Assistere per tre sere all’aurora boreale, in sei sere di viaggio, è un’esperienza che in qualche modo ti segna. Anche se te ne accorgi sempre dopo, della traccia che ha lasciato dietro di sé… – Reportage dall’autunno islandese, dove assistere a questo piccolo miracolo può rivelarsi diverso dalle aspettative

Gli antichi islandesi pensavano che fosse la coda di una volpe artica, pronta a mandare messaggi all’umanità da un’altra dimensione, mentre secondo i Vichinghi era lo spirito di qualche nemico ucciso in battaglia, tornato a tormentarli nel cuore della notte. E oggi che sappiamo trattarsi di un fenomeno che unisce vento solare, elettromagnetismo e rifrazione della luce, l’aurora boreale resta comunque un piccolo miracolo.

Un mistero che si può pure inseguire con le statistiche, le previsioni del meteo e la conoscenza del territorio, ma che ti riserverà sempre le sorprese più assurde. Perché l’aurora – anzi, Árora, come la chiamano nella lingua locale – è anche e soprattutto una dea, e come tale è volubile, imprevedibile, e va pregata con tutti i mezzi possibili…

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L’aurora boreale della prima sera

Something in your eyes
Calls to mind a silver screen

Non è un caso, dunque, che la prima sera della nostra caccia sia cominciata sulle note di Careless Whisper di George Michael.

Perché secondo Gudjon, la nostra guida, per vedere l’aurora boreale ci vogliono i riti. Quelli scaramantici, seduttivi, ai limiti del ridicolo. E così ci siamo lasciati alle spalle una Reykjavík ancora nel pieno splendore dell’autunno, siamo saliti su un grosso pullman e abbiamo cominciato a macinare i chilometri a suon di musica. Alla ricerca del buio assoluto, di un cielo terso, di un po’ di fortuna.

Per prima cosa, ci ha spiegato, gli occhi si puntano un po’ più su dell’orizzonte, in cerca delle stelle: se riesci a vedere loro, dovresti riuscire a vedere anche lei, quando e se dovesse manifestarsi. E intanto anche i piedi finisci per tenerli un po’ sollevati da terra, per non sentirli ghiacciarsi mentre il freddo ti fa venire voglia di mollare tutto e rimandare l’impresa all’indomani.

La città di Reykjavík al tramonto, vista dal Perlan Museum

La città di Reykjavík al tramonto, vista dal Perlan Museum

Solo che con l’aurora boreale potrebbe non esserci, un domani migliore. L’indice Kp si controlla a tutte le ore, ma è solo negli ultimi, fatidici minuti che scopri se la zona in cui ti trovi potrebbe andare bene o no. Specie se consideriamo che, non sapendo cosa cercare, potresti anche avercela davanti e quasi non accorgertene. Incredibile ma vero. Magari la scambi per una nuvola chiara, quando invece se la inquadri con uno smartphone lo realizzi subito, che è proprio lei.

Noi, io e M., l’abbiamo vista accennarsi dopo una buona mezz’ora di attesa.

A occhio nudo era grigia, quasi incolore, ma il telefono ci restituiva degli scatti chiaramente verdi: è quindi questa, mi sono chiesta, la fregatura per cui la gente fa da decenni dei lunghi viaggi intercontinentali? Questa nebbiolina appena percettibile?

Luci boreali viste nei pressi della capitale islandese

Neanche il tempo di dubitare di lei, che Gudjon ci ha portato in un’area diversa e Árora si è trasformata. È diventata una striscia di evidenziatore, netta e lucidissima, anche se piccola e raccolta.

D’un tratto la notte si è animata di voci e di cori e di schermi accesi, e io mi sono toccata la tasca per sincerarmi che l’oggetto che stavo nascondendo a M. da un paio d’ore fosse ancora al suo posto.

A quel punto ho cercato disperatamente Gudjon, ma invano, e alla fine non ho avuto altra scelta che affidare a una ragazza orientale sconosciuta uno dei momenti più folli della mia vita: quello in cui ho finto di mettermi in posa insieme a M. per una foto, per poi spostarmi un po’ più in là e dirgli piano (mentre intanto la ragazza stava girando un video): “Abbiamo passato tante avventure insieme, in questi anni. Ti va di condividerle con me per il resto della nostra vita? Ti va di sposarmi?“.

Lui è rimasto sbigottito per un po’ e ha continuato a chiedermi: “Ma veramente? Veramente?”. E io a ribadirgli “Sì!”, “Sì!”, nel buio di una notte boreale, a dirgli io di sì mentre ero ancora in ginocchio ad aspettare una sua risposta, finché lui non ha ritrovato un pizzico di lucidità e ha mormorato: “Come potrei dirti di no?”. Che poi, come mi ha confermato, era un sì a tutti gli effetti.

Luci boreali viste nei pressi della capitale islandese

Sarebbe bello, quasi magico, e sicuramente efficace ai fini di questa narrazione, aggiungere quanto sia stata indimenticabile, quella sera, l’aurora del sud dell’Islanda. Ma la verità è che è scomparsa dopo pochi minuti, che non si è fatta più vedere, e che quando siamo rientrati in città eravamo trasognati per altri motivi, che poco avevano a che fare con la nostra esperienza celeste, e molto con la nostra storia d’amore.

Sarebbe bello dire che l’aurora abbia fatto breccia immediatamente dentro di me, ma la verità è che invece mi ha lasciato con un po’ di amaro in bocca: io e M. avevamo organizzato questo viaggio nel periodo più indicato dell’anno più probabile per ambire a qualcosa di più, eravamo persuasi che qualcosa di più potesse accadere sul serio, e perciò abbiamo deciso di riprendere la nostra caccia la notte successiva…

L’aurora boreale della seconda sera

Guilty feet have got no rhythm
Though it’s easy to pretend

La seconda sera, lontano da Reykjavík, le temperature erano ancora più basse. Questa volta la nostra guida si chiamava Nicolas, aveva un marcato accento francese, e non ha messo su nessuna canzone.

Però, ci ha detto, stasera potrebbe essere la sera, perché c’è l’indice Kp più alto di tutta la stagione – e io l’ho preso in parola, dato che mentre eravamo alla fermata del pullman avevamo già visto sbucare fra i palazzi del centro qualche bagliore più colorato della notte precedente. Verde, rosa, giallino: una premessa che ci dava già grandi speranze.

Cielo illuminato nella città di Reykjavík

Ho saltellato dall’entusiasmo perfino da seduta, prima ancora di arrivare a destinazione, ma mi sono poi spenta nell’aspettare, e aspettare, e aspettare, senza che Árora si palesasse come si deve. Finché, in lontananza, Nicolas non ci ha indicato una luce soffusa che si è fatta sempre più ampia, e come un’immensa cupola ha riempito tutto il nostro campo visivo.

Era lei! …o forse no? Come mai assomigliava a una foschia diffusa, alla luce di un faro artificiale, a uno sbiadito mix cromatico che prendeva forma soltanto nelle foto? M. ha insistito a rassicurarmi, era stravolto dalla gioia, non si spiegava come facessi io a non capire, a non vedere, a non restare a bocca aperta. Ma io, gli ho risposto, non me me la figuravo mica così, l’aurora boreale.

Nicolas ci ha offerto un bicchiere di cioccolata calda, che presto sono diventati due, e ci ha raccontato di quanto fosse unico e inconcepibile lo spettacolo a cui stavamo assistendo.

Fino a pochi minuti prima ci aveva raccomandato di aspettarci solo il verde, il rosa e il grigio, tra le sfumature visibili a occhio nudo, mentre ora il cielo si era colorato palesemente di rosso, e lui ci aveva confessato che a quella latitudine era quasi impossibile.

L'aurora boreale vista vicino a Reykjavík

Così mi sono lasciata un po’ andare. Era quindi quest’altra, mi sono chiesta, la suggestione per cui la gente fa da decenni dei lunghi viaggi intercontinentali? Questo arco di vaghe luci sparpagliate nel firmamento, e che sembravano mangiarsi la casetta tanto isolata e poetica che si stagliava da sola contro tutto quanto?

Sembrava di sì, e a quel punto ho cercato di farmela piacere. Di guardarla per quello che era, anziché per quello che mi aspettavo che fosse. Di volerle bene, di esserle grata, perché comunque era ancora lì, e ancora, e ancora. E ci è rimasta per una buona oretta e mezza (un tempo record, per un’aurora), senza mai decidersi a dileguarsi.

Un'aurora boreale vista vicino a Reykjavík

Dopo un po’ si è fatta più verde, e anzi a un certo punto ho quasi pensato di vederla come l’avevo sempre immaginata: un filamento netto e deciso che taglia il cielo, e per qualche secondo l’ho individuato davvero, elettrizzata, per poi notare sopra di noi un cuore pulsante di aurora che emanava dei fasci di luce come a raggiera, tutti pronti a muoversi in ogni direzione possibile.

Una danza delicata e infinita, dopo la quale mi sono sembrati tutti come ubriachi, sospesi nel vuoto, galleggianti quasi quanto i bagliori a cui avevamo assistito. Il mio M. era quasi più sconvolto che per la proposta della sera precedente. Mentre io, anche se quasi mi vergognavo a darlo a vedere, a mostrarmi ingrata, incapace di andare al di là delle mie aspettative, ero invece ancora un po’ insoddisfatta.

E tuttavia non ho osato chiedere a M. di uscire per la terza notte di fila, a cercare qualcosa per la quale ormai pensavamo di avere investito abbastanza ore di sonno, stati d’animo e corone islandesi, e ho chiuso gli occhi convincendomi del fatto che per me, Miss Aurora, finisse lì.

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La sorpresa della terza sera

Tonight the music seems so loud
I wish that we could lose this crowd

L’indomani mattina mi sono resa conto che la notte porta davvero consiglio. Ero più serena, più in pace col mondo, e ho dato la notizia ufficiale dell’aurora che avevamo visto e della proposta a cui M. aveva risposto di sì.

Le persone più care lo sapevano già, che c’era questa intenzione nell’aria, ma sapevano pure che sarei andata fino in fondo solo se Árora fosse stata buona con noi – e a quanto pare lei lo era stata al punto che una tempesta magnetica aveva appena investito il mondo intero, e i media di ogni continente stavano pubblicando articoli in cui raccontavano delle impressionanti aurore boreali sopra Torino, New York, la Nuova Zelanda.

Ho spiegato loro che era stato diverso da come me l’ero aspettato, ma che secondo Nicolas non si era mai visto niente del genere, e per il resto della giornata ci ho creduto un pizzico in più, e ho sorriso mentre trascorrevamo le ore tra geyser, campi di lava, cascate, laghi, spiagge di sabbia nera, ghiacciai e catene montuose.

Dopodiché, quando nel tardo pomeriggio abbiamo raggiunto la Blue Lagoon per un suggestivo percorso termale, la nostra guida del giorno, Addi, ha osservato: “Caspita, sarete lì anche dopo il tramonto! Di tanto in tanto buttate un occhio verso nord, potreste beccare qualche aurora boreale”. E io l’ho fatto e rifatto, ormai consapevole di cosa cercare, e ho inquadrato la sfera celeste chiedendo a M. se non fosse per caso un accenno di aurora, ma rimanendo sempre a mani vuote.

Siamo tornati negli spogliatoi, ci siamo imbottiti di nuovo di vestiti termici e abbiamo atteso il pullman che doveva riportarci a Reykjavík. Ormai era sera fatta, e il mio unico obiettivo era quello di salire a bordo per evitare di congelare nel parcheggio, motivo per cui ho smesso di invocare una dea a cui, a quanto pare, piaceva fare orecchie da mercante.

Chi troppo vuole, mi ripetevo, nulla stringe. Mentre chi si accontenta gode. Se non fosse che, non appena ha messo in moto, il nostro autista ci ha detto, in tono informale e quasi scherzoso: “Ah! Ma la volete vedere l’aurora boreale?“. E d’un tratto ha riaccostato, così, senza preavviso. Ha aperto la portiera e ci ha fatto ridiscendere

Scatto di un'aurora boreale vista in Islanda

Ed eccola lì, esattamente come nei film, come nei libri illustrati, come nei video che si vedono ormai ovunque sul web. Eccola lì, Árora, un serpente senza coda che navigava in lungo e in largo sopra le nostre teste. Verdissima, purissima, levissima. Non l’avevo mai vista così bene, ma forse nemmeno così male, perché mi è venuto da piangere e gli occhiali mi si sono tutti appannati, e così ho dovuto pulirli in fretta e furia per tornare a guardarla e assicurarmi che fosse proprio lei, e che fosse ancora lì.

Non lo saprei ridire, a che cosa ho pensato. Era quindi quest’ultima, mi sono chiesta, la grande meraviglia per cui la gente fa da decenni dei lunghi viaggi intercontinentali? Questa lingua verde che si snoda libera fra le stelle, allungandosi e ampliandosi e illuminandosi nelle maniere più disparate?

Ma lei, come sempre, non mi ha dato risposte. È solo rimasta appesa sopra di noi per una decina di minuti, finché l’autista non ci ha fatto capire che era l’ora di rientrare, e lei non si è tornata a rintanare nel buio della notte, salutandoci quieta dopo essere apparsa nel posto giusto al momento giusto, quando ormai ci avevo definitivamente rinunciato.

Lo scatto di un'aurora boreale vista in Islanda

Mai più come ti ho visto

So I’m never gonna dance again
The way I dance with you

Assistere per tre sere all’aurora boreale, in sei sere di viaggio, è un’esperienza che in qualche modo ti segna. Anche se te ne accorgi sempre dopo, della traccia che ha lasciato dietro di sé.

Per esempio, ora che io e M. siamo tornati a casa, e che abbiamo iniziato a parlare dell’Islanda a chi ci ha seguito da lontano, abbiamo realizzato che non abbiamo visto per tre notti l’aurora boreale, ma che più esattamente abbiamo visto tre aurore boreali distinte e separate.

E che l’aurora boreale, come concetto astratto, non esiste. Quelle che esistono sono le etichette. Le previsioni, le misurazioni, le definizioni scientifiche. Ma l’aurora boreale in quanto tale è un incantesimo sempre cangiante.

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Un po’ come le proposte di matrimonio, che magari uno si immagina organizzate in abito da sera, portate avanti dal macho man della situazione, o immortalate con una fotocamera di ultima generazione, quando la nostra avventura ha smentito ogni regola e ci ha lasciato giusto con un video tutto buio, in cui si sentono appena appena, in lontananza, le nostre voci che tremano.

Figuriamoci, allora, se può esistere un’aurora boreale propriamente detta. Figuriamoci se avevano senso tutte le idee che avevo in testa io. Non erano altro che proiezioni, credenze, folklore. Quando invece l’aurora boreale è viva, animata, e pronta a ricordarci quanto uniche possano essere tutte le sue singole manifestazioni.

Un cielo come quello che ho avuto la fortuna di scoprire a Reykjavík credo che non lo rivedrò mai più, in vita mia. E però, da quando sono rientrata, non ho smesso un attimo di sperarci. È più forte di me, la sera alzo ancora gli occhi sopra l’orizzonte, li strizzo un po’ e sento un pensiero viaggiare più veloce della ragione, e sussurrarmi: “Ma sarà lei, quella lì? Sarà Árora?“.

Finora, la risposta, è sempre stata no. O almeno, così mi è parso. Ma d’altronde cosa posso mai saperne io, di aurore boreali, io che fino all’ultimo non ho creduto a quello che avevo di fronte, che ci ho messo tre sere per dare sfogo alla mia commozione e che ho chiesto la mano di M. al primissimo barlume di verde, temendo che non ce ne sarebbero stati altri?

Quasi niente ne posso sapere, ecco, se non fosse per una piccola e nuova certezza che mi porto dentro. E cioè che, se mai Árora dovesse rifarsi viva, non sarà la stessa che ho conosciuto. Motivo per cui dovrò stare attenta il doppio, e passare il doppio del tempo con il naso all’insù. Per assicurarmi di trovarla anche quando, per l’ennesima volta, non saprò che cosa aspettarmi di vedere.

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Fotografia header: La scena di un'aurora boreale proiettata nel planetario del Perlan Museum di Reykjavík

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