Considerato il capolavoro di J. D. Salinger, “Il giovane Holden” ha avuto una fortuna controversa. Ecco un viaggio attraverso i temi, i personaggi e alcune curiosità che potrebbero farvi nascere la voglia di (ri)leggere questo romanzo di formazione di culto

È uscito nel 1951 col titolo The Catcher in the Rye e quando è arrivato in Italia nel 1961 portava un titolo diverso in copertina: Il giovane Holden.

Che cosa ha reso questo protagonista iconico al punto da identificare col suo nome di battesimo l’intera opera, che oggigiorno non necessita neanche di una copertina illustrata, come nell’edizione einaudiana, completamente bianca e senza quarta di copertina?

Vi lasciamo sette motivi per (ri)leggere oggi Il giovane Holden di J.D. Salinger, letto prima di nascosto perché considerato “sgrammaticato” e poi, invece, consigliato a scuola per molti e molti anni.

1) Un “caro ragazzo” da amare o da odiare

Holden Caulfield non è semplice: con i suoi diciassette anni, si ritrova nelle prime pagine a essere un narratore interno svogliato, che precisa fin da subito: “non mi metto certo a farvi la mia stupida autobiografia o non so cosa”. Per capire che è il “bugiardo più pazzesco che abbiate mai incontrato”, che ama l’esagerazione, ha le mani bucate, si sente spesso solo e non ha vere e proprie amicizie strette ci vogliono un po’ di pagine. E, soprattutto, dobbiamo distinguere bene tra ciò che Holden dice e fa e ciò che invece pensa. Stanno lì, nei suoi pensieri, le sofferenze per quello che gli accade attorno e che lui fatica ad accettare, con lo spirito ribelle di un adolescente che non vuole piegarsi alle brutture del reale e ne resta così doppiamente segnato.

Piccoli e grandi traumi, tradimenti, sgarbi, incontri epifanici emergono con leggerezza solo apparente, all’improvviso: gli sono passati dagli occhi alla memoria e adesso di tanto in tanto riaffiorano, sghembi. E le reazioni possono essere le più disparate.

Il giovane Holden

2) La crudeltà di una buona scuola qualsiasi

Quando conosciamo Holden, scopriamo che sta trascorrendo i suoi ultimi momenti alla Pencey, una buona scuola borghese, da cui è stato cacciato per scarso rendimento. Passiamo un po’ di tempo con lui e il suo compagno di camera, Stradlater, ricco e vanitoso, ma anche con il loro vicino, Ackley, che certo non brilla per l’igiene personale, ma ha una sua sensibilità. Già l’uscita di scena di Holden, con i segni evidenti di qualche pugno in faccia e la sua discesa notturna solitaria per le scale della scuola, fa capire che il protagonista se ne sta andando senza quasi salutare nessuno. Bastano pochi altri ricordi per capire quanto Holden abbia cercato di nascondere il suo senso di inadeguatezza e quanto episodi apparentemente goliardici e quotidiani l’abbiano colpito.

C’è anche una grande tendenza a farsi gli affari propri, in queste grandi scuole americane, dove i drammi si consumano davanti agli occhi di tutti, ma pochi, poi, se ne ricordano. Perché Holden arrivi ad ammettere che “era una delle scuole peggiori […] capitate. Piena di gente ipocrita. E cattiva” occorre che si trovi a tu per tu con sua sorella, la persona più sincera che ha attorno.

3) Tanti “vecchi” amici, ma pochi destinati a restare

Sì, perché quando Holden se ne va dalla Pencey non intende tornare subito a casa e affrontare la delusione dei familiari. L’unica via? Approfittarsi dei soldi ricevuti dai parenti, pagarsi una stanza a pochi chilometri da casa e temporeggiare, dando al padre e alla madre il tempo di digerire la notizia dell’espulsione. La New York in cui si muove è la stessa di sempre, ma porta con sé una grande novità: Holden sta percorrendo quelle strade da solo. E gli incontri si moltiplicano: vecchi conoscenti di suo fratello, tassisti avidi che non comprendono le tante curiosità di questo ragazzino e il suo bisogno di compagnia, donne stupide che ballano magnificamente ma con cui non si possono fare due parole, una prostituta ben poco loquace, un addetto all’ascensore pappone, professori che vogliono (forse) il bene di Holden…

Le occasioni per mettersi in pericolo sono più di quelle in cui può realizzarsi una vera conversazione. Sono tanti i momenti in cui Holden rifletterà sul suo essere solo (“Però cominciavo davvero a sentirmi un perfetto cretino, a starmene lì solo come un cane”), e noi lettori proviamo inevitabilmente un po’ di tenerezza per la sua ricerca di attenzioni. Poi, lei: Sally Hayes, definita “quella ragazza che frequentavo spesso”. Complice il fatto che lei ha già cominciato le vacanze natalizie, Holden immagina di incontrarla e di trascorrere del tempo con lei, e in effetti Sally si dice felice di raggiungerlo, ma il loro appuntamento non andrà esattamente come da copione…

4) Una famiglia di grandi e piccoli assenti

Se vi state chiedendo: e la sua famiglia?, la risposta non è semplice. Il protagonista de Il giovane Holden elogia più volte D.B., fratello maggiore che si è ormai fatto una carriera nel cinema a Hollywood, dopo aver raggiunto un buon successo letterario: benché sia una specie di mito, nel romanzo entra appena. Sente invece più vicino Allie, ed è assurdo, se pensiamo che il bambino è morto anni prima. Poi c’è “la vecchia” Phoebe, la sua sorellina piccola e saggia, con un bel carattere bizzoso, ma sincera, fantasiosa e generosa. Dei genitori, invece, si sa ben poco: la madre non si è mai davvero ripresa dalla morte di Allie, mentre del padre si delineano soprattutto le alte aspettative e l’estrazione sociale agiata. Insomma, non sono certo figure presenti.

5) Meglio “un accidenti di libro” che un buon film al cinema

Piccola curiosità: nel Giovane Holden troviamo spesso riferimenti ad altri libri, perché il protagonista non è un lettore canonico, ma se incappa in un romanzo come si deve, lo fa suo (“Io sono abbastanza analfabeta, però leggo un sacco”). Ed ecco che, ad esempio, nelle prime pagine lo scopriamo alle prese con la rilettura di alcuni passi di La mia Africa.

Al contrario, i film non gli piacciono e spesso fa riferimento al suo subire le uscite al cinema o a teatro. Ecco perché è molto più fiero per il successo dei racconti di suo fratello che per la sua carriera a Hollywood! O vedere i Lunt con Sally è un vero e proprio sacrificio per una buona causa, ovvero rendere felice una loro grande fan. In ogni caso, il giudizio di Holden resta sempre impietoso: “Lo spettacolo era meno peggio di altri che ho visto. Ma era comunque una schifezza”.

6) L’arte di divagare

È lo stesso Holden, verso la fine del romanzo, a dichiarare: “Il problema è che a me piace, quando uno divaga. È più interessante, come dire”. E potremmo rispondergli: certo, si vede! Il romanzo è infatti ondivago, pieno di parentesi che si aprono, a cui poi si appigliano altri ricordi, per poi tornare a quanto era stato interrotto prima. Insomma, che piaccia o meno, il suo divagare ha creato uno stile molto personale per un romanzo che sarebbe stato etichettato come dirompente e sperimentale nella narrativa degli anni Cinquanta. Immaginiamoci un lungo monologo interiore in cui Holden si rivolge a noi, i suoi lettori, trattandoci da suoi pari, destinatari di quel grande racconto di solitudine che racchiude la sua avventura per New York. Il tutto, con tantissime marche del parlato.

7) Possiamo parlare di formazione?

Spesso Il giovane Holden compare nelle liste di romanzi di formazione, ma la formazione… si compie? In realtà gli eventi narrati avvengono in uno spazio di tempo molto limitato, quello di qualche giornata, mentre i tanti flashback servono più che altro a motivare uno stato d’animo del presente o a giustificare certe scelte di Holden. Possiamo vedere in questo adolescente alle prese con la propria indipendenza non tanto una possibilità di riscatto personale quanto la tendenza ad ammettere ciò che sente davvero: “Io non riesco a trovare niente praticamente in niente. Sono conciato malissimo. Sono conciato da far schifo”.

Holden nichilista? No, tutt’altro. Semmai è proprio lo scontro tra valori che vorrebbe fossero condivisi e il vuoto del suo presente a creargli una rabbia amara, piena di livore che non trova sfogo, se non nel pensiero e in qualche colpo di testa. E quale adolescente non si è mai sentito così? Forse è proprio questa condivisione di stati d’animo così viscerale, a tratti iperbolica e quasi ridondante, a generare ancora oggi un’empatia immediata in chi, come lui, si è sentito perso alla ricerca della propria identità.

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