L’intervista dell’autore del giallo “Ragazze smarrite” all’amato protagonista dei suoi libri, il commissario Bordelli, ormai alle soglie della pensione: “Dicono che camminare in avanti con lo sguardo rivolto verso il passato sia un segno di vecchiaia, mentre forse è solo il coraggio di fare i conti con i propri rimpianti e i propri rimorsi…”

Marco Vichi è tornato in libreria per Guanda con Ragazze smarrite, che racconta l’ultima, spinosa indagine del commissario Bordelli ormai alle soglie della pensione. In occasione dell’uscita di uno dei gialli più attesi dell’estate Vichi ha intervistato il commissario Bordelli. Sul tempo che passa, sull’idea di giustizia e sul suo rapporto con l’Italia…

Copertina del libro Ragazze smarrite di Marco Vichi

Nelle tue indagini, nella tua vita, riaffiorano spesso i ricordi. In generale, tu hai un profondo legame con il tuo passato, e incontri spesso persone che devono fare i conti con qualcosa di ancora aperto e irrisolto nel loro. Come vivi questo continuo rapporto e insieme l’avanzare del tempo, e della vecchiaia?
“Soprattutto a partire dal dopoguerra, il passato ha cominciato a far parte della mia vita quotidiana, e con il trascorrere del tempo ha avuto sempre più importanza, ha occupato sempre più spazio nei miei pensieri. La guerra, appunto, ha lasciato una gran folla di ricordi nella mia memoria, ma anche l’infanzia e l’adolescenza sono tornate a bussare alla porta del mio presente. Dicono che camminare in avanti con lo sguardo rivolto verso il passato sia un segno di vecchiaia, mentre forse è solo il coraggio di fare i conti con i propri rimpianti e i propri rimorsi. Ma il tempo che scorre mi ha sempre fatto pensare a una incomprensibile crudeltà”.

Il tuo vissuto ti ha fatto scoprire quanto a volte sia sfumata la linea che separa un criminale da un innocente. Al tempo stesso hai conosciuto uno dei momenti più tremendi della storia del nostro Paese, in cui bisognava scegliere da che parte stare. Qual è, se ce n’è una, la tua idea di giustizia?
Summum ius, summa iniuria, scriveva Cicerone, citando queste parole come antico proverbio. Sono d’accordo con quella frase, avrei potuto scriverla io. Applicare la Legge senza osservare ogni crimine con attenzione rischia di trasformare la Giustizia nel suo opposto. La Legge deve essere uno strumento nelle mani della Giustizia, non può sostituirsi al pensiero umano. Forse a volte, nel mio lavoro, ho applicato questo concetto in modo un po’ estremo, ma ho sempre preferito prendermi delle responsabilità, anche scomode, piuttosto che commettere un atto di ‘giustizia ingiusta’. Ma non sono quelli, i rimpianti che pesano sulla mia coscienza”.

L’APPUNTAMENTO CON “LIBIVE” SULLA PAGINA FACEBOOK DE ILLIBRAIO.ITIl 5 luglio alle 18 Marco Vichi presenta il suo nuovo romanzo, Ragazze smarrite, con Elisabetta Bucciarelli

Hai combattuto tra le fila dell’esercito badogliano per liberare il Paese dal nazifascismo, ma non ti piace come è stato ricostruito questo Paese. Sei un commissario di polizia, ma non sempre sembri a tuo agio nel rappresentare lo Stato. Visto tutto questo, come definiresti i tuoi sentimenti per l’Italia?
“Generalizzare non è mai sano: in Italia ci sono persone bellissime e persone pessime. Sono costretto a dividere le cose. Dunque amo l’Italia, ma la detesto. Amo la sua bellezza, la sua umanità, la sua fantasia, la sua generosità, la sua arte, il suo cibo. Detesto la sua bruttezza, la sua grettezza, la sua volgarità, il suo egoismo, la sua ignoranza, la sua disonestà… Non mi piace come dopo la guerra gli italiani – in generale – hanno cercato di assolversi: non è vero che il fascismo era una dittatura all’acqua di rose che non ha mai ucciso nessuno, e che i veri cattivi erano i nazisti. Tanto per fare un accenno a ciò che voglio dire… Purtroppo l’Italia, in Africa e altrove, ha commesso crimini di guerra assai tremendi, ma ha potuto farli apparire meno gravi grazie al paragone con l’atrocità inarrivabile dei campi di sterminio… Un po’ come dire che in confronto allo stupro e all’omicidio di un bambino, un “semplice” assassinio in fondo è poca cosa. Inoltre, per via dell’Armistizio, l’Italia ha potuto evitare un processo come quello di Norimberga. Graziani e Badoglio, due criminali di guerra richiesti a gran voce da vari stati, non sono mai stati processati. Ma andiamo avanti, sennò parlo solo del fascismo e della guerra… Non mi piace la naturale tendenza degli italiani a infrangere le regole per il gusto di farlo, per sentirsi liberi, mentre la libertà è invece saper vivere insieme agli altri rispettando le regole comuni. Insomma non mi piace il poco senso dello Stato della maggioranza degli italiani, che ha certamente un’origine storica legata alle dominazioni straniere e alla vergognosa “gestione” sabauda del Regno d’Italia, ma insomma, sono passati molti decenni, sarebbe l’ora di cambiare. Sempre per fare un paragone, è un po’ come giustificare un trentenne che porta ancora alla mamma i panni da lavare perché da bambino non ha imparato a usare la lavatrice, mentre potrebbe leggere le istruzioni e imparare”.

Fotografia header: GettyEditorial 01-07-2021

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