Com’era l’amore prima di sms e WhatsApp? Se lo chiede su ilLibraio.it la scrittrice Raffaella Silvestri. E, a differenza di molti altri, non è nostalgica su questo tema: “Mi pare, al di là delle fantasie sul passato, che il cellulare sia arrivato a salvare, più che a uccidere, i miei amori romantici. A donare loro una dimensione scritta che è quella in cui vivo meglio…”
“Il cellulare ha ucciso l’amore romantico”. Di recente ha fatto discutere l’intervento del giovane Abram Tomasi pubblicato sul Corriere della Sera. Su ilLibraio.it dice la sua sul tema, molto attuale, la scrittrice Raffaella Silvestri*.
Sono pochi i miei ricordi del mondo com’era prima. Qualche chiamata sul telefono fisso a ora di cena, qualche “buonasera signora, c’è Jacopo?”. Mi sembrano scorci di uno scenario irreale, una specie di era buia che ho scampato per un pelo, insieme a tutta una generazione nata a metà degli anni ottanta. Non sapevamo ancora di essere i primi casi di “millennial”, eppure abbiamo chiara la sensazione di essere stati gli ultimi a gettare un’occhiata a quel mondo lontano.
Mi pare, al di là delle fantasie sul passato, che il cellulare sia arrivato a salvare, più che a uccidere, i miei amori romantici. A donare loro una dimensione scritta che è quella in cui vivo meglio; e certo questa percezione può essere dettata dalla mia scarsa conoscenza di come si faceva un tempo – sarà stato romantico non trovarsi all’ora stabilita e dare la colpa al destino, non so –, dall’abitudine, e infine dalla perdita stessa di qualcosa di prezioso: l’obbligo a non nascondersi, l’onestà della “vita vera”. La famosa spontaneità della vita senza cellulari. Ma poiché quell’occhiata al mondo com’era prima io l’ho data, e quando ero al liceo avere il cellulare era davvero poco cool, una cosa grezza, volgare, da nascondere in fondo allo zaino, mi sento comunque di fare un paragone tra questo presente e un passato vissuto pochissimo.
La prima vera differenza sono stati gli sms. Tutti abbiamo cominciato a usarli subito: un giorno c’era il telefono di casa e il giorno dopo si viveva a Snake, messaggi e summer card. È una riflessione che faccio a posteriori, ma il cellulare è arrivato a salvarmi da faccia a faccia che non avrei saputo gestire; a regalarmi quei secondi o minuti per pensare prima di rispondere, e a cosa rispondere, per muovermi, infine, nel terreno a me più congeniale della parola scritta.
Dal vivo sarebbe stato tutto troppo: decisioni, sguardi, onestà obbligata e velocità. Io che mi muovo sempre fuori tempo, con quel tanto di incertezza, che ora apprezzo chi mi avvisa via messaggio prima di chiamarmi.
Non dico di essere cresciuta dietro allo schermo di un cellulare, a coltivare morbosi amori virtuali. Era una cosa che non si faceva ancora: mentre crescevo i telefoni erano brutti e piccoli, poco ergonomici, funzionali, ed erano solo un intermezzo minimo fra l’irrealtà del pensiero e la concretezza di un appuntamento. Però quell’intermediazione c’era. Quel secondo che passa nel momento in cui scrivi un messaggio ed è ancora solo tuo, puoi ancora cambiarlo, prima di inviarlo.
Il punto è che c’era – c’è – qualcosa di romantico nella sospensione della scrittura, troncata ai tempi in 160 caratteri. Qualcosa di più romantico delle imbarazzanti telefonate a casa e anche degli incontri al bar di fronte a scuola, pieni di silenzi e parole dette solo per riempirli. Perché da adolescenti si ha bisogno soprattutto di rallentare, e la realtà va a un ritmo tutto suo, quasi sempre troppo veloce. Per iscritto si dicono molte cose sincere, che non troverebbero spazio fra i sorsi di un caffè e neanche fra quelli di un aperitivo.
Certo, poi sono arrivate le chat: veloci come la realtà, forse di più. E le foto. Noi eravamo già grandi, e non so come si vivano gli amori chattando con varie persone contemporaneamente ognuna delle quali vede se sei online, se hai letto, se hai letto e non rispondi. Perché forse il romanticismo che colgo sta proprio nell’essere parte di quella generazione di mezzo, che ha brevemente sperato che squillasse un telefono fisso e ha poi chattato su Msn.
Comunque, non riesco a non vedere le potenzialità romantiche dello schermo. All’inizio dell’era digitale, e adesso. La bellissima etimologia della parola stessa – schermo, scudo, riparo, ma anche ostacolo, in Dante – è legata indissolubilmente alle dinamiche del romanticismo. Di ostacoli– antichi e moderni – si nutre l’amore romantico.
L’AUTRICE * – Raffaella Silvestri si è laureata all’Università di Cambridge e si è occupata di marketing e comunicazione. La distanza da Helsinki (Bompiani) è il suo romanzo d’esordio. Nel 2017 uscirà per Garzanti il suo secondo romanzo.