Difficile descrivere l’amicizia tra uomini senza cadere nei cliché della goliardia o del cameratismo, senza dire grandi banalità. Su ilLibraio.it la riflessione dello scrittore Daniele Bresciani, che cita Mark Twain, che scriveva: “Un amico ha innanzi tutto il dovere di stare dalla tua parte quando sei nel torto. Quasi tutti sono dalla tua parte quando sei nel giusto”

Il professor Hadžibegic del D.R. Jones College di Florida (Missouri) ha condotto uno studio su un campione di uomini significativo per numero, età ed estrazione sociale sul tema dell’amicizia maschile.

Ne sono emersi risultati sorprendenti. Il 53% degli uomini ha almeno una volta pensato di fare del sesso con il proprio migliore amico; di questi, però, solo il 12% ha manifestato le proprie intenzioni che per il 2% si sono trasformate in realtà.

Così come stupiscono le statistiche riguardanti gli aspetti goliardici. Il 44% racconta di sbronze epiche in compagnia del migliore amico ma solo il 7% le ha provate veramente. E per quanto riguarda le faccende economiche, il “migliore amico” è la prima persona a cui ci si rivolge per un prestito di denaro per il 67% degli intervistati, ma solo il 29% risponde positivamente e, soprattutto, una minima parte, l’11%, restituisce quello che ha ricevuto.

Del resto, lo diceva già Mark Twain più di un secolo fa: «Il sacro sentimento dell’amicizia è così dolce, costante, fedele e paziente che si conserva una vita intera, se non si chiede un prestito».

Sono dati interessanti, no? Peccato non sia vero niente.
Non esistono né il professore né il college né lo studio. Mi sono inventato tutto per fare un po’ di scena. E siccome non credo a questo genere di ricerche (così come mi innervosiscono i dati numerici dopo i grandi eventi, tipo all’Olimpiade si sono consumati tot miliardi di litri d’acqua bastanti per allagare il canale di Suez, oppure sono stati mangiati 100 milioni di hamburger ma usati solo 80 milioni di tovagliolini da cui si deduce che 20 milioni di persone non si lavano le mani e questo contribuisce alla diffusione del virus dell’influenza), dicevo siccome non credo a questo genere di ricerche mi sembrava divertente citarne una inesistente per parlare di un argomento come l’amicizia tra uomini che non può essere racchiuso da statistiche.  Ed è anche un sentimento difficile da raccontare.

Non so a voi, ma mentre di libri e film sull’amicizia tra donne o tra uomo e donna me ne vengono in mente parecchi, su quella tra uomini faccio un po’ più fatica. Stand by me di Stephen King (e relativo film)? Sì, ma erano dei ragazzini. Amici miei di Monicelli? Forse, anche se di sottofondo c’è molta crudeltà. The Sleepers, pellicola del 1996 di Barry Levinson tratta dal libro autobiografico di Lorenzo Calcaterra? È la storia terribile di quattro ragazzini di Hell’s Kitchen, che vivono un’esperienza traumatizzante in riformatorio e che poi, diventati uomini con carriere agli antipodi, dal procuratore distrettuale alla criminalità, si ritrovano uniti a combattere contro quel vecchio incubo. Certo, c’è l’indissolubilità di un legame, ma anche l’ineluttabilità di una conclusione, ovvero alla fine ognuno per la propria strada.

Insomma, io non lo so come descrivere l’amicizia tra uomini senza cadere nei cliché della goliardia o del cameratismo. Finirei per dire delle grandi banalità. O per buttarla sul ridere. E non mi va. Proverò a dirla come l’ho detta a mio figlio poche settimane fa quando, mentre eravamo in macchina e mi stava raccontando che il suo migliore amico era diventato Tizio perché con Caio aveva litigato, di punto in bianco mi ha chiesto: “E il tuo migliore amico invece chi è, papà?”. Io ho cercato di spiegargli che da grandi funziona diversamente, che non si può parlare di “migliore amico”, che ce ne sono tanti, che insomma mica è così facile.

Lui non ha commentato, ma sentivo il suo sguardo perplesso sulla mia nuca. Così, dopo un minuto di silenzio, gli ho detto un nome che lui conosce bene.
E la sua risposta è stata: “Ah, lo sapevo”. Seguita dall’inevitabile: “Perché?”.
Già: perché?
Ecco perché.
Perché è la prima persona che mi viene in mente se devo condividere una gioia o un dolore.
Perché quando gli hanno messo 5 by-pass sono stato male come se li stessero mettendo a me e quando hanno messo 4 viti nella mia schiena lui è venuto a trovarmi per primo e secondo me si è così immedesimato che quando è uscito zoppicava.
Perché quando una volta stavo per fare una sciocchezza grande ho lasciato un biglietto per lui.
Perché quando, dopo aver condiviso per anni la stessa stanza in redazione, ho cambiato giornale, ho pianto. Mica per il giornale, eh.
Perché quando è nata mia figlia, al primo Natale le ha fatto un regalo e le ha scritto un biglietto bellissimo che lei naturalmente non poteva leggere, ma io sì.
Perché quando mi chiede “come stai?” vuole sapere come sto.
Perché in ogni passaggio della mia vita degli ultimi vent’anni c’è stato.
Perché è un milanista ormai disilluso e io un interista illuso.
Perché possiamo dirci anche no e nessuno si offende. Ma più spesso è sì.
E soprattutto perché più che i dati e le ricerche, è vero quello che viviamo.

Allora io non lo so se questa cosa che ho scritto ha senso, però se uno mi chiede che cos’è l’amicizia tra uomini io dico che è questa roba qua.

P.S. A proposito di quello che avete letto all’inizio, la ricerca inventata, il professore, il college etc. etc., qualche precisazione. Hadžibegic è il nome di un giocatore della Jugoslavia che partecipò ai Mondiali di calcio di Italia 90 ed è protagonista di un bellissimo ma proprio bellissimo libro di Gigi Riva, giornalista dell’Espresso, intitolato L’ultimo rigore di Faruk (Sellerio). Racconta (anche) attraverso il calcio e lo sport la guerra che ha devastato i Balcani.
David Robert Jones è il vero nome di David Bowie: è quasi un anno che non c’è più e ancora non ce ne facciamo una ragione.
Florida, nel Missouri, è il villaggio natale del già citato Mark Twain, che sempre sull’amicizia diceva anche questo: «Un amico ha innanzi tutto il dovere di stare dalla tua parte quando sei nel torto. Quasi tutti sono dalla tua parte quando sei nel giusto».

daniele bresciani

L’AUTORE – Daniele Bresciani (nella foto sopra, ndr), classe ’62, ha fatto il giornalista per 25 anni (Gazzetta dello Sport, vicedirettore di Vanity Fair e diGrazia) prima di passare dall’altra parte della barricata e dedicarsi alla comunicazione d’azienda. Ciò nonostante ha scritto un romanzo, Ti volevo dire(Rizzoli, 2013) che ha persino vinto qualche premio ed è stato tradotto all’estero. Vorrebbe essere un padre migliore. Ci prova.


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