Dafne, Davide e Dante non lo sanno, ma tutti e tre hanno in comune una cosa: stanno con lo stesso ragazzo. Si tratta di Christian: ex modello, bellissimo. Seduttivo, manipolatore, egocentrico. Su ilLibraio.it un estratto da “Le ferite originali” di Eleonora C. Caruso, che torna al romanzo dopo l’apprezzato esordio del 2012

Appassionata di fanfiction (ha iniziato a scrivere nel 2001, con il nickname di CaskaLangley) e collezionista di manga, Eleonora C. Caruso, autrice nel 2012 di un apprezzato romanzo d’esordio (Comunque vada non importa, Indiana Editore), torna in libreria con Le ferite originali (Mondadori).

Caruso, classe ’86, porta il lettore a Milano, negli anni di Expo: Dafne ha venticinque anni, studia Medicina, è benestante, graziosa e giudiziosa, e ha un tale bisogno di essere amata da non voler capire che la sua relazione sta andando a pezzi. Davide è uno studente di Ingegneria fisica al Politecnico, vive in periferia, ha la bellezza timida e inconsapevole di chi da bambino è stato grasso e preso in giro dai compagni di scuola. Dante ha quarant’anni, è un affascinante uomo d’affari, ricco e in apparenza senza scrupoli, capace di tenerezza soltanto con la figlia Diletta.

Dafne, Davide e Dante non lo sanno, ma tutti e tre hanno in comune una cosa: stanno con lo stesso ragazzo. Si tratta di Christian: ex modello, bellissimo. Seduttivo, manipolatore, egocentrico, Christian ha in sé i mostri e la magia: è bipolare, e alterna picchi di irrefrenabile euforia a terrificanti abissi depressivi, trascinando nel suo mondo spezzato anche Julian, il fratello adolescente, per cui prova un affetto eccessivo, quasi soffocante.

Christian catalizza e amplifica come un prisma i desideri di Dafne, Davide e Dante, e le vite di questi quattro personaggi finiscono per intessersi così fittamente che nemmeno al momento della verità – e alla caduta che ne consegue – riusciranno a slegarsi…

Eleonora C. Caruso

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, pubblichiamo un estratto dal romanzo:

«Crede che sia stupido fidarsi di lei?»
«Di tutti, non solo di me. Non sono cinico, lo scriva, credo al grande amore e cose così, ma non mi fido degli altri e non voglio che loro si fidino di me, m’incazzo se lo fanno.»
«Perché?»
«Perché io non sono padrone di quel che mi succede. Posso anche prometterti qualcosa e in quel momento lì ci credo, ma domani che ne so, posso cambiare idea, non è mica colpa mia.»

«È una sensazione che prova spesso? Non essere padrone di quello che le succede?»
«Non so. Dicevo per dire.»
«Anche prima ha detto “può succedere di tutto”.»
«Non è così?»
«Sì, ma lei cosa prova? Si sente in balia di quello che succede?»
«No, non in balia. Però a volte mi sento… trascinato.»
«Da che cosa?»
«Non lo so. Da una forza.»
«E cosa fa, quando si sente trascinato?»
«Mi lascio trascinare.»
«Ed è piacevole?»
Si mise una ciocca di capelli in bocca e iniziò a rosicchiarla.
«Di solito sì.»

Scocca il momento, fatidico come la mezzanotte di Cenerentola. Scintille di magia che si disperdono e rimbalzano sulla scala di vetro. Vomita con le ginocchia sul pavimento, ha bevuto troppo, la testa che ciondola nel gabinetto – forse uscirò dall’altra parte, pensa Alice, dove la gente cammina a testa in giù.

Un attimo sei collegato a una coscienza collettiva, un flusso ininterrotto di cose successe, che succederanno, che potevano succedere, e un attimo dopo salta il contatore. Gli animali scappano, s’imbizzarriscono, i pensieri esplodono in un miliardo di luci incandescenti e colorate che si sciolgono nel cielo prima di comprenderne la forma. Capodanno a Trafalgar Square chiuso in ventisei ossa di cranio. Allora lasciali andare, non ti sgolare gridando abbassate la voce, non scorticarti le mani, non frenerai un treno in corsa usando il tuo spago. Aspetta. Passa, le voci si abbassano. Resta seduto, non è il momento di andare in giro. Ingoia le tue medicine, respira. È per Juli che fai questo, perché Juli ha il diritto che tu sia sano. Juli che anche dopo l’ennesimo litigio in cui tu avevi torto (ce l’avevi, vero?) ha chiesto scusa, Juli che alle due di notte di giovedì ti scrive: torni a casa? Per anni ha indossato i tuoi vestiti smessi, in casa porta ancora le tue felpe. Una volta ne ha raccolta una e tu gli hai detto: «Toglitela, puzza, l’ho messa in palestra».

Lui ha scosso le spalle: «Mi piace, la tua puzza».

Christian si alza, ricomincia a riconoscere la musica in mezzo al rumore dei pensieri. Si guarda allo specchio: la sua faccia è a posto. La faccia è la cosa più importante che ha. Una fortuna, avercela proprio attaccata alla testa. Si fa l’occhiolino ed esce.

È presto, il mondo è grande e Christian lo conosce tutto. Per fermarlo dovete staccargli la testa e tenerla lontana dal corpo, ma anche così: state attenti.

«Christian, le dispiace se le faccio qualche domanda a raffica, per così dire?»
«Sono qui apposta. Spari.»
«Lei ha una vita sessuale molto attiva?»
«Non so, quant’è “molto”? Se vedo qualcuno che mi piace cerco di andarci a letto e di solito ci riesco. Capita spesso, sì
«Ha mai avuto relazioni durature?»
«Sono fidanzato con una ragazza. Si chiama Dafne.»
«Dafne sa dei suoi incontri occasionali?»
«Non sono mica scemo.»
«Ha difficoltà a dormire?»
«Dormo, se ho sonno. Di solito non ce l’ho.»
«Beve o fa uso di droghe?»
«Bevo, droghe no. Be’, oddio, l’erba conta?»
«Sì.»
«Allora l’erba sì, ma quella mi serve.»
«A che cosa?»
«A calmarmi.»
«È un bisogno che sente spesso, quello di calmarsi?»
«Sì.»
«Cosa succede, se non si calma?»
«Divento aggressivo. Faccio a botte. Lavoro con la faccia, non posso spaccarmela.»
Siccome il terapista annuiva ogni volta, a Christian sembrò di stare dando le risposte giuste (meno male che non dovevano esserci!), e diventò ancora più collaborativo.
«Le capita spesso di prendere decisioni impulsive? Grossi cambiamenti, viaggi, spese eccessive…»
«L’anno scorso mi son fatto trasferire da Madrid a Helsinki in una notte. Roba così?»
«Cose del genere, sì.»
«Hai voglia, allora. Faccio solo così. Anche il lavoro, per dire, l’ho deciso da un giorno all’altro. Ho mollato il liceo apposta.»
«Ha mai avuto idee di suicidio?»
«Sì. Non le hanno tutti?»
«E ha mai provato ad attuarle?»
«Cristo, no. Ma le pare?»

Si era irrigidito, così il terapista attese qualche secondo in più, questa volta, prima di fargli una nuova domanda.

«Direbbe che il suo umore cambia spesso?»
Christian sapeva di cambiare umore facilmente. Era chiaro da quando, alle elementari, le maestre avevano iniziato a definirlo usando aggettivi a lui sconosciuti, come “vulcanico” o “mercuriale”. Non si era mai posto il problema di quanto fosse normale, perché per lui lo era, e il dubbio che non lo fosse non lo aveva mai sfiorato, prima di quella domanda.

Rispose cautamente: «Un po’».

«Questo inverno il suo umore com’era?»
«Ero giù.»
«Prima si è definito “un po’ depresso”.»
«Un po’.»
«La sua dottoressa mi ha fornito degli appunti riguardo a quel periodo. Mi piacerebbe leggerglieli, se non la mette a disagio.»

Christian scosse la testa. Il terapista indossò gli occhiali.

«“Il paziente presenta rimuginazioni depressive e significativi stati d’ansia. Non dorme o dorme in continuazione. Rifiuta il cibo. Esprime idee di morte come possibile fuga dalla condizione attuale. Riferisce idee di colpa esagerate legate ad azioni irreparabili. Accenna a una storia forse compatibile a oscillazioni dell’umore stagionali”. Mi sembra qualcosa in più di “un po’ giù”.» Christian disse in fretta: «Ora sto bene. Prima ha detto che ho un sacco di energie, si ricorda?».
«Certo, mi ricordo.» Si tolse gli occhiali. Mise via il blocco dal quale stava leggendo. «Christian, le hanno mai parlato di una cosa che si chiama “disturbo dello spettro bipolare”?»

(continua in libreria…)

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