“Dentro di me si fece largo l’idea dell’apnea come un luogo, un corridoio vero e proprio, un luogo di passaggio per accedere a un altrove. Non vidi più l’apnea come uno sport qualunque. Per dirla con le parole di un altro apneista, Umberto Pelizzari: il sub s’immerge per guardarsi intorno, l’apneista per guardarsi dentro”. Su ilLibraio.it la riflessione di Kareen De Martin Pinter, autrice del romanzo “Dimentica di respirare”

In principio ci fu L’uomo delfino di Jacques Mayol. Non ricordo come arrivò in casa mia, ma ricordo bene che qualche tempo dopo aver finito una delle ultime stesure del mio precedente romanzo, L’animo leggero, ripresi in mano questo libro e iniziai a esserne assorbita, goccia dopo goccia. Il mare, certo, ma soprattutto il respiro, dentro al quale Mayol si tuffava ancora prima di toccare l’acqua. Un viaggio all’indentro, a spingere la carne più in là e stoccare aria. Il respiro, come una persona, con cui dialogare, da aiutare, contro il quale arrabbiarsi, da perdonare. Il primo viaggio in verticale dell’apneista è dentro sé stesso. Quando lo lessi, Mayol era morto da pochi anni e io avevo appena partorito. E intrecciai questa lettura all’atto respiratorio, un movimento che va e viene con nel mezzo una pausa, una sospensione: il neonato nell’attesa di riempire i suoi polmoni per la prima volta, il morente per schiudersi a un altro mondo. Dentro di me si fece largo l’idea dell’apnea come un luogo, un corridoio vero e proprio, un luogo di passaggio per accedere a un altrove. Non vidi più l’apnea come uno sport qualunque. Per dirla con le parole di un altro grande apneista, Umberto Pelizzari: il sub s’immerge per guardarsi intorno, l’apneista per guardarsi dentro.

Ho imparato che per fare apnea devi avere qualcosa a cui pensare. Una sera un apneista mi ha confessato che quando non riusciva più a immergersi nei suoi pensieri e a seguirli come fossero bollicine di aria, iniziava a contare le mattonelle della piscina, mettendosi delle regole: prima da destra a sinistra, dall’alto verso il basso, poi dal basso verso l’alto da sinistra a destra. Per smettere di respirare devi tenere la mente al guinzaglio, impedirle di andare in giro dove vuole lei. Impedirle di andare dove?, mi chiedevo. A livelli estremi, chi scende in apnea, come ha scritto David Le Breton, ha un grande bisogno di provare la sua innocenza, di rimetterla nelle mani del mare. E’ l’ordalia di oggi, un rito che lava via la colpa, o uccide.

Poco tempo dopo mi capitò un libro sotto mano, Marie de Hennezel sull’accompagnamento ai malati terminali. La prefazione di François Mitterand iniziava così: come morire? Avevo già letto sulla tendenza contemporanea a nascondere la morte, a relegarla negli ospedali, a far occupare altri di questa faccenda, dei professionisti. Sfiorai l’idea che la morte, se vissuta con lentezza, nel tempo e senza sofferenza, possa far diventare ciò che si è chiamati a divenire. La morte che aggiunge un pezzetto dell’essere, non lo toglie. Che mette al mondo, fa nascere.

E poi quella frase dell’uomo, malato terminale, amato da Cicely Saunders, la fondatrice del primo hospice a Londra: voglio essere una finestra della tua casa. Lui stava morendo e avrebbe lasciato a lei quei pochi soldi che aveva per realizzare il suo sogno di aprire una casa per chi ormai non aveva più bisogno di cure mediche. Coloro per cui bisognava imparare a stare fermi, che bisognava vegliare, in silenzio.

Silenzio. Dimenticarsi di respirare. Rinascere. Prese a gonfiarmi il petto un personaggio che si partoriva alla vita lungo il filo del suo respiro, a ogni apnea. Iniziavano a frullarmi in testa strane idee e quando vidi le fotografie delle pescatrici Ama scattate da Fosco Maraini, qualcosa in me ha esclamato che sarebbero piaciute a Jacques Mayol. Come gli piacevano i delfini. E che volevo scrivere un libro sull’ultimo tuffo negli abissi del respiro, dove è facile perdersi, tra superfici ghiacciate e mostri marini.

Kareen De Martin Pinter

L’AUTRICE E IL LIBRO – Kareen De Martin Pinter (nella foto di Klara Beck, ndr), bolzanina classe’75, ha esordito con L’animo leggero (Mondadori, 2013), vincitore del Premio Volponi opera prima. Il suo nuovo libro, Dimentica di respirare (Tunuè) sarà pubblicato anche in Francia in autunno. La trama porta il lettore a incontrare Giuliano, che ha iniziato a smettere di respirare fin da bambino, fuori e dentro l’acqua, per gioco e attitudine naturale. Da ragazzo incontra Maurizio – un allenatore di fama, dai metodi fermi e a tutta prima incomprensibili – che lo porta a battere ogni record di apnea e, soprattutto, a conoscere la verticalità dell’oceano. L’immersione, il blu profondo dell’acqua che avvolge e regna, insieme al rallentare dei battiti del cuore, mutano le regole del tempo e della coscienza di Giuliano, che si spalanca ai sogni: quelli che mostrano i lati oscuri del passato e ciò che si nasconde dietro la vita stessa. Un giorno, alla vigilia di una gara importantissima, il campione si sveglia in preda a un accesso di tosse che non accenna a smettere. La diagnosi sarà impietosa, ma Giuliano, deciso a farla finita senza attendere una lunga agonia, si sente pronto a lanciarsi per un ultimo tuffo, che lo porterà dentro alla pancia del mondo…

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