Stando a una ricerca, le amicizie tra donne durano di più (e fanno crescere l’aspettativa di vita del 22%). Su ilLibraio.it la riflessione autobiografica della scrittrice Alice Basso, che smonta una serie di cliché sulle amicizie femminili, citando libri, film e serie tv (come “Grey’s Anatomy”): “Anche fra amiche femmine non c’è bisogno di eclatanti dichiarazioni d’amore… Siamo molto meno teatrali, emotive, tendenti agli eccessi e sopra le righe di quanto al mondo piaccia ritrarci…”

L’unicità e la forza delle amicizie femminili, al di là dei cliché

 

Secondo il bell’articolo di Elvira Serra pubblicato recentemente dal Corriere della Sera, una ricerca ha dimostrato che l’amicizia femminile, fra le altre cose, può aumentare l’aspettativa di vita del 22%: il mio primo pensiero, però, è stato che io non sono esattamente un modello sul fronte delle amicizie con donne, e di conseguenza mi sta venendo il dubbio che potrei lasciare questo mondo prima del dovuto solo perché non sto facendo le cose nel modo giusto.

Perlomeno, questa è la conclusione a cui non posso che arrivare se paragono la mia esperienza all’iconografia popolare dell’amicizia femminile. È facile farsi un’idea di cosa pensa la gente quando sente la parola “amiche”. Basta accendere la tivù per collezionare un sacco di modelli di riferimento. Le quattro tizie di Sex & the City, per esempio. Le protagoniste di Grey’s Anatomy, che per svariate stagioni si sono guardate negli occhi e dichiarate fedeltà eterna tipo ogni tre puntate. Ma anche Jane Eyre bambina, che si lancia in grandi gesti sentimentali per la sfigatissima Helen, o Thelma e Louise che si aggrappano l’una all’altra mentre vengono travolte da una valanga di letame. Lasciamo pure stare le due Lorelei di Una mamma per amica o le quattro sorelle March, che hanno di mezzo i legami di sangue, e anche Idgie e Ruth di Pomodori verdi fritti, che ho sempre pensato e sperato essere più che semplici amiche, ma il quadro generale comunque è chiaro. Dite “amiche” in giro e le prime immagini che si formano nella testa della gente sono:

1) donne che sghignazzano e ancheggiano sbronze a braccetto fuori da un locale, vestite in maniera eccentrica, sboccate e prive di inibizioni, perché “solo quando sono con le mie amiche mi sento libera da ogni condizionamento sociale”;

2) per la stessa identica ragione, ma in versione speculare, donne in pigiamone di flanella, maschera-viso e bigodini, che mangiano gelato direttamente dal barattolo chiuse in camera sedute sul letto davanti a Guardia del corpo;

3) donne che si abbracciano singhiozzando e giurano che ci saranno sempre, sempre, l’una per l’altra finché morte non le separi, perché “le donne sono emotive, si sa”, e le cose che due uomini si comunicherebbero con una semplice pacca sulla spalla loro se le devono proclamare piangendo, altrimenti non vale.

Bene. Se io devo misurare la qualità delle mie amicizie femminili su questi cliché, posso chiuderla qua e rassegnarmi ad avere una vita il 22% più breve di quella di Carrie Bradshaw.

Il problema è che sotto sotto penso di avere ragione io e che ci siano molti aspetti dell’amicizia fra donne che, semplicemente, non sono come li si vuole far sembrare.

1) “Sentirmi libera di essere me stessa con te” non significa importi la mia parte peggiore. Già, perché l’amicizia, per come la vedo io, è prima di tutto una faccenda di stima e rispetto. E se io ti rispetto cerco, semplicemente, di non scaricarti addosso il peggio di me. E se capita, be’, capita. Perché può succedere, certo. Ci sono, quelle fasi della vita in cui il ragazzo t’ha mollata, o il capo ti rende la vita un inferno, e l’ansia fa di te una pazza maniaca che non sa parlare d’altro tutta la sera sfiancando anche il barman. Quei periodi in cui i problemi di autostima ti fanno strani scherzi, ti presenti vestita da escort e bevi troppo e le tue amiche, dopo averti sopportata tutta la sera, ti devono pure tenere i capelli quando finisci per vomitare. O quei momenti in cui la depressione ti divora e tutto ti sembra privo d’importanza, anche farti una doccia, dici “ho voglia solo di stare a casa, semmai venite voi da me” e le tue amiche si ritrovano in un salotto che pare un misto fra Srebrenica e la Gora dell’Eterno Fetore di Labyrinth. Per dire. Dopo sei felice che, se proprio doveva succedere, sia successo davanti a loro, che effettivamente ti comprendono e ti vogliono bene lo stesso. Ma il punto è che non lo fai apposta. Non esci con loro decidendo programmaticamente che quella sera farai cose di cui normalmente ti vergogneresti, “perché tanto con loro puoi”. Sarebbe mancanza di rispetto – di un rispetto che invece concedi a tutto il resto del mondo.

Quando io incontro le mie amiche, di solito andiamo o a casa le une delle altre o in posti tranquilli in cui la musica ci consenta di parlare, l’unica cosa di cui in fondo ci frega davvero. Fine. Nessun particolare eccesso o disinibizione. E ci vestiamo normali: non in tiro come la Squadra Speciale Rimorchio, perché se stai uscendo con la tua amica il più delle volte vuoi passare la serata con la tua amica, non con la tua amica e i due tizi arrapati seduti al tavolo accanto, ma nemmeno in tuta e ciabatte, perché, come dicevo, fra amiche ci si rispetta e alle persone che rispetti non imponi la visione delle tue unghie dei piedi non curate o dei tuoi capelli unti. Insomma, qualche sceneggiatore si stupirà, ma a volte le amiche che si incontrano, viste dall’esterno, possono addirittura somigliare a due sobrie colleghe di lavoro che vogliono solo condividere la pausa pranzo in santa pace.

2) Anche fra amiche femmine non c’è bisogno di eclatanti dichiarazioni d’amore. Io non ho mai afferrato una mia amica per le spalle e mugolato in lacrime “io per te ci sarò sempre, fino a che morte non ci separi!”. Né una mia amica s’è mai sognata di farlo con me. Se l’avesse fatto, mi avrebbe pure un po’ spaventata. Eppure accendi la tivù e ti sembra che, se in una fiction qualsiasi due ragazze non si scambiano almeno una volta una promessa del genere, possibilmente singhiozzando avvinghiate, la loro amicizia manchi di qualcosa. Perché, appunto, le donne sono emotive e se credono fortemente in qualcosa devono declamarlo piagnucolando. Che palle.

Ma che razza di senso ha fare questi proclami pure un po’ morbosi, questi giuramenti roboanti – e in più, già che ci siamo, farli in maniera chiassosa e teatrale? Chi ha deciso che “far parlare i fatti” fosse solo roba da uomini? E che le donne invece avessero il monopolio degli strilli e delle chiassose manifestazioni emotive? Voglio dire, li avete mai visti certi tifosi maschi la domenica? Forse far parlare i fatti era roba da rudi cowboy dei western degli anni Sessanta. Ma, diciamocelo, l’uomo medio di oggi sta a John Wayne come la donna media sta a Doris Day, quindi.

La mia migliore amica la conosco dalle medie, è stata la mia migliore amica dal primo momento e posso ragionevolmente prevedere che lo rimarrà in futuro, e se una delle due avesse mai osato proclamare singhiozzando all’altra “io per te ci sarò sempre” l’altra le avrebbe risposto “fatti una vita” e offerto una birra.

In sostanza, il punto è che – perlomeno nella mia esperienza – siamo molto meno teatrali, emotive, tendenti agli eccessi e sopra le righe di quanto al mondo piaccia ritrarci. La cosa guasterà la festa a svariati sceneggiatori e scrittori, ma è così, fatevene una ragione. E il punto è anche, maledizione, che per colpa vostra una come me, che coltiva da anni le sue amicizie femminili senza collezionare gesti eclatanti, scenate, proclami o turbolenze, deve pure farsi venire il dubbio di non avere diritto a quel 22% di bonus-età a causa di uno scarso punteggio nel settore. Be’, sapete cosa? Tenetevi le turbolenze e le scene madri e lasciate in pace le persone equilibrate e noiose come noi; quando avremo consumato quel 22% che, ormai ho deciso, ci spetta di diritto, io e le mie amiche brinderemo alla vostra salute con del tè alla menta (la birra ce l’avrà proibita il medico da tempo, a causa dell’età).

L’AUTRICE – Alice Basso è nata nel 1979 a Milano e ora vive in un ridente borgo medievale fuori Torino. Lavora per diverse case editrici come redattrice, traduttrice, valutatrice di proposte editoriali. Nel tempo libero finge di avere ancora vent’anni canta e scrive canzoni per un paio di rock band. Suona il sassofono, ama disegnare, cucina male, guida ancora peggio e di sport nemmeno a parlarne. Con Garzanti ha pubblicato L’imprevedibile piano della scrittrice senza nome e Scrivere è un mestiere pericoloso.

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