Possiamo davvero dire di conoscere le persone che abbiamo accanto? Una domanda la cui risposta, per quanto ovvia, fatica a entrare nella propria coscienza quotidiana. Eppure Sofia Assante, all’esordio con “La mia ultima storia per te”, parte proprio da questa istanza, e dal racconto “Dì alle donne che andiamo” di Raymond Carver, per descrivere, in questa riflessione per ilLibraio.it, il suo romanzo e perché è impossibile conoscere il prossimo…

Prendete quel racconto di Carver, per esempio. Dì alle donne che andiamo.

Nel racconto i protagonisti sono Bill e Jerry, due amici per la pelle, che hanno fatto le scuole insieme, che si sono persino scambiati le ragazze, e che adesso, da adulti – è una domenica di sole, calda, con una bella arietta – se ne stanno ad arrostire salsicciotti sulla griglia, a bere birra, a sparare cazzate – mentre le mogli rassettano in cucina e i pargoli giocano nella piscina gonfiabile.

Ma poi Jerry dice a Bill che dovrebbero farsi un giro. E mentre stanno in macchina, una Chevy berlina del ’68, incontrano per strada due ragazze. Barbara e Sharon. Scambiano con loro qualche battuta – come vi chiamate? Dove siete dirette? Dai, il mio amico qua, si chiama Bill; veniamo con voi.

È tutto molto tranquillo; noioso, quasi. Ma poi Jerry – che nel frattempo ha parcheggiato la macchina e ha convinto l’amico a seguire le due lungo un sentiero di montagna – a un certo punto prende un sasso. Prende un sasso e lo usa su entrambe. Prima su quella che si chiama Sharon, e poi su quella che doveva essere di Bill.

Il racconto s’interrompe così. Carver non aggiunge altro. Lascia che queste ultime righe ti tolgano il fiato, ti storcano le budella, e infatti quando le hai finite hai bisogno di un momento o due, in silenzio, seduto, per riprenderti.
Ma tu non ti riprendi. E non ti riprendi non per la violenza inaspettata di Jerry – che pure è mostruosa, tragica, sempre attuale – o per il destino di Barbara e Sharon, che è orribile, gratuito. No, è il povero Bill, a dire la verità, che continua a ossessionarti.

Bill – scrive Carver – voleva solo farsi una scopata. O anche solo vederle nude. E se la cosa non avesse funzionato, per lui sarebbe andata bene lo stesso. Bill “non capì mai che cosa voleva Jerry”, precisa Carver, e questa frase per me è l’esempio più perfetto di letteratura e, allo stesso tempo, di cosa significhi stare al mondo, che abbia mai trovato.

Scopri la nostra pagina Linkedin

Seguici su Telegram
Scopri la nostra pagina LinkedIn

Notizie, approfondimenti, retroscena e anteprime sul mondo dell’editoria e della lettura: ogni giorno con ilLibraio.it

Seguici su LinkedIn Seguici su LinkedIn

Per quanto mi riguarda, la potenza di questo racconto risiede tutta qui, nella scelta di raccontare non tanto un Jerry – quanti ne abbiamo conosciuti di Jerry, nella letteratura, nella vita, nel cinema – ma nel mettergli vicino un Bill. Un amico fraterno che lo conosce da sempre. Che gli ha pulito la bavetta di vomito sul mento con il polsino della camicia durante la prima sbornia. Che gli ha fatto da testimone di nozze. E che ora lo guarda, impotente, e non lo capisce. Non lo capirà mai.

La verità è che il lettore di Carver, mentre scorre queste pagine, s’identifica con Bill, è convinto di conoscere Jerry, ed è per questo che il respiro gli si mozza quando l’amico prende quel sasso. Ed è per questo che il racconto non se lo scorderà mai finché campa, perché non c’è niente di più vero e di più vicino all’esperienza umana del non capire qualcuno che amiamo. O meglio, del credere di conoscere qualcuno, che poi finisce per tradire le nostre aspettative. O ancora, per dirla altrimenti, del sentirsi degli idioti. Perché eravamo certi di sapere tutto, e invece non sappiamo niente.

di cosa parliamo quando parliamo d'amore raymond carver copertina einaudi

Il mio romanzo, La mia ultima storia per te, non si avvicina nemmeno pallidamente alla perfezione di questo racconto ma, ecco, si può dire che parta dagli stessi presupposti. Ovvero: l’impossibilità di conoscere il prossimo. Il prossimo anche più vicino, tua madre, tua sorella, quell’amico che tu, davvero, saresti pronto a scommettere che in una data situazione, si comporterebbe in un dato modo.

È una verità completamente ovvia, me ne rendo conto, e forse per dirla non c’era bisogno di scomodare Carver. Ma è una di quelle verità difficili da inserire nella propria coscienza quotidiana. Una di quelle che, quando le metabolizzi davvero, è perché sei diventato adulto. E il mio, dopo tutto, è un romanzo di formazione
La mia ultima storia per te è un libro che ha una trama, che adesso non riassumerò per economia di spazi – diciamo solo che è densa, carica di punti di svolta, intrecci, personaggi secondari, niente a che vedere con la poetica di Carver, che gli eventi importanti li sfiora soltanto – ma soprattutto ha una domanda, che è: possiamo davvero dire di conoscere le persone che abbiamo accanto? E la risposta, ve lo svelo subito, è no.

Così è la vita, così è la letteratura. I personaggi migliori, per me, sono quelli talmente reali, talmente tridimensionali, che non arrivi mai ad afferrarli, a comprenderli. Mettiamola in questo modo: potrei passare tutta l’eternità a rileggere il racconto di Carver, e mai riuscirei a dire “oh, adesso ho proprio capito perchè Jerry ha preso quel sasso.” Esattamente come succede con gli esseri umani.

Scopri le nostre Newsletter

Iscrizione alla Newsletter
Il mondo della lettura a portata di mail

Notizie, approfondimenti e curiosità su libri, autori ed editori, selezionate dalla redazione de ilLibraio.it

scegli la tua newsletter Scegli la tua newsletter gratuita

Vorrei citare un’ultima cosa. Un’altra che con il romanzo non c’entra nulla, ma che spero riesca a brillare in controluce tra le frasi del libro. Kurt Vonnegut nelle sue conferenze sosteneva che una missione plausibile per gli artisti fosse quella di far sentire le persone almeno un po’ contente di essere vive. E quando gli chiedevano quale artista ci fosse riuscito, lui rispondeva: i Beatles.

Al di fuori di paragoni impropri, io sono completamente d’accordo con Vonnegut. È vero che la domanda che attraversa il mio romanzo è “possiamo dire di conoscere le persone che abbiamo accanto?” e che la risposta, tragicamente, è “no, non possiamo”. Ma questo, a guardalo bene, può essere esaltante: significa che ogni giorno, nella trincea quotidiana, ognuno di noi sceglie di affidarsi completamente, visceralmente, e incoscientemente, a un prossimo che – in un batter d’occhio – potrebbe uscire di testa. Potrebbe impugnare un’ascia e farci a pezzettini. Potrebbe farsi nostra cugina. Potrebbe trasferirsi in Africa o in Guatemala o ovunque sia, con tutti i nostri risparmi. Eppure noi ci fidiamo.

E, sempre per citare Vonnegut: che c’è di più bello di questo?

la mia ultima storia per te di sofia assante

L’AUTRICE – Sofia Assante, classe ’95, è nata e vive a Roma. Ha studiato filosofia e storia dell’arte, e attualmente frequenta un dottorato di ricerca e lavora come editor e sceneggiatrice. La mia ultima storia per te (Mondadori) è il suo primo romanzo. L’autrice omaggia esplicitamente alcuni grandi narratori americani, da Salinger a Fitzgerald a Dylan, ed è capace di far sorridere e al tempo stesso commuovere. Lo fa raccontando una storia di segreti e sorprese narrative, attraversata da una domanda che tutti ci siamo fatti almeno una volta nella vita: possiamo davvero dire di conoscere le persone che abbiamo accanto?

E veniamo alla trama del suo primo libro: Andrea sta camminando per le strade di New York, in piena notte, quando riceve una telefonata. Riconosce subito la voce di Elettra, anche se non la sente da dieci anni. È lei la ragione per cui è scappato da Roma, la sua città, ed è proprio lei, ora, a chiedergli di tornare… Andrea ed Elettra si sono conosciuti a dodici anni, il giorno in cui lei si è trasferita nel palazzo del centro di Roma in cui Andrea è cresciuto. A parte l’indirizzo di casa, non hanno nulla in comune. Lui è il figlio di un ristoratore schivo e taciturno e d’estate lavora nella trattoria di famiglia, Da Amilcare. Lei fa parte dell’aristocrazia romana e i suoi genitori, gli Alfieri della Scala, sono colti, eleganti e amorevoli. Entrambi appartengono a una Roma che sta tramontando: Elettra a quella della nobiltà che ancora si incontra nelle stanze di Palazzo Borghese; Andrea alla Roma delle taverne del centro, come quella fondata dal nonno, sui cui tavoli giocavano a scopone Fellini, Scola e Monicelli. Sono ancora bambini quando, convinti che nulla potrà dividerli, sognano di morire insieme come Filemone e Bauci, trasformati da Zeus in una quercia e in un tiglio, uniti per il tronco. Ma l’idillio si rompe all’improvviso durante una vacanza nella villa sul lago degli Alfieri: la madre di Elettra viene coinvolta in un incidente d’auto e i due ragazzi trovano per sbaglio una lettera che instilla in loro un dubbio insostenibile. Quel dubbio e il segreto a cui li costringerà li terranno lontani per anni. Fino a questa telefonata, che è destinata a riaprire tutto ciò che era stato bruscamente interrotto e, forse, a regalare una seconda possibilità a quel primo amore mancato…

Scopri il nostro canale Telegram

Seguici su Telegram
Le news del libro sul tuo smartphone

Ogni giorno dalla redazione de ilLibraio.it notizie, interviste, storie, approfondimenti e interventi d’autore per rimanere sempre aggiornati

Inizia a seguirci ora su Telegram Inizia a seguirci ora

Fotografia header: Sofia Assante, fotografia di Paul Accolti

Libri consigliati