“L’arte di perdere” di Alice Zeniter è un antidoto alla banalizzazione etnica e culturale in corso nel mondo globalizzato, sempre più radicalizzato su posizioni inconciliabili… – L’approfondimento su un libro che inizia come una fiaba e che è anche un romanzo generazionale, che mostra il progressivo cambiamento valoriale che si verifica tra padri e figli

L’arte di perdere (traduzione di Margherita Botto) inizia come una fiaba. Siamo nell’Algeria degli anni Quaranta, per la precisione in Cabilia, terra berbera. Un ragazzo trova nel fiume in cui ha portato i fratellini a fare il bagno un torchio per l’olio, portatogli dalla fortuna, anzi, dal maktúb, che distribuisce grazie e disgrazie secondo un meccanismo misteriosissimo. Quel ragazzo, che diventerà presto un gigante, si chiama Alì e diventerà l’uomo più ricco del paese algerino in cui vive, costruirà una famiglia numerosa e riuscirà a superare il trauma della guerra che ha combattuto a fianco dei francesi.

Eppure proprio la vicinanza ai colonizzatori – quei francesi algerini chiamati “piedi neri” – gli costerà l’inimicizia del Fronte di Liberazione Nazionale (Fln) che, dopo una lunga lotta senza quartiere e dopo troppe morti, riesce a ottenere la vittoria nel ’62, facendo nascere lo Stato indipendente dell’Algeria. Alì però si troverà dal lato sbagliato della Storia, impara presto quell’arte di perdere che dà il titolo al romanzo e, costretto dalle continue minacce a cui è sottoposto, parte per la Francia, dove smetterà i panni del ricco proprietario terriero e indosserà quelli dello straniero immigrato. “Bisogna essere pazzi per opporsi al torrente. Maktúb. La vita è fatta di fatalità irreversibili e non di atti storici revocabili”.

l'arte di perdere

Questo è solo un assaggio della storia perché il romanzo di Alice Zeniter è una continua biforcazione, anzi, triforcazione. Sono infatti tre i protagonisti: Alì, Hamid e Naima, rispettivamente nonno, padre e figlia. Tre generazioni diverse, tre modi d’intendere la propria identità. Cabili, algerini o francesi? Ognuno di loro troverà sempre più difficile incasellarsi in una delle suddette categorie etniche, per la loro storia familiare è impossibile trovare una designazione che gli si attagli. La confusione aumenta poi perché gli occidentali pensano che loro siano semplicemente arabi, come se fosse un aggettivo estensibile che schiarisce qualsiasi zona d’ombra o sfumatura.

Per la Zeniter la nazionalità è un oggetto magmatico e incandescente, dai colori continuamente cangianti. Non stupisce, quindi, che il libro sia così complesso e non ci siano mai solo due facce della medaglia, due soli schieramenti, anche perché questo vorrebbe dire semplificare la storia di interi popoli. Una tendenza che purtroppo è la norma in Europa, visto che si appiattisce tutto all’assegnazione dell’etichetta “comunitario” o “extracomunitario”, infischiandosene del contesto da cui le persone provengono e delle loro differenze culturali, anche e soprattutto all’interno di uno stesso paese. Questo, d’altra parte, è anche il gioco del terrorismo, che vuole tutti gli infedeli da una parte e tutti i musulmani “puri” dall’altra. Ecco, questo libro è un antidoto alla banalizzazione etnica e culturale in corso nel mondo globalizzato, sempre più radicalizzato su posizioni inconciliabili.

Quello della Zeniter è però soprattutto un romanzo generazionale che mostra il progressivo cambiamento valoriale che si verifica tra padri e figli. La scrittrice mette in scena, con sapienza descrittiva, il mutare dello scenario dagli anni ’70 agli anni ’90, fino al presente. Se Alì infatti accetta il suo nuovo ruolo nella società francese come operaio con la rassegnazione che deriva dalla sua fede nel maktub, Hamid, il suo primogenito, vuole scappare dalle proprie origini. Sente fortissimo il peso del proprio passato e cerca di riscattarsi, reinventandosi un’identità francese progressista, completamente estranea all’Algeria, paese di cui non vuole parlare con nessuno e di cui conserva solo i ricordi d’infanzia che probabilmente vuole dimenticare. Al contrario, la madre e il padre ricreano nella propria casa un’Algeria illusoria – fatta di cous cous e talismani sopravvissuti alla vita precedente – la sola nella quale potranno mai tornare, percependo invece la Francia e la sua lingua come ostili ed irrimediabilmente estranei.

“Non vogliono il mondo dei loro genitori, un mondo minuscolo che va dall’appartamento alla fabbrica (…) un mondo che non esiste perché è un’Algeria che non esiste più o che non è mai esistita, ricreata ai margini della Francia. Vogliono una vita completa, non una sopravvivenza. E soprattutto non vogliono più dover dire grazie per le briciole che gli vengono date”.

E poi c’è Naima, figlia di Hamid, che invece vive in un presente confuso e precario. Lei non si sente francese perché figlia di immigrati ma perché vive in un’Europa dai confini liquidi, minacciata dal terrorismo e dagli sconvolgimenti della paura provocata dai migranti.

“Non ha più l’impressione di essere libera di scegliere, ma anzi le sembra di far parte della categoria di quelli che non scelgono e ripiegano su tutto ciò che è alla loro portata”.

Decide quindi di ricostruire le origini della sua famiglia, partendo per un viaggio che la condurrà proprio in Algeria, “L’arte di perdere” è una retrospettiva sulla sua famiglia, sui motivi che l’hanno condotta in Francia. Ma più di tutto è il suo modo di capire che forse la nostra generazione non ha più punti fissi e ha bisogno di muoversi, non girando a vuoto, ma andando avanti.

Alice Zeniter è una scrittrice attenta, dalla prosa formidabile, che alterna il registro fiabesco a quello realistico, dalla capacità di evocare mondi perduti con suggestione ma anche in grado di essere tagliente – a tratti brutale – nel restituire al lettore l’interiorità dei suoi protagonisti. L’accuratezza storica ridà dignità a un popolo bistrattato – e con lui molti popoli migranti – ma quello che conquista è la sensibilità dell’autrice. In un mondo che pretende che tutti primeggino per dimostrare il loro valore, abbiamo forse bisogno di più libri come questo che insegnino anche l’arte di perdere.

L’AUTRICE – Qui tutti gli articoli e le recensioni di Ilenia Zodiaco per ilLibraio.it

 

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