Intervista a Ian Rankin autore di Una questione di sangue ISBN:8830423181

Il pluripremiato scrittore scozzese Ian Rankin, fresco vincitore dell’Edgar Award con il romanzo Casi sepolti, presenta al pubblico italiano un’altra avvincente indagine di John Rebus. Nel nuovo thriller, Una questione di sangue, il famoso ispettore della polizia di Edimburgo è affiancato dalla collega Siobhan, con cui condivide la passione per la musica e l’interpretazione piuttosto eccentrica della professione. In questo episodio Rebus è impegnato su più fronti: non si limita infatti a indagare attorno a un atto criminale, ma deve anche difendersi dalle accuse infamanti della Disciplinare, che nutre seri dubbi sulla sua condotta. Abbiamo rivolto alcune domande all’autore.

D. Quale argomento tratta il suo nuovo romanzo?

R. Una questione di sangue narra di un duplice omicidio commesso tra le mura di una scuola d’elite in una cittadina appena fuori Edimburgo. Fin dall’inizio si conoscono le generalità dell’assassino. Il punto non è scoprire il colpevole, ma capire perché ha commesso quel crimine.

D. Il fenomeno delle stragi nelle scuole è piuttosto recente ed è in costante aumento soprattutto in America. Com’è la situazione in Gran Bretagna?

R. La Scozia è stata teatro di uno degli episodi più drammatici di sparatorie a scuola: nel 1996, a Dunblane, un folle uccise sedici bambini e un insegnante. Quel massacro ha avuto una vasta eco e il governo è intervenuto subito con misure cautelative in merito al rilascio della licenza di porto d’armi. Purtroppo i criminali non hanno mai grosse difficoltà a mettere le mani su pistole e fucili: alcune armi vengono acquistate regolarmente dai terroristi irlandesi, altre dai soldati che le riportano a casa, come souvenir, dalle missioni a cui prendono parte.

D. L’autore della sparatoria, Lee Herdman, è un ex militare dei corpi speciali britannici. Anche Robert Niles – un amico di Lee condannato per uxoricidio – e l’ispettore John Rebus hanno un passato nell’esercito e parecchi conflitti interiori irrisolti. È davvero così traumatico il reinserimento di soldati professionisti nel tessuto sociale?

R. Molti personaggi del mio libro sono outsider, gente che vive ai margini della società e che ama cantare fuori dal coro. Questo discorso vale anche per John Rebus, che mostra una certa insofferenza per gli obblighi imposti dall’alto ai membri della squadra investigativa. L’esperienza nell’esercito ha influito pesantemente sulla sua personalità e lo ha trasformato in un “battitore libero”, in un ispettore sui generis. Quanto ai problemi di reinserimento, ho compiuto numerose ricerche sull’argomento e ho potuto constatare che la percentuale di suicidi commessi da soldati – per la maggior parte americani – al rientro in patria, soprattutto dopo la guerra del Golfo, è elevatissima. Per non parlare della tendenza all’alcolismo, alla violenza e agli abusi nei confronti delle mogli.

D. Il libro è ricco di riferimenti musicali. A ogni personaggio corrisponde un particolare genere e tutte le occasioni sono buone per ascoltare musica o per discuterne. Immagino che Lei sia un grande appassionato.

R. La musica è molto importante per me, così come lo è per i miei personaggi. I lettori possono conoscerli meglio e farsi un’opinione precisa su ognuno in base al tipo di musica che ascoltano. Per sapere invece quali sono i miei gusti in questo campo bisogna aggiungere alle preferenze di John Rebus – mi riferisco al rock anni Sessanta e Settanta dei Rolling Stones, Eric Clapton, Van Morrison – quelle della sua collega Siobhan: il rock moderno e alternativo dei Mogwai, Portishead e Blue Nile.

D. Lei è uno dei più prolifici e acclamati autori di thriller dei nostri giorni. Con il passare del tempo incontra maggiori difficoltà a inventare nuove trame o conserva la stessa facilità di scrittura degli esordi?

R. Quando ero più giovane, riuscivo a scrivere due libri all’anno senza grossi problemi. Ora invece impiego due anni a scriverne uno solo. Ho rallentato il ritmo perché i miei libri stanno diventando sempre più complessi e richiedono dunque un lavoro di ricerca più approfondito. In ogni caso, finché il mondo reale continuerà a fornirmi nuovi spunti, non avrò difficoltà a scrivere romanzi polizieschi. L’ultimo riguarda, non a caso, un fatto di grande attualità: il vertice del G8 che si è svolto in Scozia nell’estate del 2005.

D. I suoi libri si sono aggiudicati numerosi premi letterari, non ultimo il prestigioso Edgar Award destinato al miglior romanzo poliziesco dell’anno. Quale importanza attribuisce a questi riconoscimenti?

R. Vincere un premio è qualcosa di sensazionale. Per la maggior parte del tempo, uno scrittore si siede alla scrivania davanti a un computer e non ha la più pallida idea se ciò che sta scrivendo abbia o meno valore. I premi sono un’importante conferma della bontà del proprio lavoro, un modo che ha il mondo per dirti: “bravo, sei in grado di scrivere ottimi libri!”. Tutto questo è assai stimolante.

D. Esistono versioni cinematografiche delle indagini di John Rebus?

R. Sei dei miei libri sono stati trasformati in film per la televisione. Quattro di loro sono stati trasmessi anche all’estero, mentre un nuovo episodio uscirà proprio in questi giorni in Gran Bretagna. Con ogni probabilità entro la fine dell’anno altri quattro libri avranno una trasposizione cinematografica. Trovo particolarmente azzeccata la scelta dell’attore che interpreta John Rebus: si chiama Ken Stott ed è anche lui di Edimburgo. Non si può certo dire che non conosca il territorio.

Intervista a cura di Marco Marangon

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