È in libreria il romanzo “Il ladro gentiluomo”, ottavo capitolo della serie “L’allieva”, che torna anche in tv con la seconda stagione della fiction. Per l’occasione, ilLibraio.it ha intervistato la scrittrice Alessia Gazzola. Tanti i temi affrontati, tra cui certi pregiudizi: “Se scrivi cose leggere, è come se venissi relegata a un genere, un qualcosa di superficiale, e quindi non meritevole di attenzione. Per fortuna c’è il pubblico…” 

Qualche anno fa, all’uscita del romanzo L’allieva (Longanesi, 2011), Luciana Littizzetto sentenziava a proposito del lavoro della giovane Alessia Gazzola – allora ventinovenne: “Scritto bene, intelligente e fa morir dal ridere”; definizione sintetica e quanto mai veritiera.

Oggi la serie sulla dolcissima Alice Allevi è arrivata all’ottavo libro, Il ladro gentiluomo. Il successo è dirompente anche in tv: su Rai 1 la serie L’Allieva, diretta da Luca Ribuoli, sceneggiata da Peter Exacoustos insieme alla stessa Gazzola e interpretata da Alessandra Mastronardi e Lino Guanciale, è arrivata alla seconda stagione.

Alessia Gazzola - Torino 2018 ©Yuma Martellanz

Tutte le famiglie sognano un figlio dottore. E i genitori di Alice, sacrofanesi DOC, sono fieri della loro bambina, laureata in medicina a Roma. Ma di tutte le specializzazioni possibili, Alice Allevi ha scelto quella più macabra, e pure maschilista, a dirla tutta. È specializzanda in Medicina Legale, pappa e ciccia coi cadaveri (a cui, in effetti, non c’è mai da dare cattive notizie) e, nonostante sia leggermente distratta – perdere un morto in giro per l’istituto che sarà mai? – ama quello che fa, e ce la mette tutta. Certo, il suo diretto superiore, Claudio Conforti, CC per la nostra protagonista, “bello come James Franco nella pubblicità di Gucci by Gucci e probabilmente l’uomo più stronzo dell’intero universo”, con la sua aitante presenza ha contribuito, ma è la passione a muovere Alice.

Attraverso gli otto libri della serie – ricordiamoli: L’allieva (2011), Un segreto non è per sempre (2012) Sindrome da cuore in sospeso (2012) Le ossa della principessa (2014), Una lunga estate crudele (2015), Un po’ di follia in primavera (2016), Arabesque (2017), Il ladro gentiluomo (2018) – Alice si è destreggiata tra casi misteriosi e, insieme al professor Calligaris, si è improvvisata detective, unendo all’intuizione la sua conoscenza forense (che esiste, anche se spesso lei se ne dimentica). Anche la sua vita sentimentale è un enigma, divisa com’è tra il bel Conforti e Arthur Malcomess, il figlio del boss dell’istituto.

alessia gazzola il ladro gentiluomo copertina

In Arabesque avevamo lasciato Alice in balia dei drammi d’amore, tanto forti da farle richiedere il trasferimento. E, anche se la situazione si era successivamente sistemata, la Wally non dimentica; così Alice è spedita a Domodossola. Sì, proprio quella, la D di Domodossola di Mike Bongiorno, la città che tutti usano al gioco di nomi, cose, città, per la precisione nell’allettante e evocativa Regione Siberia. E qui è ambientato Il ladro gentiluomo.

Alice è cresciuta. Il trasferimento significa non solo stare lontana da CC, proprio ora che la loro relazione sembrava aver raggiunto un certo equilibrio, ma è soprattutto un’occasione per tirare fuori il suo talento e le sue capacità. La ragazza è presto chiamata a svolgere l’autopsia del giovane Arsen, morto dopo una caduta di diversi piani dal balcone della casa che stava derubando. Nello stomaco del ragazzo Alice trova una pietra preziosa, preziosissima: il Beloved Beryl, diamante rosa dal valore inestimabile, e quando un uomo in divisa chiede che gli si consegni la pietra, Alice non si fa alcun problema, anche se questo dice di chiamarsi Alessandro Manzoni. Tra Roma e Domodossola, le indagini si faranno sempre più ingarbugliate, tanto da richiedere l’intervento del nostro caro, carissimo CC…

Alessia Gazzola, com’è nata la storia de Il ladro gentiluomo e del preziosissimo Beloved Beryl?
“Era da un po’ che volevo mettere Alice sulle tracce di una pietra leggendaria. L’ispirazione è venuta un passo alla volta, e da direzioni molto diverse: in primis sono stata folgorata dalla lettura de La pietra di luna di Wilkie Collins, un romanzo che ho adorato, incentrato proprio su questo argomento. La conferma me l’ha poi data mia figlia Eloisa: si era fissata su un cartone animato, Shimmer And Shine, e dopo qualche puntata mi si è avvicinata e mi ha chiesto di raccontarle una storia su un diamante, ma che fosse rosa. E così ho fatto”.

Il ladro gentiluomo è il primo romanzo in cui Alice si sposta dalla sua amata Roma, per raggiungere la fredda Domodossoland. Qual è, se c’è, il suo legame con queste due città? Come mai una messinese/veronese ha scelto per la sua serie la Capitale? E soprattutto, perché ha fatto intraprendere ad Alice questa nuova avventura proprio ora?
“Suonerà banale, ma amo Roma. Non ci ho vissuto per lungo tempo, ma ci sono stata spesso, per brevi periodi. Quando la storia di Alice ha cominciato a frullarmi in testa – era il 2008, leggevo tanti romanzi ambientati a Londra, New York, Parigi, e io, che mi immaginavo uno scenario metropolitano, mi sono trovata a scegliere tra Roma e Milano. Non me ne vogliano gli amici milanesi, ma ha vinto la Capitale”.

E Domodossola?
“È stata una scelta funzionale: mi serviva una città di confine, apparentemente ostile e, soprattutto, immaginavo un posto dove nessuno avrebbe mai deciso di andarci per scelta. In fondo, quello di Alice è un esilio, una punizione: come metterla più in difficoltà, freddolosa com’è, se non mandarla in Regione Siberia? Ma, alla fine, ciò che conta, per me, è il senso di questo viaggio: al di là del fatto che siamo arrivate all’ottavo libro, e quindi era proprio il momento di farle cambiare aria, volevo far trasparire il fatto che Domodossola non fosse un luogo migliore o peggiore di altri. Se stai bene con te stessa, ogni luogo è casa”.

Com’è cambiata la visione di Alice dopo l’arrivo della serie tv? Ha in qualche modo influenzato la sua scrittura e, quindi, il personaggio?
“La serie ha influenzato parecchio la mia scrittura sotto molti punti di vista, ma sono stata fortunata. Trovo che gli interpreti siano azzeccati, al punto che quando devo scrivere una scena, immagino direttamente Alessandra e Lino a interpretarla. Soprattutto sul tratteggiare i personaggi secondari: la serie mi ha aiutato a migliorarne la caratterizzazione, ridare spazio a personaggi che durante la narrazione avevo messo un po’ da parte. Penso ad esempio a Marco, il fratello di Alice: vederlo in tv me l’ha fatto sentire di nuovo vicino, e questo mi ha fatto venire voglia di scriverne. Infine, partecipare alla scrittura dei soggetti e delle sceneggiature mi ha insegnato tanto sulla la gestione del ritmo e della tensione della storia. Trovo questa esperienza impagabile”.

In un’intervista lei racconta che leggere Agatha Christie è stato importante per la creazione dei suoi personaggi. A cosa si ispira per la parte “gialla” dei suoi romanzi?
“Devo moltissimo ad Agatha Christie. Innanzitutto da lettrice adoro tutti i suoi libri, mentre da scrittrice devo ringraziarla perché mi ha insegnato la struttura del giallo ad ambiente chiuso, in cui un certo numero di persone sono coinvolte in un omicidio e restano sempre negli stessi spazi, per intenderci. Il tipo di scrittura, gli argomenti, i toni li sento molto più miei. Mi ci rivolgo come a una santa”.

Si pubblicano tantissimi libri scritti da donne, eppure questi vengono recensiti meno spesso di quelli scritti dagli uomini. Le è mai capitato in prima persona?
“Sono stata recensita sia da uomini sia da donne. Gli uomini, nel mio caso, sono stati più generosi, perciò devo dire che non ho notato una disparità di genere.”

Non pensa che una parte del mondo letterario continui a non riconoscere alle opere scritte da donne la stessa importanza di quelle scritte dagli uomini?
“Secondo me non è una questione uomo – donna, quanto di etichetta, nel senso che è riconosciuto ampiamente il valore delle opere prodotte dalle donne e, se devono essere catalogate come letteratura, credo che non ci si faccia alcun problema a riconoscerne il merito. Penso a Alice Munro, Elizabeth Strout, a Teresa Ciabatti o Helena Janeczek o, ancora, a Elena Ferrante, che si autoattribuisce un’identità femminile quantomeno narrativa. Credo sia più un problema di etichette affibbiate, appunto: se tu scrivi cose leggere, è come se venissi relegata a un genere, un qualcosa di superficiale, e quindi non meritevole di attenzione”.

La cosa le crea qualche problema?
“No, non mi crea problemi, né mi fa soffrire, perché come stanno veramente le cose lo dimostra, poi, il tuo pubblico”.

Quali sono le autrici contemporanee che consiglierebbe a chi ha appena terminato Il ladro gentiluomo e già sente la mancanza di Alice?
“Stefania Bertola, senza dubbio. Scrittura solida e profonda, romanzi divertenti e curati, con protagonisti interessanti. Consiglio qualsiasi suo titolo. In alternativa, ho divorato la saga dei Cazalet (Elizabeth Jane Howard, Gli anni della leggerezza, Fazi, ndr), Da grande di Jami Attenberg, infine Americanah di Chimamanda Ngozi Adichie e Eleanor Oliphant sta benissimo di Gail Honeyman”.

 

nota: le immagini dell’autrice sono di Yuma Martellanz.

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