Un capitolo da “Gli amanti di vico San Severino”

A Napoli c’è un nuovo commissario: si chiama Alfredo Renzi, viene da Milano e non sa da che parte cominciare. Personaggi  bizzarri lo affiancheranno
nelle indagini nella città partenopea.


Il brano che segue è tratto da “Gli amanti di Vico San Severino”, primo titolo di questa nuova serie gialla firmata da Nicola Manzò, dal titolo “I delitti del barbiere“. È sulle poltrone dei barbieri, infatti, che si scoprono più cose e si conoscono più persone che in qualsiasi altro luogo. Il testo ci presenta proprio il primo ingresso del commissario Renzi nella barberia di Ettore.

 Ecco un estratto da Gli amanti di vico San Severino di Nicola Manzò
© 2014 TEA S.p.A., Milano

«Buongiorno», disse Renzi, entrando a fatica nella bottega del barbiere e riassettandosi gli abiti che la folla nella calca gli aveva stropicciato.

«Buongiorno, buongiorno signore.» Ettore il barbiere era un bel ragazzo bruno con due occhi neri e penetranti come due lame e un sorriso allegro e gioviale che metteva subito a proprio agio. «Prego, ragazzo, fai accomodare il signore», disse poi rivolto a Pierino, il suo secondo, che dimostrava a occhio e croce una settantina d’anni. Entrambi avevano sulla testa un berrettino da Babbo Natale che si illuminava ed emetteva il motivetto di Jingle bells.

Ettore poteva essere circa un metro e ottanta. Pierino non aveva fatto il militare perché, come si diceva in un tempo lontano, era cchiù curto d”o rrè. Era più basso del re Vittorio Emanuele III. E tutti quelli che erano più bassi del re non prestavano servizio, perché non avevano un’altezza da uomo. Un bel paio di baffoni sale e pepe (il pepe contraffatto, di sicuro) alla Don Peppone di Guareschi occupava gran parte di quel viso piccolo ed emaciato.

«Prego, dotto’, da questa parte. Ecco accomodatevi qua», e pigiò col piede una leva della poltrona e, mentre questa scendeva, con gesto elegante la fece girare verso il commissario che, sorridente, ringraziò e si accomodò. Pierino fece rigirare la poltrona, antica come la barberia che Ettore aveva ereditato da suo padre, che ancor prima l’aveva avuta da suo nonno, e cominciò a pigiare di nuovo sulla leva per portare il commissario all’altezza necessaria per lo specchio e per le sue braccia.

«Barba, capelli e shampoo?» chiese Pierino stendendogli addosso un grosso telo bianco che gli legò dietro alla nuca.

«No, grazie, vorrei soltanto fare la barba», rispose il commissario, poggiando il capo sul poggiatesta.

«Come vuole il signore», e, preparata la schiuma in una scodella di vetro, Pierino cominciò a insaponargli il viso con un enorme pennello che, manovrato da mani esperte e delicate, deponeva tanta schiuma senza invadere e senza debordare. Il commissario a occhi chiusi si lasciò andare a quel morbido massaggio, pensando a quanto fosse cordiale e sanguigno il carattere napoletano. Erano riusciti a metterlo subito a suo agio e a farlo rilassare come fosse tra amici. Chissà, forse era complice anche quell’atmosfera natalizia.

«Siete forestiero?» chiese Pierino, continuando a insaponare.

«Forestiero? Sono italiano», rispose Renzi un po’ sconcertato.

«Noi chiamiamo forestieri tutti quelli che non sono di Napoli, dotto’», intervenne Ettore con un sorriso. «Sapete, questo prima era il Regno delle due Sicilie, e chi veniva da fuori era forestiero.»

«Ah, capisco. Sì, sono forestiero. Sono di Milano. Come l’ha capito?» ribatté a Pierino con un sorriso malizioso.

«Eh, dotto’, mi volete canzonare. Si sente a un chilometro di distanza il vostro accento forestiero», rispose Pierino fintamente risentito. «Site venuto a compra’ i pastori? Turista nella nostra bella città, non è vero?» E, passando a un tono più sommesso: «Se volete comprare dei pastori “seri”, senza fregature per intenderci, vi mando io da una parte…»

«No, no. Non sono qui come turista. Mi trovo a Napoli da qualche giorno e penso che vi rimarrò per un bel pezzo. Sono il nuovo commissario della stazione del quartiere San Lorenzo.»

«Ah,quale onore! Il nostro nuovo comandante. Molto piacere. Io sono Pietro Esposito detto Pierino. Incensurato. »

«Molto piacere, Alfredo Renzi», il commissario gli strinse la mano.

«Ettore Montesomma. Molto piacere, commissario. E questo signore cui sto tagliando i capelli è..»

«Antonio Pezzella. A servirvi, commissa’», intervenne l’uomo alzandosi dalla poltrona per stringergli la mano. «Io tengo ‘na piccola friggitoria proprio qua vicino. Si chiama friggitoria San Biagio. Quando mi vorrete onorare, ve faccio mangiare i panzarotti e le paste cresciute più buone di Napoli. ‘Nu babà, commissa’…»

«Grazie, grazie, molto gentile, verrò a trovarla di sicuro. Anche se la linea mi consiglia di evitare le fritture», disse toccandosi la pancia.

Alfredo Renzi era un bel l’uo mo. Appena sovrappeso, un metro e settanta di altezza, brizzolato, lineamenti decisi e molto marcati, occhi neri e penetranti, ipnotici. «Mi dica, ignor Montesomma…»

«Ettore, signor commissario, Ettore. Se mi chiamate Montesomma, mi trattate da estraneo. Come devo dire… mi mettete a disagio. Qua ci chiamiamo tutti per nome: Pierino, Ettore, Antonio… ma lo chiamiamo Tonino.»

«Va bene, d’accordo, Ettore. Come le ho detto, sono nuovo del luogo e, poiché abito pure in zona… »

«Ah, davvero? E dove state di casa?» lo interruppe Pierino.

«Pieri’, nun fa’ dumande indiscrete al commissario», lo zittì Ettore.

«Uh, scusate, commissa’. Sapete com’è, qua ci intrighiamo di tutto e di tutti. È come una grande famiglia. »

«Non si preoccupi, non ho segreti. Ho preso casa in via Nilo, dove c’è quella grande statua che chiamano il Corpo di Napoli. »

«Commissa’, se vi fa piacere, vi racconto la storia di quella statua», disse Ettore con un sorriso.

«Ma certo. Devo dire che sono colpito, perché da quando sono a Napoli, soltanto pochi giorni, continuo a incontrare persone che mi raccontano della storia di questa città, chi meglio, chi peggio, ma tutte col cuore. È straordinario.»

«Qui c’è il culto della madre, commissa’, la Sirena Partenope. Ma chesta è ‘n’ata storia. Dunque, dovete sapere che quella statua non è altro che la raffigurazione del Fiume Nilo e fu messa in quel posto dagli Alessandrini, una grossa comunità di egiziani che abitò proprio nel cuore della Napoli greco-romana, più precisamente nella zona di Sedile di Porto. Oggi, questa zona è chiamata ‘O cuorpo ‘e Napule, proprio in riferimento alla scultura egizia che fu ritrovata lì. La statua, però, era acefala e fu creduta la raffigurazione di una donna.
Nel Seicento fu poi identificata da alcuni studiosi e così fu scolpita e aggiunta una testa barbuta. Quella che si vede oggi.»

«Addirittura egiziana!» esclamò Renzi.

«Ed è a quella comunità egiziana che dobbiamo l’esoterismo di cui Napoli è pregna. Comunque, ho capito dove abitate: state al secondo piano del civico 48.»

«E come lo sa?» chiese stupito il commissario.

«Commissa’, da queste parti trovare una casa sfitta, oggi come oggi, è ‘n’impresa. Quella casa l’hanno messa in fitto meno di un mese fa, e il proprietario, Don Attilio Porcaro…»

«Sì, è proprio lui!» Renzi era sempre più sorpreso.

«…me l’aveva anche affidata, non in esclusiva, si intende, per farla fittare.»

«A lei?»

«Non vi stupite, commissa’. Qua a Napoli, quando uno vo’ truva’ ‘na casa, informazioni su una persona, su un negozio, su un ristorante, dove vi credete che va? A dd”o barbiere, commissa’, dal barbiere», s’intromise Pierino, cominciandoad affilare il rasoio sul coramello, una lunga striscia di cuoio attaccata al muro.

(continua in libreria…)

 

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