Su ilLibraio.it un approfondimento di Giusi Marchetta dedicato a “Le ragazze” di Emma Cline, un romanzo dedicato al passaggio, traumatico, dall’infanzia all’adolescenza…

La forma di una ragazza

C’è una festa a casa di Evie. Cocktail con gli ombrellini, crocicchi di mogli a spettegolare col bicchiere in mano, un collega del padre che si accende una canna mentre sua madre, notandolo, passa da un’occhiata di disapprovazione a una indulgente. Qualcuno lascia cadere un posacenere in piscina. Non importa. Evie gironzola tra gli invitati senza una vera meta: ha solo quattordici anni e nessuno si aspetta niente da lei. È a bordo piscina che vede Tamar, la ventenne segretaria del padre, accompagnata da un uomo più grande che le accarezza la schiena. Ed è proprio in quel punto, nello spazio di pelle nuda tra il top e la gonna di Tamar, che Evie scopre qualcosa di nuovo e tremendo su se stessa e su tutte le altre.

Su sua madre, ad esempio: il modo in cui si avvicina alla coppia, saluta Tamar con entusiasmo e macchie di nervosismo sul collo. La gonna lunga, antiquata, che stona accanto alla ragazza. ( – Mi sta bene? – aveva chiesto a Evie prima che cominciasse la festa, – Sì – aveva detto lei – Stai benissimo).

Su Tamar, che dopo, sola e un po’ ubriaca, chiacchiera con il padre di Evie davanti allo sguardo sprezzante del suo accompagnatore. (– Tuo padre si scopa qualunque cosa – dirà, acido, a Evie, che non lo aveva chiesto).

Sulle donne, quelle che vanno a casa quando la festa è finita o rimangono come sua madre. Il marito le chiede di ballare nel soggiorno vuoto ma lei non se la sente. Raggiunge la figlia in camera sua e quando Evie prova ad avvertirla (– Papà stava parlando con Tamar prima –), sorride perché sa già tutto e le chiede: – E allora? Poi le dà la buonanotte e chiude la porta coscienziosamente, lasciandola a letto a pensare ai suoi piedi che forse sono brutti, immeritevoli di essere amati.

le ragazze

Sapevo che avrei dovuto odiare mio padre. Ma mi sentivo solo scema. In imbarazzo, non per lui ma per mia madre. Che si lisciava la gonna lunga, che mi chiedeva come le stava. Il fatto che ogni tanto le restava del cibo incastrato tra i denti e arrossiva quando glielo dicevo. Le volte che si metteva alla finestra quando mio padre tardava a tornare a casa, cercando di trovare nuovi significati nel vialetto vuoto. 

Avevo comprato Le ragazze di Emma Cline per la curiosità di leggere un’interpretazione letteraria della strage che gli adepti di Manson fecero la notte in cui uccisero Sharon Tate. Mi intrigava la possibilità che una brillante venticinquenne avesse scoperto il mistero che guidò la mano di quel gruppo di assassine, restituendo un senso a tutto: alla ferocia del gesto, alla sua apparente irrazionalità. Quello che ho trovato invece è un’autopsia, un’indagine meticolosa condotta sui corpi e sulle anime di tutte le ragazze, sull’identità stessa di Evie, di Suzanne, di Helene, di Sasha, di noi stesse che ne leggiamo la storia.

Con Evie ripensiamo con disagio al passaggio dall’infanzia all’adolescenza, alla nostra identità femminile in costante divenire che sembrava richiedere bizzarre e precise attenzioni. Ci ritroviamo a pensare a quando aspettavamo che qualcuno ci dicesse qualcosa di buono. (Tutto il tempo che avevo passato a prepararmi, gli articoli che insegnavano che la vita in realtà era una sala d’attesa finché qualcuno non ti notava mentre i maschi lo stesso tempo l’avevano passato a diventare se stessi).

Ricordiamo le volte in cui abbiamo sorriso per non sembrare antipatiche o pesanti quando loro erano sessisti. (Se ti incazzavi eri pazza, se non reagivi eri una mignotta. L’unica cosa che potevi fare era sorridere dall’angolino in cui ti avevano incastrata. Stare allo scherzo anche se dello scherzo eri sempre la vittima). Se poi incontriamo dei maschi tra le pagine ne aspettiamo il verdetto, quell’assegnazione immediata di valore, il giudizio su te stessa di cui ti vogliono complice. Leggiamo di sua madre così morbida e malleabile. Anche noi, qualche volta, siamo state morbide e malleabili, per questo non la possiamo perdonare.


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Intanto, attraverso la conoscenza delle ragazze della setta, Evie assume la forma di una ragazza. Scopre così che tutto si può sopportare: il dolore fisico, l’abuso mentale e sessuale, la fame perenne di attenzioni e di amore. Proprio l’amore è l’arma che rende possibile l’accettazione di tutto, la loro presa in ostaggio. Una penosa menzogna: quanto se ne aspettano queste ragazze e quanto ne avranno davvero nel corso della loro vita? C’è una sproporzione enorme tra l’illusione e la realtà che le circonda, un’ingiustizia così immane che può essere combattuta dalle ragazze solo con l’esercizio di un potere violento e autodistruttivo legato al sesso e al desiderio maschile. Se pure si combatte, comunque, usando le armi del nemico, non c’è modo di vincere la partita.

Qualche tempo prima che suo padre lasci la madre per lei, Tamar accompagna Evie a casa, poi le chiede di andare in bagno. Evie l’aspetta in cucina. Si vergogna di tutto: dei mobili, della trapunta dozzinale in camera dei suoi. Vuole piacerle e non sa bene come. Con le ragazze non si sa mai. Quando Tamar esce dal bagno però Evie nota che ha il rossetto di sua madre sulle labbra. L’altra se ne accorge e sulla faccia le compare, improvviso, il presentimento di un’altra vita. Si diventa donne a un certo punto, dunque, perché si è state ragazze e non si guarisce.

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