“Future” è un progetto nato dall’Italia “distopica, dove viviamo, amiamo, mangiamo, dormiamo, piangiamo e ridiamo”, come scrive l’autrice somaloitaliana Igiaba Scego, curatrice dell’antologia che ha coinvolto undici giovani afroitaliane. Nei loro racconti il ritratto di un passato e di un presente dolorosi, tra razzismo, pregiudizi e radici strappate che faticano a trovare un suolo in cui piantarsi nuovamente – L’approfondimento

Undici giovani donne italiane di origine africana raccontano il Paese in cui vivono, le loro radici e immaginano il futuro: questa è l’antologia Future, il domani narrato dalle voci di oggi, pubblicata da effequ.

Un progetto nato dal presente e dall’Italia “distopica, dove viviamo, amiamo, mangiamo, dormiamo, piangiamo e ridiamo”, come scrive l’autrice somaloitaliana Igiaba Scego, curatrice della raccolta, che ha coinvolto Leila El Houssi, Lucia Ghebreghiorges, Alesa Herero, Esperance H. Ripanti, Djarah Kan, Ndack Mbaye, Marie Moïse, Leaticia Ouedraogo, Angelica Pesarini, Addes Tesfamariam, Wii.

Future scrittrici afroitaliane

Gli undici racconti che compongono Future sono il ritratto di un passato e di un presente dolorosi, di razzismo e pregiudizi, di radici strappate che faticano a trovare un suolo in cui piantarsi nuovamente. Spazio, però, anche per uno spiraglio di speranza.

Marie Moïse, redattrice di Jacobin Italia, attivista femminista e antirazzista, dedica il suo racconto al passato e alle radici del ramo haitiano della sua famiglia: “Non ho potuto imparare la loro lingua, non sono nera come loro, non ho potuto sapere niente del loro passato, ma c’è un male di cui sto male che non è bianco. È la maledizione della tua famiglia haitiana, mi ha detto mia madre una volta, una sorta gene malato che ho ereditato per parte nera”.

Dallo sradicamento vissuto dai propri avi, nel caso di Moïse del nonno, si accostano storie vissute in prima persona, come quella raccontata da Leaticia Ouedraogo, nata in Burkina Faso nel 1997 e trasferitasi in Italia nel 2008 con la madre per raggiungere il padre, emigrato già da dieci anni.

Il racconto di Ouedraogo è la storia straziante di una famiglia intera vessata dal razzismo: un padre impotente davanti ai soprusi, una madre che cade in depressione, una figlia poco più che bambina che porta sulle sue spalle la sofferenza dei suoi. Come scrive l’autrice, riferendosi alla situazione delle nuove generazioni: “sulle nostre spalle da adolescenti, ancora in preda agli sballi ormonali della crescita, gravavano anche le pene dei nostri genitori. Madri o padri: dei dannati della terra che, nonostante ci volessero bene, avevano un modo particolare di dimostrarcelo, e ci riempivano di responsabilità e colpe per quello che succedeva a noi, ma anche per quello che subivano loro”. 

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La mancanza di una terra da chiamare casa risuona in Che ne sarà dei biscotti, il racconto di Wii, attivista transfemminista e artista, che scrive: “Vivevo nel verde, nella monotonia, amicizie saltuarie, tra famiglie che abitano quello spazio da generazioni e lo sentono, io non sentivo nulla se non un vuoto cosmico.”

Djarah Kan, nata nel 1993 e cresciuta nella periferia di Caserta, racconta l’incontro tra una ragazzina, Lisbeth, e la ricca Zia, arrivata dal Ghana per fare visita ai parenti, che le svela l’importanza di avere un “nome segreto, un nome degli antenati”. Un nome che Lisbeth non ha, una mancanza che la fa sentire “senza nome, e dunque, senza futuro”.

In Future, come implica il titolo stesso, trova spazio il futuro, come detto sopra. Ma che tipo di avvenire si può costruire sulle fondamenta di un passato non sempre facile da ricostruire e di un presente in cui è difficile affermare la propria identità?

Esperance Hakuzwimana Ripanti, nata nel 1991 in Rwanda, in Lamiere esaspera il clima xenofobo che si respira: “Alla tv si sono sentite novità assurde; censimenti, controllo dei documenti, convocazioni in questura per chi fosse di origine straniera, revoca di cittadinanze senza motivazioni ben precise e strade affollate di corpi spaventati e sperduti. È successo così in fretta che non ce ne siamo resi conto. È successo così piano che non abbiamo nemmeno pianto”. 

La speranza è riposta nelle generazioni di domani.

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