La disabitudine degli universitari a studiare sui libri (preferendo appunti, slide, materiali online) è una delle cause della crisi dell’editoria scolastica. Se n’è parlato, dati alla mano, al Salone del libro di Torino. Pesano anche il calo demografico, il taglio del bonus cultura 18App e l’aumento dei corsi in lingua inglese. Al tempo stesso, “la scuola continua a non riuscire a stimolare alla lettura, sia alle elementari sia alle medie…” – I particolari

Tra i tanti dati (non positivi) presentati al Salone del libro in corso a Torino, colpisce in particolare la crisi dell’editoria universitaria, che gli addetti ai lavori, non senza preoccupazione, da tempo non considerano più una nuova tendenza, ma un dato strutturale, che ha diverse cause.

Del resto, negli ultimi anni, dagli Usa al Regno Unito, non pochi interventi di docenti universitari hanno fatto discutere, evidenziando la disabitudine degli studenti universitari a studiare sui libri, preferendo appunti e ricerche online e, più in generale, la difficoltà a rapportarsi con testi corposi.

“4 studenti su 10 preparano gli esami sugli appunti, senza aprire libri…”

Stando a una recente ricerca italiana, dal titolo Le abitudini di studio all’Università, per preparare gli esami, più di quattro studenti su dieci, interpellati sui materiali utilizzati, hanno dichiarato di aver fatto a meno di libri e prodotti digitali editoriali, facendosi bastare appunti, propri o di colleghi, riassunti scaricati dal web, registrazioni delle lezioni, slide, dispense, quiz ed esercizi del docente

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Le cause della crisi dell’editoria universitaria

Al tempo dell’ascesa dei modelli di AI il cui impatto è in ascesa a vari livelli (studio incluso) e del crollo della capacità di attenzione (che, meglio precisarlo, riguarda tanto gli adulti quanto le nuove generazioni), le cause della crisi dell’editoria universitaria, secondo Maurizio Messina (presidente del gruppo accademico professionale e vicepresidente di AIE) sono almeno quattro: aumentano i corsi in lingua inglese nelle università italiane e, quindi, anche i testi in lingua inglese su cui viene chiesto di studiare (a questo proposito, solo una parte dei testi universitari in inglese sono proposti da case editrici italiane); c’è senza dubbio l’impatto dell’eliminazione di 18App, di cui molto si è detto al Lingotto, anche in un incontro della filiera del libri con il ministro della Cultura Alessandro Giuli; ma, come detto prima, sempre secondo Messina il libro universitario “perde centralità” con il “cambio delle abitudini di studio di ragazze e ragazzi, che si preparano su altri supporti”, su “materiali alternativi” (e qui si torna ai risultati della ricerca citata prima).

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L’impatto del calo demografico

Al Salone, tra gli altri, è intervenuto anche Andrea Giunti che, dal canto suo, ha sottolineato “l’impatto, forse sottovalutato, del calo demografico, che riguarda anche gli studenti, e la concorrenza che subisce la lettura di libri dagli smartphone, che ci distraggono costantemente”.

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“La scuola continua a non riuscire a stimolare alla lettura, sia alle elementari sia alle medie”

Il problema, però, non riguarda solo gli universitari. Come fa notare Renata Gorgani (editrice del Castoro e presidente del Gruppo Editoria di varia di AIE), i dati dicono che, se le vendite di libri per la fascia d’età 0-6 anni tengono, calano quelle nella fascia d’età tra i 6 e i 13 anni, “segno che la scuola continua a non riuscire a stimolare alla lettura, sia alle elementari sia alle medie. Imparare a leggere non vuol dire essere lettrici e lettori, la scuola continua a non riuscire a far appassionare alla lettura, ce lo diciamo da anni ma non è più accettabile”.

Sempre Gorgani fa notare che, “come tutti i fenomeni nuovi, anche il boom dell’impatto di TikTok sulla lettura tra le nuove generazioni” si è “attenuato”; in questo contesto, aggiunge Gorgani, “spetta a noi editori e librai far di tutto per avvicinare alla lettura le nuove generazioni”.

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