In “Essere una macchina” Mark O’Connell accompagna il lettore in un viaggio fantascientifico, eppure reale, alla scoperta del transumanesimo: tra impianti di crioconservazione, progetti di secessione dalla razza umana e definitiva sconfitta della morte, robot, Superintelligenze e flussi di informazione in comunione estatica con la tecnologia, che poi saremmo noi, gli umani. Nel farlo analizza minuziosamente le idee e i presupposti incorporati in questi futuri possibili, che già strutturano il nostro presente – L’approfondimento

Scottsdale è una città di 250.000 abitanti, nei pressi di Phoenix, Arizona. Qualcuno la considera la Miami del deserto – il deserto del Sonora – altri, La Città Più Occidentale dell’Occidente.

A Scottdsale ci sono molti centri commerciali, molti nightclub, le spoglie del wrestler Eddie Guerrero e il Limbo – o la cosa più simile al limbo dei cattolici. Almeno così suggerisce Essere una macchina di Mark O’Connell (traduzione di Gianni Pannoffino); un reportage sul transumanesimo, pubblicato da Adelphi.

Scottsdale, dal Sonora svetta con la consistenza di un miraggio, un miraggio disarmonico della sintesi imperfetta tra Riccione, certe zone industriali della bassa padana e il parco di Westworld -, infatti, ogni anno dal ’54 fanno la parata di Cowboy e Cowgirl.

essere una macchina

Qui, lambito dall’officina di autoriparazioni “Parts Score” e dal negozio di forniture per pavimenti “Big D”, c’è la sede di Alcor Life Extension Foundation, una no-profit nata nel 1972 che fa ricerca nel campo della crionica. Alla Alcor, per 200.000 dollari, è possibile far conservare il proprio corpo in un dewar, “giganteschi thermos pieni di azoto liquido”, o più economicamente (80.000) la propria testa. I corpi – o le teste – sono considerati in sospeso, come nel Limbo, in uno stato intermedio tra la vita e la morte.

Sebbene O’Connell dissenta garbatamente, secondo Max More, presidente della Alcor, transumanista, fautore dell’estropianesimo (che “intendeva sfidare il principio di entropia per cui tutto ciò che esiste tende alla disintegrazione”), a Scottsdale c’è l’uomo più vecchio del mondo: James Bedford, Phd, nato nel 1893, di anni 125.

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Bedford, nel 1966, ha deciso di crioconservare il proprio corpo grazie a un medico, un chimico e un tecnico riparatore di televisori. Alla Alcor (dati al 31 agosto 2018) ci sono 161 pazienti, cioè corpi crioconservati. Natasha Vita-More, ex moglie del crioconservato scrittore FM-2030 e ora di Max More, ha recentemente intestato una polizza per la crioconservazione del suo cane, un Goldendoodle, anche se sul sito di Alcor non si riesce a trovarne menzione.

La Alcor è la manifestazione fisica del nucleo concettuale su cui si fonda il transumanesimo. Secondo O’Connell è “un movimento di liberazione che rivendica nientemeno che una totale emancipazione dalla biologia. Esiste una concezione alternativa – uguale e contraria – secondo cui questa liberazione sarebbe, in realtà, soltanto un asservimento alla tecnologia”.

Come si capisce da Essere una macchina, è un movimento fatto di anime diverse, legate da assunti comuni. Un punto fondamentale è la visione della mente umana, e della cognizione, nei modi del cognitivismo classico o del computazionalismo, nella versione di Marvin Minsky, per cui il cervello è una meat machine.

Esisterebbe una dicotomia tra mente e corpo, due entità distinte: l’una afferente alla sfera delle informazioni del cervello – quella spirituale, della coscienza – l’altra, la parte fisica, invece, sarebbe un semplice sostrato. L’io come un software che gira sull’hardware del cervello.

Da questa metafora – che O’Connell definisce in metastasi – nasce l’idea di emulare la mente su un hardware diverso da quello del corpo fisico, con tutte le conseguenze del caso: l’abbandono di massa dai corpi biologici (per Hans Moravec), l’immortalità dell’io o della sua copia digitale, dunque la sconfitta della morte (“La morte da questo punto di vista è un problema tecnico. E ogni problema tecnico presuppone una soluzione tecnica”), in una vera “secessione dalla razza umana”. E, ovviamente, l’aumento della potenza cognitiva della mente, non più limitata dalla capacità di calcolo della biologia – libera verso la Superintelligenza Artificiale (questa in realtà è una questione limitrofa, ma indipendente).

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I corpi e le teste mozzate a Scottsdale attendono il giorno in cui la loro mente sarà emulata su un nuovo corpo, convinti, come affermato in un opuscolo per bambini, che la morte è sbagliata. Natasha Vita-More, per esempio, parla di anthrobot, “un corpo più potente, proporzionato e flessibile che offre performance di lunga durata insieme a uno stile moderno”.

Una visione diversa è quella di Tim, “Tim the Cyborg”, Cannon, programmatore e grinder, una persona che applica il biohacking su di sé. Tim si è fatto impiantare, a Berlino (dove sennò?), Circadia, un device che raccoglie dati biometrici. Tim immagina per sé un futuro disincarnato, si vede come “un sistema interconnesso di nodi in cerca di informazioni”, esteso quanto l’universo, le cui vastità infinite sarebbero alla sua portata, dopo essersi liberato di “quell’assemblaggio di ossa e tessuti, che per accidente, è la sua forma attuale”. Il problema è la figlia undicenne, che, certo, capisce, però gli ha chiesto di non cambiare faccia.

Il momento di comunione con le macchine coinciderebbe all’incirca con quello della Singolarità Tecnologica, che ha la sua formulazione mainstream nei testi di Raymond “Ray” Kurzweil, che di mestiere fa il profeta e il capo ingegnere a Google. La singolarità è basata su un’analogia con la legge di Moore, che prevede l’aumento esponenziale del numero di transitor nei processori dei computer; così, anche l’innovazione tecnologica non precede in modo lineare, ma cresce in modo esponenziale, perché si basa sempre sulla somma degli effetti delle nuove innovazioni. A un certo punto, per Kurzweil, si raggiungerà un punto di Singolarità, in cui, come in un buco nero, non saremo più in grado di comprendere nulla, da lì il cambio di paradigma sarà quotidiano, e la tecnologia sarà tutt’uno con la specie. Kurzweil lo prevede per il 2045.

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(via)

Quello della comprensione è un problema lampante. La teoria della mente elaborata da chi vuole simulare quella umana, per esempio, non è egemonica (basti pensare alle teorie monistiche come l’embodied mind oppure a quelle, citate da O’Connel, di Miguel Niconelis, che si basano sull’analogia con i sistemi complessi). E, posto che effettivamente abbiano ragione i primi, la quantità di domande ignorate sono infinite; tra le quali, cos’è l’io?, la coscienza? Una risposta a questo genere di critiche la dava Nick Bostrom, ex transumanista e ora grande ammonitore dei rischi esistenziali della Superintelligenza Artificiale (nel senso di rischio per l’estinzione dell’umanità; O’Connell lo ribattezza Capo Escatologo), “per emulare un sistema in ogni sua parte non è necessario comprenderlo: è sufficiente disporre di un database abbastanza capiente da contenere tutte le informazioni pertinenti al singolo cervello, e dei fattori dinamici che di momento in momento determinano i cambiamenti del suo stato. In altre parole, quel che si richiede non è la comprensione, ma la disponibilità delle informazioni e dei dati grezzi”.

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Bostrom è una delle personalità più celebri associate in qualche modo al transumanesimo, così come i coniugi More e soprattutto Ray Kurzweil. Non sono gli unici. Nella sua indagine O’Connell ci pone di fronte a una galleria di personaggi bizzarri, incredibili, aderenti fino all’inquietudine all’idea mainstream di questi santoni, come se i modi della finzione si fossero riversati sulla realtà finendo per plasmarli (accortosene, scrive, “è uno dei problemi della realtà, assomiglia a una fiction, solo non di quelle buone”).

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Tim Cannon (via)

Familiarizziamo con Nate “Nate the Great” Soares, direttore esecutivo del Machine Intelligence Research Insitute, assolutamente convinto che o si fa qualcosa o l’AI spazzerà via l’umanità, oppure, se butta bene, vivremo in uno stato di grazia digitale; tertium non datur. Con Ed Boyden, che lavora al MIT per risolvere il cervello umano. Con Jason Xu, di Terasem (“una transreligione per tempi tecnologici”), che a Mountain View ha sfilato con un cartello recante “Per favore, Google, risolvi la morte”. Con Zoltvan Istvan che ha girato con un autobus a forma di bara per perorare la causa transumanista. Con Roen Horn, fondatore dell’Eternity Life Fan Club, che ha deciso di conservare la sua verginità per l’avvento dei sexbot, perché gli umani (le donne, sic) – a quanto dice, con sincero terrore – tradiscono e sono vettori di malattie sessualmente trasmissibili. Con Aubrey De Grey, gerontologo, che sostiene che la vecchiaia sia una catastrofe: una malattia che deve essere curata. Con Todd Huffman, Ceo di 3Scan, descritto come un ragazzone dalla lunga barba, dai capelli rosa, con le Birkenstock e lo smalto nero alle unghie, che per qualche motivo si è fatto impiantare sul polpastrello un chip per avvertire la presenza di campi magnetici. È stupito siano dovunque.

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Immortality Bus (via)

Ne basterebbe uno per rendere Essere una macchina una lettura affascinante, ma i pregi del libro di O’Connell sono più profondi. Nonostante la bizzarria di alcune di queste figure, parliamo di tutto meno che di macchiette: la metà lavora in modo estremamente serio (dove per serio si intende anche con finanziamenti di milioni di dollari), nelle aziende, nelle istituzioni, più importanti del mondo, al fine plasmare il futuro; O’Connell riesce a raccontarcele con uno scetticismo radicale ma empatico, capace di rivolgersi anche alle sue stesse convinzioni. Soprattutto ha uno sguardo analitico informato, spesso illuminante, con una prospettiva umanistica che per una volta non affronta il futuro in modo banale (si pensi, per converso, all’opposto del transumanesimo: le varie teorie della decrescita felice).

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O’Connell, per esempio, analizza la quasi religiosità del movimento transumanista in rapporto alla fede, perché affronta le insoddisfazioni e le contraddizioni che le erano riservate. In particolare, alla luce delle credenze gnostiche, che vedevano intrappolate le nostre anime in corpi che sono un tutt’uno col male.

La fede si abbina a un’ideologia profondamente radicata nelle Silycon Valley, “secondo cui tutte le faccende della vita si possono suddividere in problemi e soluzioni: e le soluzioni consistono immancabilmente in una qualche applicazione della tecnologia”.  Ne risulta una sorta di razionalismo magico, in cui al massimo del determinismo tecnologico corrisponde il massimo del misticismo.

Una cosa possibile solo nella Bay Area; che è una specie di macchina, quella davvero, capace di sintetizzare continuamente gli opposti senza avvertire una contraddizione. (O’Connel incontra due persone che vivono in una comune razionalista; che diavolo sarà mai una comune razionalista non ci è dato saperlo, ma per tutto quello che sappiamo di cos’è una comune – a Parigi, nel 1848, i communards sparavano agli orologi, a significare la fine dell’ordine razionale del tempo – l’aggettivo razionalista è il più dissonante, eppure è lì, ovunque sia, localizzato, connotante, imperturbabile).

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(via)

Un’altra intuizione fondamentale, tratto comune delle varie anime del movimento, è una concezione dell’essere umano come pura informazione: “Oggi predomina una visione della mente umana come dispositivo per lo stoccaggio e l’elaborazione di dati, come codice neurale che gira sul macchinario umido del sistema centrale”, “dunque se siamo qualcosa, siamo informazione”, come ieri, in Grecia ci autorappresentavamo con la dottrina del pneuma, come tecnologie idrauliche; nel Rinascimento come meccanismi a orologeria; o nella Rivoluzione Industriale, come meccanismi a vapore, da cui Freud derivò l’immagine dell’inconscio.

Anche Luciano Floridi, professore a Oxford e filosofo dell’informazione, sebbene derubrichi il transumanesimo a sciocchezza, parla di umani come inforg, organismi informazionali interconnessi. Se i dati e le informazioni sono le nuove derrate agricole, il nuovo carbone, il nucleo di noi stessi e anche delle nostre economie, ne risulta una vasta rete di relazioni la cui pervasività in rapporto al potere, per esempio, è analizzata in Datacrazia, un’antologia di saggi a cura di Daniele Gambetta.

Non serve sperare nell’eternità digitale per comprendere che quel razionalismo magico e quella concezione di umanità fanno parte del nostro tessuto connettivo: agiscono in maniera profonda su di noi, con una logica centro-periferia che dalla Silicon Valley, mediante le interfacce che usiamo tutti i giorni, metaforizza ovunque il modo con cui vediamo il mondo. Il nocciolo della questione lo tocca James Bridle (autore di New Dark Age:Technology and The End of the Future, recensito proprio dal nostro O’Connell), che scrive sul Guardian, “qualcosa di strano è accaduto al nostro modo di pensare – e come risultato, cose ancora più strane stanno succedendo al mondo. Abbiamo cominciato a credere che tutto sia computabile e possa essere risolto dall’applicazione di una nuova tecnologia. Ma queste tecnologie non sono facilitatori neutrali: incorporano la nostra politica e i preconcetti, si estendono oltre i confini nazionali e le giurisdizioni legali e crescentemente eccedono la comprensione dei loro stessi creatori. Come risultato, capiamo sempre meno del mondo e queste potenti tecnologie assumono maggior controllo sulle nostre vite quotidiane”.

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Il transumanesimo ne sembra, più che una causa, una formazione reattiva; un effetto. Ma nella sua complessità ha incorporati i tratti di un’idea di futuro –, l’unica peraltro sfacciatamente utopica, almeno nelle intenzioni. Forse un’idea da respingere, con le sue radici saldamente ancorate alla cultura, all’ideologia, della Silycon Valley, retta da un ottimismo radicale, dalla metafora computazionale (sulla parabola storica della metafora computazionale ha dedicato pagine illuminanti Fred Turner, in From Counterculture to Cyberculture) e da una forma di misticismo da project management (a più di una delle figure che incontriamo interessa poco o nulla dell’immortalità, molto di ottimizzarsi). Ma anche se i progetti transumanisti svaporassero nell’impossibilità tecnica, ne resterebbero inviolati i presupposti.

Il mercato delle idee sui futuri possibili effettivamente è in crisi. Hanno credito addirittura idee di futuri che vogliono precisamente cancellarlo il futuro, e nella foga pure il presente, riavvolgendo il mondo di 50 anni. In questa penuria, il problema è che proprio queste idee strutturano il presente, lo creano tanto quanto il passato, nello stesso modo in cui si accetta questo o quel lavoro per un beneficio futuro, si fa questo sacrificio per quel futuro risultato; nello stesso modo in cui funziona la struttura profonda dei mercati finanziari.

Essere una macchina a qualcuno farà l’effetto di sentirsi come stritolato tra idee di futuro diverse eppure tutte terrorizzanti; a qualcuno l’estasi digitale, sembrerà qualcosa di simile alla morte; ma di fronte al progetto di un così lungo morire, viene anche un bisogno, l’ansia di un futuro che in qualche modo sia diverso dal ristretto set di quelli disponibili, basati su scommesse da cui ci vorremmo sottrarre. Qualcuno – anche in Italia, va detto –  lo fa sempre più spesso.

Di queste idee, di questi libri, ma soprattutto di questi futuri, tocca prendersene cura; sai mai cosa succeda in futuro, no?

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