sua vita, assumendo gli atteggiamenti di Ada, figlia di Anna, morta di anoressia.
Anna e suo marito Leo si trasferiscono alla Punta per provare a ristabilirsi, lontano dalla città, portano con sé il secondogenito Adam e vivono ai margini del mondo per poter recuperarne il senso ultimo e ritrovarsi e Ava li giudica: “Mi fanno morire le persone di città e quanto vanno matte per la natura, vedendola come una novità, prima che diventi la cosa che pian piano ti distrugge.”
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Né Anna né Leo riescono a fare i conti con la distanza, con l’incapacità dei ricordi e del lutto di dissiparsi solo grazie allo scorrere del tempo e quella che sembrava una occasione diventa un ostacolo. Li conosciamo già falliti nel loro intento di guarigione, con Adam a ricevere le scorie di ciò che lo circonda: l’attesa dell’evento, le mancanze della madre, la solitudine, l’assenza regolare del padre, la violenza latente e sistemica di cui è vittima. Adam è il più in attesa di tutti perché non ha un futuro da immaginare, non conosce conseguenze, e davanti alla possibilità dell’Onda ne è solo incuriosito, come una favola. Leo, invece, tenta di pareggiare i conti con la sua vita puntando alle questioni materiali, cercando il controllo, la redenzione fino all’ultimo, provando a inseguire le ragioni di Anna. “Ma lui ormai era tutto concentrato sul presente, diceva che fa bene vivere il momento, che ero fissata con il passato. Dovevo andare oltre, gli piaceva dirmi, come se non si rendesse conto che l’unica cosa che avrei voluto fare era puntare i piedi e fermare il tempo. […] Dopo di lei non riuscivo più a capire il tempo. […] Quando una persona se ne va, anche il mondo dovrebbe fermarsi”.
Il ruolo dello Spettatore è fondamentale nel romanzo: spettatori sono i media, i giornalisti e i curiosi, che affollano la città per poter avere un posto in prima fila all’evento catastrofico, ma anche i follower di Anna, tra cui Ava; spettatrice è Anna quando deve decifrare o Ava o Leo o Adam; spettatrice è anche l’Onda stessa, immersa nella distesa d’acqua davanti alla città. Ogni elemento del romanzo è ora oggetto ora attore della visione: si muove in un ambito o nell’altro cambiando prospettiva di continuo, lasciando la trama del racconto bucata e a noi che leggiamo la sensazione di dover fare sempre un passo in più per arrivare al fondo, che immancabilmente non acciuffiamo.
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Nel dualismo costante del punto di vista si anima la tensione narrativa tra Anna e Ava e si insinuano crepe e tossicità nel loro rapporto, sussurri nelle discussioni, ombre e costruzioni artificiali, che hanno il proposito principale di farla franca, al momento opportuno.
“Ci siamo guardate mentre il sole arrivava allo zenit, facendo scomparire la nostra ombra; lo vedevamo l’una negli occhi dell’altra, che la luce che c’era dentro aveva smesso di essere morbida e si era trasformata in una cosa dura e scintillante, la piega di una delle nostre bocche era più decisa di prima e ciascuna delle due ha pensato di aver capito, allora, come doveva andare a finire”.
Ali Millar usa circonlocuzioni, eufemismi in momenti cruciali della storia e per alcuni episodi violenti le descrizioni sono quasi timide. Si tratta di un cortocircuito che accende la lettura, la distende quasi, riuscendo o a rallentare la ferocia dell’atto o a opacizzarlo, quasi a anestetizzarlo. L’emotività dei personaggi si chiude sempre di più, ricurva e ombrosa, mentre l’esposizione mediatica della comunità di La Punta, della vita per Anna, del corpo per Ava diventano i contraltari di questo linguaggio. In questo modo il mondo del romanzo, su un limite costante tra sostanza e apparenza, tra vero e falso, tra esibizione e dissimulazione, accumula energia pagina dopo pagina, prima di implodere.
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