Lo smart working, o lavoro agile, sta per diventare legge. Su ilLibraio.it il commento di Lorenzo Cavalieri, autore de “Il lavoro non è un posto”, che avanza dei dubbi: “Perché disciplinare una forma di organizzazione del lavoro che nasce ‘libera’, proprio per uscire dagli schemi tradizionali ‘regola/controllo/burocrazia’?”

Lo smart working, o lavoro agile, sta per diventare legge. Il governo ha voluto dare una disciplina a una forma di organizzazione del lavoro che grazie alla tecnologia si è imposta in tanti luoghi di lavoro: si lavora da casa (o da altri luoghi diversi dalla sede dell’azienda) rompendo il meccanismo di controllo che tanto ci fa penare e tanto ci fa sorridere, dal cartellino di Fantozzi al badge in mutande dei vigili di Sanremo.

Di questi tempi di “smart working” e “worklife balance” (l’equilibrio tra tempo dedicato al lavoro e tempo dedicato alla vita privata) è facile riempirsi la bocca. Sono certamente temi di moda, anche se molti studi dimostrano un incremento della produttività di quelle organizzazioni che permettono ai propri lavoratori una maggiore flessibilità di tempo e di spazi, il lavoro agile per l’appunto.

Ma cosa succede ora con la legge? Secondo chi l’ha voluta “si riempie un vuoto normativo”, come se gli italiani vivessero nell’ansia per non avere ancora una disciplina del “lavoro da casa”. In realtà, dalle anticipazioni di stampa, vengono fuori delle previsioni normative “di cornice”, generiche, che rimandano sostanzialmente alla volontarietà degli accordi tra le parti. E qui sorge il dubbio: perché disciplinare una forma di organizzazione del lavoro che nasce “libera”, proprio per uscire dagli schemi tradizionali “regola/controllo/burocrazia”? Perché burocratizzare una forma di lavoro che è figlia di un bisogno di superare burocrazie e paletti normativi? Una buona risposta sarebbe: “qualcuno se ne approfittava, c’era del contenzioso, siamo dovuti intervenire”. Ma è davvero così? Lo smart working era in cima alle preoccupazioni dei giudici del lavoro? Purtroppo è più facile pensare che la legge sia stata voluta perché qualche politico e qualche consulente potesse dire “il lavoro agile in Italia l’ho introdotto io”.

Nei fatti cambierà qualcosa? I riferimenti normativi a privacy, sicurezza, orari e retribuzione incrementeranno l’utilizzo e miglioreranno la qualità del lavoro agile in Italia? Il rischio è che paradossalmente accada il contrario. Non pensiamo alle grandi aziende strutturate che già utilizzano massicciamente lo smart working (senza alcuna legge Vodafone in Italia nel 2014 ha coinvolto 2300 persone in progetti di lavoro agile per un giorno alla settimana). Pensiamo alle PMI, molto più timide nell’interesse verso il lavoro agile (una su due non dichiara il minimo interesse in merito). Fatalmente l’imprenditore, già scettico in partenza (oddio, perdo il controllo sulle mie risorse), verrà definitivamente spaventato dalla necessità di misurarsi con una regolamentazione che porta inevitabilmente con sé adempimenti burocratici e costose consulenze varie. Insomma ce n’era davvero bisogno?

In fondo la bellezza dello smart working sta proprio nel rapporto “maturo e trasparente” che si crea tra lavoratore e datore di lavoro: “Mi fido di te, non mi interessa dove sei, mi interessa che lavori per raggiungere un risultato”; “Mi fido di te, so che mi valuterai per i risultati che ti porterò e non per il numero di ore che passo in ufficio”. Nei rapporti belli le regole e previsioni disciplinari di solito non aggiungono niente, anzi purtroppo spesso generano incomprensioni e diffidenze.

L’AUTORE – Lorenzo Cavalieri è laureato in Scienze Politiche e ha conseguito l’MBA presso il Politecnico di Milano. Dopo aver ricoperto il ruolo di responsabile commerciale in due prestigiose multinazionali, si occupa dal 2008 di selezione, formazione e sviluppo delle risorse umane. Attualmente dirige Sparring, società di formazione manageriale e consulenza organizzativa.
www.lorenzocavalieri.it è il blog in cui raccoglie i suoi articoli e interventi.
È in libreria per Vallardi  Il lavoro non è un posto.

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