John Cheever, maestro del racconto, ha saputo narrare i segreti e i turbamenti della middle class americana. Ha scritto romanzi che sono diventati celebri come “Cronache della famiglia Wapshot” e “Falconer”, ma sono i suoi “Racconti”, con cui ha vinto il Premio Pulitzer, a rappresentare l’apice della sua opera – L’approfondimento

In un racconto intitolato Una radio straordinaria, lo scrittore americano John Cheever (Quincy, 27 maggio 1912 – Ossining, 18 giugno 1982) racconta la vicenda di una coppia convinta di essere felice e che si trova, per un errore di ricezione di una radio appena comprata, ad ascoltare segreti e drammi dei vicini di casa scoprendo così di non essere, in effetti, tanto serena come pensava.
Tutta l’opera di Cheever potrebbe, come scrive Andrea Bajani, essere paragonata alla miracolosa radio dei Westcott, per la sua capacità di sintonizzarsi su segreti, bugie e turbamenti della middle class americana (ma leggendo oggi Cheever potremmo riconoscere nei suoi racconti una middle class più genericamente occidentale).

John Cheever: i segreti e i turbamenti di un americano

Di turbamenti, John Cheever ne ha vissuti un buon numero direttamente sulla sua pelle. Nato nel 1912, attraversa un’adolescenza turbolenta che per un certo verso si conclude quando si lega in precoce matrimonio alla figlia di un preside di facoltà di Yale, Maria Winternitz. Padre di tre figli, Cheever è segretamente fedifrago e tormentato dalla consapevolezza di una bisessualità impensabile nell’America puritana dell’epoca. Cheever scriveva di cose che conosceva bene, grazie alla limpida autoanalisi testimoniata dai suoi diari, e all’osservazione del suo quartiere di Manhattan e di Ossining, subburb di lusso sull’Hudson in cui vive dal 1961.

I racconti di John Cheever

Nei suoi romanzi e nei suoi racconti John Cheever si occupa principalmente di famiglie, famiglie felici con qualche screzio, famiglie infelici, famiglie distrutte: così come va la vita, insomma. Racconta uomini che vanno a lavorare a New York e la sera tornano in provincia, in paesi che sono una sequela di villette con piscina, da mogli annoiate che cercano di impegnare le lunghe ore della giornata tra cocktail e aste di beneficenza.
È un’America che il lettore italiano riconosce molto bene d’altronde, grazie all’interesse che la nostra editoria ha dimostrato, dal dopoguerra a oggi, nei confronti della letteratura americana. Strano, dunque, che fino al poderoso lavoro di ripubblicazione dell’opera di Cheever, da parte di Feltrinelli, nel nostro paese fossero uscite fino a pochi anni fa solamente un paio di romanzi e qualche raccolta di racconti estremamente parziale.

I racconti: amore e morte nell’opera di Cheever

La produzione più famosa di John Cheever è sicuramente quella dei racconti (I racconti, edito da Feltrinelli, è una raccolta di sessantuno testi curata da Cheever stesso e con cui lo scrittore ha vinto il Premio Pulitzer e il National Book Critics Circle Award nel 1979 e il National Book Award nel 1981). Lunghi tra la decina e la trentina di pagine, riescono a inquadrare con limpidezza disarmante l’interiorità segreta dei loro protagonisti. Tuttavia lo stile di Cheever non trasmette mai, in chi legge, il nervosismo provato dai suoi personaggi, e il lettore non incontrerà neppure drammi irrisolvibili e morti violente, come precisa l’autore-narratore in una celebre frase contenuta nel racconto che chiude la raccolta, I gioielli dei Cabot: “Nell’ultimo capitolo la nave rientra in porto, i bambini vengono salvati, i minatori vengono estratti da sottoterra”.

Cronache della famiglia Wapshot di Cheever

Il lavoro di John Cheever è, semmai, la comprensiva analisi degli impulsi contraddittori che ci contraddistinguono come esseri umani e la cui somma e i cui vuoti fanno di noi le persone che siamo, o che vorremmo essere. La trama, dunque, diventa per Cheever un mezzo per comunicare un significato altro, come il lento incubo in cui sprofonda il protagonista del suo racconto più celebre, Il nuotatore, che dopo una festa in piscina da amici cerca di tornare a casa passando per le piscine delle proprietà che separano le due dimore. O ancora come la lite tra fratelli di Addio fratello mio, che si consuma tra non detti e amare incomprensioni, o la tragicomica ricerca, raccontata in La morte di Justina, di qualcuno che porti via la salma di una vecchia cugina deceduta in un lotto di terra in cui, per decreto comunale, è vietato morire.

Amore e morte, si potrebbe dire, sono i due grandi argomenti che polarizzano l’opera di Cheever. O più nel dettaglio, le sofferenze causate dall’amore e le sofferenze causate dalla morte, il lento lavorio mentale che provocano in ogni persona e per cui i racconti e i romanzi di Cheever assumo una valenza se non universale sicuramente valida per il mondo occidentale.

John Cheever, pervicacemente, forse ossessivamente, ricerca ciò che si nasconde dietro le azioni e le inazioni, le modulazioni della voce e quelle del silenzio. Rispettoso, anche nella propria vita di padre e marito, dei valori tradizionali e consapevole della loro importanza, Cheever manifesta come spesso questi vengano utilizzati come uno scudo relazionale o, nel peggiore dei casi, come mezzo per dar sfogo ai peggiori – seppur umanissimi – istinti.

Il romanzo Falconer

Un americano a Roma

Oltre all’America c’è un secondo luogo con cui Cheever ha un legame profondissimo: si tratta dell’Italia. John Cheever, che nel 1957 ha abitato a Roma e ha visto persino nascere un figlio nel nostro paese, ha scritto diversi racconti ambientati in Italia. Se per certi versi alcuni elementi possono per un lettore nostrano rasentare il cliché, come l’italiano seduttore e imbroglione che frequenta la madre del protagonista di Boy in Rome, per altri versi ben tratteggiano l’Italia ancora arcaica – e agli occhi di un americano indubbiamente folcloristica – pre-boom industriale. La storia della domestica di Cheever, ad esempio, è romanzata in Clementina, racconto che segue il viaggio fisico ed esistenziale di una ragazza nata in un paesino del centro-sud che segue negli Stati Uniti la famiglia americana per cui presta servizio. Fa sorridere constatare che, mezzo secolo dopo, al lettore sembri molto più vicina la vita di Clementina negli States, tra elettrodomestici e abiti moderni, rispetto alla miseria che contraddistingue la sua esperienza italiana, segnata da parenti superstiziosi, preconcetti profondamente maschilisti, e ambientazioni romane decadenti.

I romanzi di Cheever

Anche nella produzione romanzesca, probabilmente meno incisiva della narrativa breve, che resta la più fortunata cifra stilistica di Cheever, l’autore continua l’indagine sulle tematiche a lui care: i legami familiari e amorosi e il rapporto degli uomini con lo scorrere del tempo. Da questo punto di vista il testo che più si avvicina ai racconti è Cronache della famiglia Wapshot, del 1957, mentre con i più cupi Falconer, del 1977, e Bullet Parkdel 1969, Cheever si addentra in vicende più cupe, segnate dal delitto e dalla morte. L’ultimo romanzo pubblicato, a pochi mesi dalla morte di Cheever, avvenuta nel 1982, è Sembrava il paradiso, quasi un lascito, in cui Cheever mette in scena i dubbi e i ricordi di un vecchio protagonista, vedovo e omosessuale, che per molti versi riflettono le inquietudini sessuali dell’autore.

Sembrava il paradiso, letteratura americana

È chiaro che la complessa e mastodontica opera di Cheever non possa essere esaustivamente riassunta dalla vicenda di Sembrava il paradiso, e molto probabilmente neppure dallo splendido incipit del racconto Solo un’altra volta, ma possiamo almeno considerarlo come un inizio: “Non ha senso volersi concentrare sui problemi, ma in qualsiasi descrizione esaustiva e reale della città in cui tutti noi viviamo non si può non spendere una parola in più per gli irriducibili, i parassiti, quelli che non si sono mai adattati né arresti, gli insaziabili che abbiamo conosciuto tutti prima o poi”.

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