“Nelle famiglie nascono le prime parole, quelle pronunciate e quelle indicibili, e le storie che magari diventeranno materia di romanzo”. Su ilLibraio.it la riflessione della scrittrice Marina Mander, che torna in libreria con “L’età straniera”

“Famiglie a geometria variabile”, così Smallfamilies, una piccola ma importante associazione con cui ogni tanto collaboro, le definisce. Monadi monoparentali e nuclei che si sgangherano e poi si ricompongono, figli che si smarriscono, si incazzano pur cercando quiete, o coppie che si tengono insieme malamente, assistite più che dal buon senso, dagli avvocati. O, ancora, fortezze “disfunzionali” come nel geniale film di Yorgos Lanthimos, Kynodontas, dove la dittatura genitoriale si regge sulla falsificazione del vocabolario: il mare è una poltrona e il gatto una belva sanguinaria, il nemico creato ad hoc.

Nelle famiglie nascono le prime parole, quelle pronunciate e quelle indicibili, e le storie che magari diventeranno materia di romanzo, “l’infanzia ritrovata a volontà” di Baudelaire. Una materia caotica riversata sulle pagine, giocoforza contraddittoria, che si può raccontare ma non redimere.

Di questi giorni la notizia di un bambino di dieci anni che veglia per ore la madre morta. Vorresti che queste fossero solo tristi fantasie. E invece accade, a Milano, non in quella periferia scomoda della mente in cui si segregano i timori abbandonici e gli incubi peggiori, forse per esorcizzarli. La prima vera bugia, scritto più di dieci anni fa, racconta una storia del 20 febbraio 2019. Non è cambiato molto: estraneità e solitudine sono sempre vicini di pianerottolo, anche a City Life, o nel mio condominio, poco distante dalla Madonnina. Penso a Room, il film tratto dal romanzo di Emma Donoghue, ispirato a sua volta da una storia vera: una ragazza prigioniera per anni che cresce il figlio in una cantina, e nessuno se ne accorge.

Oppure. La malattia che irrompe nel quieto vivere. Una coppia anestetizzata che ha dimenticato i termini dell’accudimento e non sa perciò consolare il figlio in attesa di un trapianto mentre il mondo, là fuori, inneggia agli unici eroi possibili, i calciatori, portatori sani di un’energia muscolosa, che ammalia le folle e che in ben più subdole forme è tornata in auge: Nessundorma. La retorica da un lato e l’incapacità di trovare le parole giuste dall’altro, e il conseguente precipitare nell’acting out.

Qualcos’altro: quando alla geometria variabile si intreccia la geografia. L’estraneo non è più solo il nuovo compagno della madre come accade in molte smallfamilies, estraneo non è solo il corpo adolescente che esorbita, ma è uno straniero che si aggira per casa. È un prostituto rumeno che con la sua muta indifferenza innesca nel protagonista Leo un vortice di interrogativi: sulla sessualità, sulla gadgettizzazione della vita, sull’ambiguità del concetto di altruismo: chi fa bene a chi? Scritto prima del 4 marzo 2018, L’età straniera, è un percorso accidentato, per prove ed errori, in un terreno minato da buonismi e cattivismi. Ma al rimuginare di Leo, angry young man ai tempi della crisi d’inizio millennio, nel suo confrontarsi con un immaginario tribunale dove la parola diventa surreale e persecutoria, fa da contrappunto lo svolgersi dell’esperienza come cartina di tornasole di quell’umanità che dovremmo avere installata nel sistema operativo dalla nascita. Leo a poco a poco supera le paure, in primis quella che l’altro possa sottrargli qualcosa, l’affetto della madre o il vantaggio secondario di un trauma.

Ora, invece, pare che tutti abbiano paura di essere derubati di tutto, cioè del nulla dal quale ciascuno è posseduto. Un altro romanzo scritto prima che la realtà superasse la fantasia. Se fossimo nel ‘68 sarebbe una specie di Teorema, dove l’irruzione dello straniero, con il suo essere anche erotico, turba coscienze aurorali e famiglie borghesi, ma la logica è saltata e lo scandalo è vecchio. C’è una scena in cui Leo sogna una scimmia crocifissa, siamo sempre noi. Ma è facile dimenticare quanto sia sacro un corpo solo e nudo, alla deriva di qualsiasi mare. Bisogna continuare a scriverlo, tornando alle parole prime.

Marina Mander L'età straniera

IL LIBRO E L’AUTRICE – Marina Mander è l’autrice di origini triestine del romanzo L’età straniera (Marsilio). Il protagonista del libro, Leo, è un ragazzo che non studia molto, ma che è comunque bravo a scuola. Ha una madre, Margherita, ma il padre è affogato in mare. Leo odia le cose, specialmente il mare, finché nella sua vita non compare Florin, un ragazzino rumeno che non studia, non ha madre né padre – o forse sì ma non ci sono. Florin si prostituisce e la madre decide di ospitarlo, sistemandolo in camera di Leo, perché la casa è piccola e perché “forse potete farvi bene l’un l’altro”.
Mander, già autrice di romanzi come Manuale di ipocondria fantastica (Transeuropa) e Catalogo degli addii (Editions du Rouergue), racconta la storia di questi due ragazzi: Leo, tutto cervello, e Florin, tutto corpo, ma entrambi adolescenti, con ferite profonde e corpi e sentimenti giovani. Comincia così l’avventura del loro viaggio: mistico per Leo (in continuo contatto con un tribunale immaginario che cerca di convincerlo di aver ucciso il padre) e fisico per Florin (in balia di uomini violenti in un mondo più violento ancora).

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