Comprare libri nuovi, che poi si accumulano sul comodino. In giapponese esiste perfino una parola che descrive il fenomeno: ‘Tsundoku’…

Si legge una recensione accattivante, si viene colpiti da una certa copertina, si decide di fare un “giretto innocente” nella propria libreria di fiducia. E si finisce con il comprare un (altro) nuovo libro.

Ma poi c’è il lavoro (o lo studio), la famiglia, gli amici, lo sport. Gli impegni quotidiani che riempiono la giornata, e il tempo per leggere quell’interessante nuovo acquisto rischia di sfumare. Così i volumi si accumulano, uno dopo l’altro, sul comodino a fianco del letto.

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Spesso finiamo con il comprare libri che non riusciamo mai effettivamente a leggere. In Giappone esiste una parola per descrivere questo fenomeno: “Tsundoku“. Deriva dall’unione di due lemmi diversi: “tsunde” (cioè ‘impilare cose’) e “Oku” (ossia ‘lasciare lì per qualche tempo’). In realtà, come riporta il sito Quartz, un gioco di parole ha fatto sì che prima “Oku” diventasse “Doku” (cioè ‘lettura’) e poi l’unione “tsunde Doku” (vagamente cacofonico, e di certo difficile da pronunciare) sia sfociato in “tsundoku”, appunto.

Il fatto è, comunque, che l’abitudine a comprare compulsivamente libri che poi non si ha il tempo di leggere colpisce molti appassionati, tanto da generare in alcuni casi senso di colpa.

Per la scrittrice britannica Jeanette Winterson “collezionare libri può essere un’ossessione, una professione, una malattia, una dipendenza, un fascino, un assurdo, un destino. Non è un hobby. Chi lo fa è perché deve farlo”.

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