“Per un po’ ho evitato di scrivere di danza. Non volevo che si creasse confusione tra quella che era la mia esperienza personale – come ballerina prima e come insegnante dopo – e l’invenzione narrativa. Poi però…”:
Francesca Marzia Esposito racconta su ilLibraio.it com’è nato il suo secondo romanzo, “Corpi di ballo”

Per un po’ ho evitato di scrivere di danza. Non volevo che si creasse confusione tra quella che era la mia esperienza personale – come ballerina prima e come insegnante dopo – e l’invenzione narrativa.

L’argomento però si ripresentava spontaneamente. Per esempio, nel mio romanzo d’esordio, La forma minima della felicità, la madre della protagonista aveva un trascorso da ballerina e una delle conseguenze dell’evento drammatico scatenante era il drastico cambiamento a cui andava incontro abbandonando la professione ma non la disciplina ferrea. Ma era un’incursione, non avevo intenzione di riprendere l’argomento.

Ho anche pensato, in seguito, di imbastire un saggio narrativo, questo mi avrebbe permesso di parlare di danza senza dover gestire quella materia incandescente e informe che costituisce il serbatoio dentro cui vita e immaginazione vanno a fondersi, e a cui attingi quando costruisci una storia.

In quel periodo ero andata a teatro a vedere i Momix. Ero arrivata di corsa e in ritardo. Nell’atrio deserto riecheggiava la musica dello spettacolo iniziato. Mi ero guardata attorno. C’era un uomo in piedi al bancone del bar, minuto, anonimo. Probabilmente era stata l’insistenza del mio sguardo a farlo voltare, e così mi ero ritrovata davanti Moses Pendleton.

Al momento mi era parso un segnale, avrebbe potuto essere un input per il saggio. Con timore mi ero avvicinata e avevo detto: Maestro, è un onore conoscerla, trovo il suo approccio geniale, la costruzione coreografica che distrugge il concetto di singolo individuo per creare un iper-corpo corale, animalesco, camaleontico… la ridefinizione della danza spogliata dagli orpelli, atletica e mai sterile virtuosismo, ecco, volevo dirle, grazie.

Avevo ancora il fiatone, per il parcheggio, la corsa, l’emozione. Pendleton aveva socchiuso gli occhi come se stesse decifrando un oggetto ambiguo e con un sorriso lento aveva detto: Bye girl.

Poi una sera sono incappata nella replica di un vecchio talk televisivo e ho riconosciuto Gene Anthony Ray. Era seduto in platea. Le treccine gli rastrellavano il cranio come sempre, solo erano più rade, e aveva una palpebra a mezz’asta che gli abbottava lo sguardo. Sembrava gonfio e sfatto, il calco ridimensionato del Leroy in Saranno famosi.

Nella serie televisiva era sexy, talentuoso e insofferente alle regole. Quando la musica attaccava, gli altri erano un turbine indistinto e lui era il fuoriclasse. Bastava un micromovimento del busto e Leroy si imponeva allo sguardo. Gene Anthony al microfono e nel suo italiano sconclusionato aveva detto che al momento abitava in provincia di Milano, che aveva fatto uso di droghe, e che le cose non erano andate come avrebbero dovuto. Dopo qualche giorno ho buttato giù una decina di pagine per il saggio, poi ho accantonato tutto.

Le tematiche sull’uso-abuso del corpo, sulla ricerca ossessiva della perfezione, erano per me fuoco vivo. Non so esattamente quando ha cominciato a delinearsi una ballerina che sa di non essere la migliore. Quando esattamente hanno preso a rigirarmi nella testa domande tipo: Cosa si prova a essere la seconda? A parità di passione, devozione e impegno, quando ti trovi davanti a chi ha più talento di te, come ci rimani? Come si vive quando vorresti essere al posto di qualcun altro? Quanto tempo impiegherai a capire che non puoi ottenere quello che desideri?

C’è un che di autodistruttivo e feroce nel cercare di diventare “l’altra”. Anita sa di essere brava, ma sa anche di essere una ballerina sostituibile: da corpo di ballo. Mentre Miriam è l’eccezione, talento puro. È una discesa agli inferi, un tentativo umanamente comprensibile proprio perché disumano. Come chi spera che a essere bravo, buono e bello poi otterrà amore.

Nel periodo di incubazione della storia ho ripreso Il soccombente di Bernhard, che parlava proprio di questo, traslato in ambito musicale. Poi in agosto, rimasta immersa in una Milano svuotata e silenziosa, ho cominciato a scrivere Corpi di ballo.

francesca marzia esposito corpi di ballo

L’AUTRICE E IL NUOVO ROMANZO – Francesca Marzia Esposito vive a Milano e insegna danza. Si è laureata al Dams di Bologna e ha conseguito un master in Scrittura per il Cinema all’Università Cattolica di Milano. Alcuni suoi racconti sono stati pubblicati sulle riviste: Granta, ‘tina, Colla”, GQ e altre. Ha esordito con La forma minima della felicità (Baldini & Castoldi, 2015).

Il suo secondo romanzo, Corpi di ballo, esce da Mondadori: Anita e Miriam, le protagoniste, sono le due ballerine di punta di un’importante compagnia di danza classica. Hanno lo splendore e l’energia dei vent’anni, ma hanno qualcosa in più delle loro coetanee: la leggerezza, la capacità di spiccare il volo. E qualcosa in meno: la danza fagocita le loro vite e spazza via tutto il resto. Si allenano molte ore al giorno, e il tempo che rimane è dedicato alla cura del corpo e alla ricerca di nuovi modi per rendersi impermeabili al cibo. Le uniche incursioni del mondo esterno nel loro appartamento sono le visite notturne del ragazzo di Miriam e di un suo amico strambo con la fissa per la scrittura, oltre ai messaggi degli ammiratori che Miriam ha collezionato sui social network pubblicando le sue foto. Anita considera Miriam talentuosa e carismatica, è convinta che sia una ballerina migliore di lei, ne è sedotta e al tempo stesso non può fare a meno di invidiarla, di sentirsi sottilmente in competizione con lei.

L’estate è appena cominciata, insieme alle prove per Ondine, il nuovo balletto che la direttrice della compagnia – un’ex ballerina ossessionata dalla perfezione e dalla magrezza delle sue allieve – ha deciso di mettere in scena. Gli allenamenti sono massacranti, Anita è sempre più stanca, sotto pressione, gelosa della palese predilezione dell’insegnante per Miriam. Un giorno che sembra uguale agli altri, mentre le ragazze fanno la spesa dopo una lunga sessione di prove, Miriam si accascia al suolo e perde i sensi.

Questo evento è destinato a cambiare per sempre la vita di Anita, mandando in frantumi tutte le sue certezze, a cominciare dal rapporto col proprio corpo. È l’inizio, per lei, di un cammino accidentato di ricostruzione della propria identità…

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