Asha Lemmie racconta una storia emozionante, ambientata in Giappone, delineando un’idea di femminismo cosciente e non concettuale, intriso di senso di libertà, indifferente ai pregiudizi – L’approfondimento su “Cinquanta modi per dire pioggia”

“Non fare domande. Non lottare. Non resistere. Non pensare, se il pensiero dovesse portarti dove non devi andare. Sorridi e fai quello che ti chiedono. Solo la tua vita è più importante dell’obbedienza. Solo l’aria che respiri. Promettimelo”.

Quando viene abbandonata davanti alla porta della nonna, Noriko Kamiza ha otto anni e riceve da sua madre parole che sono più di una raccomandazione e di un addio: sono una condanna. Essere una donna obbediente, alla famiglia prima, al marito dopo, è quello che riserva il futuro, niente altro. La mamma di Nori ha violato le regole, ha disubbidito, amando fuori dal suo matrimonio, e deve andarsene, lasciando la figlia, per sempre bastarda, testimonianza del suo peccato.

Nori ha la pelle scura, i capelli crespi, gli occhi color champagne dell’uomo che chiama padre nella sua mente, un soldato americano, una passione che ha sfregiato una famiglia illustre: un oltraggio per la stirpe aristocratica imperiale, della quale la nonna difende privilegi e reputazione. Nori non deve farsi vedere e trascorre anni reclusa in una soffitta del grande palazzo di Kyoto, tra punizioni e bagni nella varechina per sbiancare la pelle, aspettando il suono dell’ame, della pioggia, per sentirsi meno sola.

L’arrivo del fratellastro, Akira, legittimo erede del nome e del patrimonio dei Kamiza, cambia la vita di Nori: Akira, violinista di talento, porta nel suo mondo la musica, riempie le stanze dell’Ave Maria di Schubert, le insegna a suonare, l’ascolta, la difende, le regala una luce e la libertà. E in un mondo che progressivamente cambia, la fragile Nori si scopre capace di metamorfosi che nemmeno lei immaginava possibili.

Cinquanta modi per dire pioggia

“Era stata cresciuta nella paura. Ma, se guardava sotto di essa – ed era come guardare nella canna di una pistola carica –, riusciva a vedere il bagliore di qualcosa che le era sconosciuto: la speranza. La speranza di un destino che non fosse già scritto, deciso dalle circostanze della sua nascita”.

Cinquanta modi per dire pioggia di Asha Lemmie (Nord, traduzione di Anna Ricci) è un romanzo che si muove con audacia nel tema dei contrasti.

Innanzitutto il Giappone che in un ventennio, dal dopoguerra agli anni Sessanta, vede il declino della regalità e dei suoi principi, l’insinuarsi della modernità, il cambiamento di norme sociali e di comportamento, lo sgretolarsi di un arcaismo cupo sebbene attraente. In questo contesto Nori e la nonna Yuko si fronteggiano come modelli di donne che rappresentano due universi distanti. Quando Nori conosce la realtà del bordello e la formazione che è destinata alle ragazze, fatta di danze, cerimonie del tè, composizioni di fiori e fine conversazione, rifiuta la concezione artistica e decorativa alla quale è destinata.

“«Non credo di voler diventare una donna», le sfuggì.
Kiyomi la scrutò a lungo. Per un attimo, parve che anche lei sentisse quel fardello invisibile. «Oh, mia cara, qualcuno deve pur farlo», rispose con un sorriso che non le arrivò agli occhi”.

Nori cresce con fatica e dolore, portando alcune cicatrici orribili sulla pelle, e altre ugualmente indelebili nel cuore, e la sua costruzione di sé avviene in un conflitto perpetuo tra delicatezza e brutalità. Lei, che è una statuina meravigliosa, bellissima nei suoi kimono ricamati di fiori, farfalle e stelle dorate, che si arrampica agile sui rami degli alberi per trovare pace, che corre sporca di terra alle fiere giocando spensierata, conosce la più atroce brutalità, la violenza e il sangue, e questo contrasto è la chiave di una narrazione che muta di continuo, registri e voci narranti, poesia e pugni nello stomaco.

È un gioco di equilibri che emerge soprattutto nel rapporto con il fratello Akira, all’apparenza duro e freddo, regalmente anaffettivo, ma che nel rapporto con Nori riesce a portare la pazienza, l’ascolto, la protezione ricevendo in cambio la freschezza e il piacere della scoperta, insieme a un affetto che sfocia in venerazione. È un legame ambivalente che prende e restituisce, note di musica e sguardi di intesa, in un reciproco specchio nel quale il valore delle memorie e dei legami di famiglia è fondamentale.

“Mi sta insegnando la felicità delle piccole cose. Non sono uno che si accontenta facilmente, sono un perfezionista assoluto, però Nori si esalta di fronte a tutto”.

In queste memorie di una giovane donna che non vuole essere geisha, che non accetta di ruotare su se stessa in un carillon per il benessere altrui, il tema della diversità è costantemente presente perché Nori è estranea a tutti, dovunque si trovi: abituata a essere isolata, è considerata in Giappone l’immagine della vergogna perché per metà nera, e quando vive a Londra è osservata come un’attrazione, singolare perché esotica. Sempre diversa, mai accettata, considerata un’erbaccia, Nori vive su di sé il disprezzo e la diffidenza di sguardi e comportamenti, ma sa anche che “l’amaai, la pausa tra una pioggia e l’altra, non poteva durare a lungo”.

Cinquanta modi per dire pioggia è il romanzo di esordio di una ragazza poco più che ventenne, appassionata di musica classica e di cultura giapponese, che sa parlare con forza di identità, delle tante sfide della vita per raggiungere la propria solidità.

Asha Lemmie racconta una storia emozionante, delineando un’idea di femminismo cosciente e non concettuale, intriso di senso di libertà, indifferente ai pregiudizi, disobbediente agli obblighi ma sempre consapevole dei legami indistruttibili del sangue.

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