A novantotto anni la traduttrice Franca Cancogni pubblica il suo primo libro, ispirato a una storia vera, “Il pane del ritorno”, opera che ripercorre la diaspora ebraica di due sorelle che dall’Unione Sovietica arrivano in Italia, dopo un viaggio che le porta in Uzbekistan e Palestina. E ci racconta il suo rapporto con la traduzione, “un’esercitazione alla scrittura molto valida”. Inoltre, ripercorre gli anni in cui ha lavorato a quattro mani con il fratello, lo scrittore e giornalista Manlio Cancogni… – L’intervista

In parte storia di vita vera, in parte frutto della fantasia di una scrittrice che esordisce a novantotto anni: parliamo de Il pane del ritorno. Una grande storia di destini intrecciati attraverso il Novecento di Franca Cancogni (Bompiani).

In realtà riferirsi a un esordio nel caso di Cancogni non è del tutto corretto: traduttrice dall’inglese per la Rai, per Einaudi e molte altre case editrici – sue le traduzioni di Gente di Dublino e de I morti di James Joyce, di Figli e amanti di David Herbert Lawrence, de La freccia d’oro di Joseph Conrad, ma anche di Carson McCullers, Richard Hughes e molti altri- nel 1978 ha scritto, a quattro mani con il fratello Manlio e sotto lo pseudonimo di Giuseppe Tugno, il romanzo storico Adua (Longanesi), in cinquina al Campiello quello stesso anno.

Franca Cancogni

“Manlio mi ha raccontato la trama che aveva in mente: un aristocratico deluso dall’ambiente in cui vive – parliamo dell’Italia di Crispi, un periodo tumultuoso – e sconvolto dal tradimento della moglie decide di andare a combattere nella Campagna d’Africa e lì muore. Io gli ho contrapposto un altro personaggio, il cugino. Un anarchico che sta dalla parte dei deboli e che ordisce un attentato al re d’Italia”, racconta Franca Cancogni a proposito della genesi della sua prima opera letteraria, intervistata da ilLibraio.it.

“Poco dopo l’uscita di Adua, si sparse la voce che si trattasse di un romanzo commissionato a uno scrittore e a sua sorella e Augias fu il primo a scrivere che in effetti era stato scritto da Manlio e da me. Solo negli anni Novanta, però, è stata fatta una ristampa che porta i nostri nomi in copertina”, continua la scrittrice.

Dal 1978 a oggi Franca Cancogni ha continuato a scrivere: “Sempre con mio fratello Manlio ho lavorato a La gioventù e a Al sole di settembre (entrambi firmati solamente da Manlio Cancogni e pubblicati da Rizzoli, ndr), ma in realtà ho scritto per tutta la vita e ho cassetti pieni di trame e racconti. Ora, dopo questo primo confronto con la notorietà, sto iniziando a tirare fuori storie che ho custodito negli anni. E a scriverne altre”.

Un rapporto, quello con il fratello maggiore, giornalista, scrittore e insegnante, che “è sempre stato d’aiuto al carattere ombroso” di Franca Cancogni. “Sono sempre stata una di quelle persone che piuttosto che scendere in strada se ne resta a guardare dalla finestra”, ammette la scrittrice e traduttrice, “ma con il tempo le cose stanno cambiando!”.

Franca Cancogni

E Il pane del ritorno ne è la prova. Scritto prendendo ispirazione da un racconto della nuora, affronta la diaspora di una famiglia ebraica dall’Unione Sovietica all’Italia passando per l’Uzbekistan e la Palestina, attraverso gli occhi di Frida, prima una bambina e poi una donna anziana, ricoverata in una casa di riposo a Tel Aviv.

“Mia nuora, che è ebrea, mi ha raccontato la storia della sua famiglia e mi ha chiesto di scriverla. Siccome non ho avuto modo di conoscere i suoi genitori, le ho spiegato che avrei lavorato di fantasia. E così è nata Frida, una trovatella che viene adottata da un ricco mercante ebreo in Uzbekistan, un personaggio che ho preso in qualche modo da Checov. Si tratta di una figura quasi magica, che permette a Frida di entrare nei segreti di una famiglia. E poi c’è la diaspora vera e propria di Frida, che la porta anche in Palestina nei giorni dell’assedio di Gerusalemme”, continua Cancogni.

Un romanzo che potrebbe essere nato dalla mente di uno scrittore ebreo americano, piuttosto che da una penna italiana. Che gli oltre cinquant’anni di attività come traduttrice di letteratura angloamericana abbiano influenzato lo stile dell’autrice? “La traduzione è una forma di esercitazione alla scrittura molto valida. Insegna a conoscere lo scrittore seguendo le linee del suo pensiero. Fa comprendere perché costruisce le frasi in un certo modo, come sceglie le parole e le pause”, risponde Franca Cancogni.

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