Che cosa rende il “Cantico delle creature” di San Francesco d’Assisi (concluso verosimilmente nel 1225) un’opera tanto raffinata e complessa? Quali elementi retorici e stilistici lo caratterizzano, da dove trae ispirazione e di quali significati si fa portavoce rispetto al rapporto con Dio, con il mondo e con la vita terrena?
Il Cantico delle creature di San Francesco d’Assisi (1181-1226), conosciuto anche come Cantico di Frate Sole, Canticum Creaturarum o Laudes Creaturarum, è noto per essere il più antico testo poetico della letteratura italiana di cui sia giunto fino a noi anche il nome dell’autore.
Questa elaborata e originale laude al Creatore, scritta fra il 1224 e il 1225 e di cui nel 2025 si celebrano quindi gli ottocento anni dalla sua composizione, ha peraltro una storia e dei significati di grande pregnanza: scopriamoli insieme…
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La storia del Cantico delle creature
Stando alle fonti agiografiche più accreditate, la stesura del Cantico della creature sarebbe cominciata un paio di anni prima della morte di San Francesco (nato Giovanni di Pietro di Bernardone), risalente al 1226, e l’opera sarebbe stata da lui dettata a un frate o presso la chiesa di San Damiano ad Assisi o presso il monastero di San Fabiano a Rieti.
Benché le ipotesi sul luogo della sua composizione siano ancora oggi incerte, non ci sono invece dubbi sul fatto che il testo dovesse essere accompagnato dalla musica: a occuparsene sarebbe stato lo stesso San Francesco, che non per niente aveva ipotizzato per la laude un andamento ritmico simile a quello dei canti biblici, anche se purtroppo dello spartito non ci è rimasta traccia.
Il contesto in cui nasce il Cantico delle creature, però, è tutt’altro che idilliaco, come a prima vista farebbero pensare la sua destinazione liturgica e la visione di pace e serenità a cui San Francesco si ispirò per crearne i versi.
Pur avendo realizzato il suo primo ordine riconosciuto dalla Chiesa cattolica nel 1223, ovvero quello dei frati minori (detti anche francescani), infatti, San Francesco era provato già da qualche anno dalla presa di coscienza che vivere il Vangelo sine glossa non fosse una strada del tutto percorribile.
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A ciò va aggiunto che stava ormai perdendo la vista per via di un’oftalmia che non gli permetteva di esporsi alla luce solare, che il 17 settembre 1224 ricevette le stigmate presso il Monte della Verna e che, nel corso dell’anno successivo, sarebbe andato incontro a dei problemi di fegato sempre più gravi.
Nonostante questo, e pur venendo dall’ennesima notte di sofferenze, fu capace di abbandonarsi a un momento estatico e di profondo fervore, a cui attinse per dar vita a un testo che celebra tutta la bellezza del mondo voluto da un Dio buono, premuroso e caritatevole.
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Cantico delle creature: il testo integrale
Prima di addentrarci nell’analisi e nel commento della laude, ecco di seguito il testo integrale del Cantico delle creature di San Francesco d’Assisi:
Altissimo Onnipotente bon Signore
tue so’ le laude, la gloria et omne benedictione.
A Te, solo Altissimo se confanno
et nullo homo è digno Te mentovare.Laudato si’ mi’ Signore
con tutte le tue creature
e spetialmente messer lo frate sole,
lo qual’è iorno e allumini per lui,
et ellu è bello cum gran splendore,
de Te Altissimo ha significazione.Laudato si’ mi’ Signore
per sora luna e per le stelle,
per frate vento per aere et omne tempo
con cui tu dai a noi sustentamento.
Per sora acqua, umile et casta,
per frate foco robustoso et iocundo.Laudato si’ mi’’ Signore
per sora nostra madre terra
la quale ci sostenta e ci governa,
ci dona frutti e fiori ed erba;
per chi perdona per lo tuo amore,
per chi sostiene infermità, tribolazione.Laudato si’ mi’ Signore
per sora morte corporale,
da cui null’omo vivente può scampare.
Ma guai a chi troverà nelli peccati!
Beati quelli che troverà
nelle santissime tue voluntate.Laudate et benedite
et rengratiate il mio Signore,
servite a Lui cum grande umilitate.
Laudate il mio Signore.
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Parafrasi, analisi e significati
Venendo ora ad alcune informazioni più puntuali, possiamo definire il Cantico delle creature una prosa assonanzata e talvolta rimata, divisa in dodici strofe (o lasse) che sono composte da un numero variabile di versi, e per la cui parafrasi completa (a cura di Gigi Cavalli) si rimanda al sito della Treccani.
Composta nel volgare umbro del XIII secolo, la laude presenta comunque diversi latinisimi e una certa influenza toscana e francese, oltre a prendere spunto da alcuni testi dell’Antico Testamento – in particolare il Cantico dei tre fanciulli nella fornace contenuto nel Libro di Daniele e il Salmo 148, che recita:
Lodate il Signore dai cieli, / lodatelo nell’alto dei cieli. / Lodatelo, voi tutti, suoi angeli, / lodatelo, voi tutte, sue schiere. / Lodatelo, sole e luna, / lodatelo, voi tutte, fulgide stelle. / Lodatelo, cieli dei cieli, / voi, acque al di sopra dei cieli. / […] Lodate il Signore dalla terra, / mostri marini e voi tutti, abissi, / fuoco e grandine, neve e nebbia, / vento di bufera che esegue la sua parola, / monti e voi tutte, colline, / alberi da frutto e voi tutti, cedri, / voi, bestie e animali domestici, / rettili e uccelli alati. […]
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Nel XIX secolo la critica romantica ha attribuito al Cantico delle creature un’ingenuità e una semplicità che nei secoli successivi sono poi state contraddette, portando a considerare le parole di San Francesco come una raffinata e complessa rielaborazione dei modelli strutturali tradizionali.
La studiata ripartizione in cinque momenti, l’uso attento e consapevole della numerologia medievale nella scansione del testo e nella scelta degli aggettivi, come anche l’armonia paratattica e melodica, testimoniano infatti la vastità delle sue conoscenze, che peraltro lo portarono a menzionare tutte le componenti del creato allora conosciute.
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Si va dunque dagli astri agli animali, passando per i quattro elementi e per la natura mortale degli esseri umani, attraverso i quali viene espressa una gioiosa gratitudine a Dio per l’equilibrio in cui ha posto le sue creature, collocando specialmente l’uomo in un rapporto fraterno e non strumentale con quanto lo circonda.
Una prospettiva che esalta la vita terrena e le sue caratteristiche, in contrapposizione al cosiddetto contemptus mundi (it. disprezzo del mondo) molto diffuso in quel periodo storico e sostenuto per esempio da Jacopone da Todi (1233-1306 circa), che rinnegava la sfera della materia e della corporeità dando valore solo alla vita ultraterrena.
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Il Cantico delle creature secondo Vito Mancuso
Degli ultimi anni è, peraltro, un’interessante riflessione del teologo, docente e scrittore Vito Mancuso, che sul suo sito ufficiale ha condiviso una rilettura del Cantico delle creature “nella prospettiva della passione di tutto ciò che vive “, come già ipotizzato dall’intellettuale e presbitero Ernesto Balducci.
L’idea si basa sul presupposto che la laude sia stata composta nel già citato convento di San Damiano, dimora di tutte le giovani donne che avevano abbracciato a loro volta l’ideale francescano, e pertanto anche di Santa Chiara (1194-1253), che verosimilmente gli restò vicino e lo accudì in prima persona, giocando così un ruolo cruciale nella stesura del Cantico.
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“In questo mondo di sofferenze, assurdità, sconfitte”, scrive Mancuso, “è infatti solo l’amore a essere in grado di suscitare quell’energia vitale che nonostante tutto porta alla gioia e alla lode della vita, e l’amore trova la sua pienezza nel sentimento che unisce due esseri umani, l’amore raggiunge la massima intensità quando si moltiplica per due”.
L’origine dell’opera sarebbe allora strettamente connessa a quel legame sublimato che San Francesco sperimentò in uno dei frangenti di maggiore patimento fisico, riuscendo a farsi guidare da una luce portatrice di salvezza di cui, guarda caso, rimane traccia nel nome stesso di Cantico di Frate Sole.
Un punto di vista che amplifica lo spessore del testo e al cui esempio possiamo rifarci ancora oggi nella nostra vita quotidiana. Perché, secondo Mancuso, “se prendiamo coscienza che anche noi, come Francesco, siamo malati e sconfitti, e tuttavia, come Francesco, continuiamo a credere all’amore, può sorgere da noi qualcosa di nuovo, di inedito, di veramente vitale”…
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