“Io venia pien d’angoscia a rimirarti”, ormai introvabile romanzo di Michele Mari, torna in libreria. E’ una sorta di apocrifo leopardiano – il titolo è una citazione dal canto “Alla luna” – in cui si alternano la rivisitazione della vita e delle opere di un giovane poeta e gli elementi di un romanzo nero: delitti efferati, coincidenze lunari, antiche vicende di sangue, accadimenti sovrannaturali…

Recanati, 1813. In un austero palazzo nobiliare, il giovane Orazio Carlo tiene un diario nel quale riporta le parole e le azioni del fratello maggiore, Tardegardo Giacomo. Ad attirare l’attenzione del ragazzo è il comportamento misterioso di Tardegardo, che si diletta di poesia e ha tranquille abitudini da erudito, ma è anche roso da una sconvolgente irrequietezza. Nel frattempo, in paese, alcuni episodi cruenti turbano la serenità degli abitanti.

michele mari

Si alternano così la rivisitazione della vita e delle opere di un giovane poeta e gli elementi di un romanzo nero, come delitti efferati, coincidenze lunari e antiche vicende di sangue. Riprendendo i modi della prosa italiana dell’Ottocento, in Io venia pien d’angoscia a rimirarti (riportato in libreria da Einaudi dopo essere diventato quasi introvabile) Michele Mari conduce un gioco raffinato e costruisce una sorta di “pastiche” o “mashup” letterario, che è ad un tempo l’esecuzione musicale di un apocrifo leopardiano ed una originale variazione sul tema del doppio.

Michele Mari, classe 1955 è professore di letteratura italiana, traduttore e scrittore. La cifra dei suoi romanzi è spesso quella di coniugare elementi fantastici, gotici, horror e fantascientifici con una forte dimensione letteraria, che guarda ai grandi della letteratura italiana moderna  e contemporanea.

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