“L’invio è immediato, il ricevimento pure, niente più struggimenti di settimane e mesi, chiedendosi se la lettera fosse andata persa, quella inviata o la risposta, o se si stesse confidando in un animo crudele, però l’attesa è lo stesso gravida di paure ed eccitazione…”. Su ilLibraio.it la scrittrice Anna Talò racconta i “nuovi” amori, nati sui social network. Il suo è un viaggio letterario ricco di citazioni. Ma la verità è che “sono cambiati i mezzi (Facebook, WhatsApp, Messenger, Skype, email), non i modi, quelli sono rimasti gli stessi…”

di Anna Talò*

«Ma se non lo conosci neppure!»

Tua sorella, la tua migliore amica, il tuo collega scuotono la testa, ti fissano come avessi appena dichiarato di essere Elvis, e sì, sei ancora vivo e ti nascondi nella Bassa Padana, e aggiungono, per il tuo bene: «E poi, con quel che si sente in giro …»

E tu, che hai avuto la malaugurata idea di raccontare che hai un amore a distanza, con uno conosciuto su Facebook, ed è il motivo per cui vai in giro con le stelline negli occhi nei giorni buoni, e col muso lungo nei giorni cattivi, ti senti improvvisamente e contemporaneamente imbecille, incompresa e depositaria di una verità inaccessibile ai più. Che vuol dire: non lo conosci neppure? Dante Alighieri, nella Vita Nuova, fa riferimento a due incontri due con Beatrice, nel giro di una decina d’anni, e non si dissero alcunché, manco bau. Eppure ci ha costruito un’intera poetica. E meno male, sennò saremmo stati molto più poveri.

«A-ha! Allora lo ammetti, che stai alimentando una fantasia!» è la risposta che ti tocca, se agiti la Divina Commedia sotto il naso del provocatore, cercando di nobilitare la tua passione.

E chi non lo fa? Bernie Roth, docente a Stanford, autore del libro Se vuoi puoi, in uscita a febbraio 2016 per Corbaccio, lo spiega bene: si chiama “proiezione.” Proiettiamo sulle persone intorno a noi, tutte, senza esclusione, caratteristiche nostre, che riconosciamo o che avversiamo. Odiamo qualcuno? Probabilmente ci rimanda indietro peculiarità che rifiutiamo. E ci innamoriamo delle nostre qualità migliori, accreditate a Mr o Miss Right, che le abbia davvero o no, origine prima dei divorzi per incompatibilità di carattere.

«Sì, ma di persona, se mente, prima o poi lo sgami», e pensano di averti messa con le spalle al muro.

Lasciando da parte il cinismo di una tale affermazione, per cui frequentarsi di persona è un valore aggiunto perché si scoprono gli inganni, mi spiegava un’amica psicologa che, quando scriviamo, scriviamo a noi stessi. Cioè, nero su bianco, il grado di onestà potrebbe essere molto più alto che a tu per tu. Escono allo scoperto aspetti che spesso teniamo celati, per necessità o timore del giudizio altrui, come fa Lucilla, la protagonista del mio Volevo solo una vita tranquilla! (Corbaccio), che, dietro un nick e su un blog, è più vera e vulnerabile di quel che può compilando manuali di autoaiuto newageschi, che è il suo mestiere.

Ti siedi, scrivi, scrivi a lui e anche a te; una relazione nutrita dalla lontananza, in un’intensa contraddizione di emozioni, le stesse, proprio le stesse che si trovano in queste righe di Dylan Thomas alla moglie Caitlin: «È orribile scriverti perché, anche se amo scriverti, ti porta così vicino a me che potrei quasi toccarti e allo stesso tempo so che non posso toccarti, sei così lontana nella fredda e crudele Ringwood e io sono nella insipida Barnet in un pub sulla strada con niente che tenga compagnia al mio cuore tranne la tua assenza e la tua distanza» (Lettere d’amore – Guanda.)

Ed è vero che sono cambiati i tempi: l’invio è immediato, il ricevimento pure, niente più struggimenti di settimane e mesi, chiedendosi se la lettera fosse andata persa, quella inviata o la risposta, o se si stesse confidando in un animo crudele, però l’attesa è lo stesso gravida di paure ed eccitazione. Sono cambiati i mezzi: Facebook, WhatsApp, Messenger, Skype, email. Non i modi, quelli sono rimasti gli stessi. La consolazione che viene dallo scrivere e dal ricevere risposta punteggia l’intera storia della letteratura, nei romanzi e nelle biografie, perché scrivere è una confessione non estorta, bensì regalata, l’esibizione dei propri organi interni, le viscere, il cuore, i polmoni, a una persona e a una sola, e in ogni risposta ricevuta c’è l’assoluzione. Ed è conforto, proprio perché con lei non condividiamo le minuzie quotidiane, non ci vede s-ciabattante per casa, non sopporta gli effetti di una cena a base di bagna càuda.

«Carissima Elizabeth B., chiederti in moglie per me è la grande occasione non colta, l’unico cambiamento epocale, l’altra possibilità di vita», scrisse Robert Lowell a Elisabeth Bishop, trent’anni di relazione su carta fra poeti (Scrivere lettere è sempre pericoloso – Adelphi), fogli che terminavano con «mi manchi moltissimo», ed è la verità, la sensazione di intimità che si raggiunge in questi legami può essere straziante, e il motivo stesso per cui ci si sfugge: per non mettere in discussione abitudini rassicuranti, certo, e perché, rinunciando alla possibilità di una relazione, non si rinuncia al sogno della relazione perfetta.

 

*L’AUTRICE – Anna Talò è autrice, giornalista, traduttrice. Ha scritto per Corbaccio Le vere signore non parlano di soldi e Meditazioni per donne sempre di corsa. Volevo solo una vita tranquilla! è il suo primo romanzo. Qui il suo sito.

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