Progressista? Conservatore? Molto si è detto, frettolosamente, a proposito Papa Leone XIV, “il meno americano dei cardinali americani”, “il vescovo che unisce le Americhe”. Al di là della superficialità di alcuni commenti, i primi passi di un pontificato aiutano a capire molto del nuovo Pontefice: Robert Francis Prevost parlerà a credenti, increduli, atei, uomini di altre religioni, appassionati di spiritualità, curiosi, pellegrini, fanatici, e lo farà con la visione di Paolo VI e l’inquietudine e il rigore di Agostino. Dirà loro, come ha fatto nel messaggio subito dopo l’elezione, che “il male non prevarrà” perché il male è già stato giudicato… – L’analisi

Piace ai progressisti. Piace ai conservatori. I primi sottolineano la continuità con Francesco. I secondi, invece, mettono l’accento sulla (presunta) discontinuità. A cominciare dal dress code, la mozzetta rossa con la quale l’8 maggio si è affacciato dalla Loggia della Basilica di San Pietro. Tutto un deja-vù, verrebbe da dire.

La realtà è che Robert Francis Prevost, Papa Leone XIV, non è inquadrabile in una di queste due categorie, che è poi la chiave di lettura, rivelatasi completamente sbagliata, con la quale è stato affrontato da molti analisti e addetti al lavori il Conclave che lo ha eletto. Giovedì 8 maggio ero in mezzo ai fedeli di piazza San Pietro dopo la fumata bianca. Quando è stato annunciato il nome del nuovo Papa, ho colto la delusione in un gruppo di italiani che “tifavano” per Pizzaballa. Una coppia di filippini brandiva la bandiera perché sperava fosse il “loro” Louis Antonio Tagle. Delusi entrambi. Giovanni, un ragazzo di 30 anni, dopo aver compulsato il suo smartphone e dato un’occhiata sbrigativa alla biografia di Prevost, mi ha detto: “Giusto, un Papa globale perché la Chiesa è globale. Parlare di nazionalità non ha più senso perché noi giovani siamo globe-trotter e giriamo il mondo“. Mi è sembrata una delle analisi migliori ascoltate finora.

Chi è, allora, Leone XIV? Il meno americano dei cardinali americani. Vero. Il vescovo che unisce le Americhe, quella del Nord, dove è nato, con la sua miscela di secolarismo e religiosità tradizionale e non di rado muscolare come dimostra il trumpismo che all’elezione di Prevost ha fatto subito buon viso a cattivo gioco. E quella del Sud, meno opulenta, attenta alla devozione popolare, impregnata di quella “teologia del popolo” che Bergoglio ha interpretato con grande creatività. Anche questo è vero. C’è, poi, il profilo del Papa pastore e missionario, in grado di unire governo e profezia, istituzione e intuizione, mitezza e determinazione. Probabilmente, Prevost è stato scelto anche e soprattutto per questo.

Al di là delle biografie della primissima ora, i primi passi di un pontificato aiutano a capire molto del nuovo Pontefice. Leone XIV è un Papa che ha tutta l’aria di essere rigoroso (complice, anche la laurea in Matematica che affiora dai suoi discorsi), determinato e soprattutto attento – nell’agorà mediatica in cui viviamo dove ogni reel fa titolo – a non essere frainteso perché sa la comunicazione multimediale è una grande risorsa ma anche un’arma letale a doppio taglio dove ognuno prende o fa dire quello che vuole.

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Nel discorso ai cardinali, due giorni dopo il Conclave, è stato chiarissimo: “Vorrei che insieme, oggi, rinnovassimo la nostra piena adesione, in tale cammino, alla via che ormai da decenni la Chiesa universale sta percorrendo sulla scia del Concilio Vaticano II“, ha detto. Cammino che si riassume in questi punti che il Papa ha citato: “Il ritorno al primato di Cristo nell’annuncio; la conversione missionaria di tutta la comunità cristiana; la crescita nella collegialità e nella sinodalità; l’attenzione al sensus fidei, specialmente nelle sue forme più proprie e inclusive, come la pietà popolare; la cura amorevole degli ultimi, degli scartati; il dialogo coraggioso e fiducioso con il mondo contemporaneo nelle sue varie componenti e realtà”.

Il messaggio è chiaro: il Concilio è un dato di fatto, non si trona indietro, a nostalgie inutili e pericolose, all’idea di una Chiesa triumphans e arroccata dove tutto sembra perfetto e in ordine e invece non ha nulla da dire all’uomo del nostro tempo.

L’altra stella polare di Leone XIV è un suo predecessore spesso dimenticato: Paolo VI. Il primo Papa a parlare alle Nazioni Unite, a New York , nel 1965, con quel “Mai più la guerra” che molti ricordano in francese, la lingua con cui lanciò l’accorato invito: “Jamais plus les uns contre les autres, jamais, plus jamais” e che papa Leone ha ripreso nel suo prima Regina Coeli da Papa domenica scorsa. Paolo VI ha traghettato nel mondo la Chiesa uscita dal Concilio. Ha dialogato con la modernità senza fuggirla o condannarla a priori. Nel discorso con cui, nel 1965, chiuse il Concilio, nato dall’intuizione profetica di Giovanni XXIII, papa Montini parlò di una Chiesa “samaritana e ancella dell’umanità”, che doveva essere più incline a “incoraggianti rimedi” che a “deprimenti diagnosi”, a “messaggi di fiducia” che a “funesti presagi”. La Chiesa che va dove c’è l’uomo, che cerca di capire prima di giudicare. Papa Leone XIV ha tutta l’aria di voler continuare su questo cammino.

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Ma la missionarietà di Prevost non è solo verso le periferie, i paesi più poveri, dove, paradossalmente, annunciare il Vangelo è per certi aspetti anche più facile. Bisogna avere il coraggio di farlo nel cuore dell’Occidente sazio e disperato dove è difficile, se non impossibile, trovare le parole per dire Dio e dove non si sa neanche da che parte cominciare: “Anche oggi”, ha detto il Papa nell’omelia della messa celebrata nella Cappella Sistina, “non sono pochi i contesti in cui la fede cristiana è ritenuta una cosa assurda, per persone deboli e poco intelligenti; contesti in cui ad essa si preferiscono altre sicurezze, come la tecnologia, il denaro, il successo, il potere, il piacere. Si tratta di ambienti in cui non è facile testimoniare e annunciare il Vangelo e dove chi crede è deriso, osteggiato, disprezzato, o al massimo sopportato e compatito. Eppure, proprio per questo, sono luoghi in cui urge la missione, perché la mancanza di fede porta spesso con sé drammi quali la perdita del senso della vita, l’oblio della misericordia, la violazione della dignità della persona nelle sue forme più drammatiche, la crisi della famiglia e tante altre ferite di cui la nostra società soffre e non poco”.

vaticano

Ma alla fede non si arriva mostrando l’ostentazione della Chiesa, i paramenti, il potere, ma attraverso il Vangelo, la persona di Cristo, il suo messaggio scomodo e rivoluzionario, la sua capacità di scompigliare sempre le carte. Raccontando della sua esperienza al fianco di papa Francesco durante la Giornata mondiale della Gioventù di Lisbona, il cardinale Prevost aveva detto in un’intervista pubblicata sul sito dell’Ordine Agostiniano: “La nostra priorità non può essere quella di cercare vocazioni. La nostra priorità deve essere quella di vivere la buona notizia, di vivere il Vangelo, di condividere l’entusiasmo che può nascere nei nostri cuori e nelle nostre vite quando scopriamo veramente chi è Gesù Cristo”.

Un altro aspetto che sarà decisivo nel pontificato di Leone XIV è Sant’Agostino, il peccatore incallito e il santo inquieto, il vescovo che seppe unire governo e dottrina, teologia e vita in un’esperienza esistenziale che parla ancora a tanti uomini del nostro tempo. Papa Leone si è presentato alla Chiesa e al mondo come “figlio di Agostino”: “Sant’Agostino”, aveva detto, “ha una saggezza onnipresente che ci aiuta a vivere in comunione. L’unità e la comunione sono carismi essenziali della vita dell’Ordine e una parte fondamentale della comprensione di ciò che è la Chiesa e di ciò che significa essere nella Chiesa”.

Ho incontrato tante persone in questi giorni a San Pietro. Credenti, increduli, atei, uomini di altre religioni, appassionati di spiritualità, curiosi, pellegrini, fanatici. Più che certezze ho visto nei loro occhi lo stesso smarrimento dei discepoli che alla domanda di Gesù “Volete andarvene anche voi?” Risposero: “Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna”. Ecco, a tutte queste persone – a chi se n’è andato, a chi sta per farlo, a chi vorrebbe tornare, a chi resta senza sapere bene il perché – Papa Leone XIV vorrebbe parlare. Lo farà con la visione di Paolo VI e l’inquietudine e il rigore di Agostino. Dirà loro, come ha fatto nel messaggio subito dopo l’elezione, che “il male non prevarrà” perché il male è già stato giudicato.

L’autore – Antonio Sanfrancesco, giornalista di Famiglia Cristiana e collaboratore del sito ilLibraio.it, in questi giorni ha seguito da vicino i primi passi del nuovo pontefice.

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