Bob Woodward e Carl Bernstein? Montanelli, Biagi o Bocca? No, Lou Grant, protagonista di una serie tv degli anni ’70-’80. È il modello di giornalismo a cui si è sempre ispirato Daniele Bresciani (il libreria con il secondo romanzo, “Nessuna notizia dello scrittore scomparso”). Su ilLibraio.it spiega perché, e riflette sui grandi cambiamenti che stanno vivendo giornali e riviste, che davanti all’ascesa di internet e al calo della pubblicità provano a restare a galla “a colpi di tagli di personale, abbassamento della qualità, concessioni di ogni tipo agli investitori…”

Mi piacerebbe poter dire che in gioventù i miei modelli di giornalismo siano stati Bob Woodward e Carl Bernstein, i cronisti del Washington Post autori dello scoop sul Watergate meravigliosamente interpretati da Robert Redford e Dustin Hoffman in Tutti gli uomini del presidente. Oppure che il “fuoco sacro” per questo mestiere me lo abbiano trasmesso le grandi firme della stampa italiana, i vari Montanelli, Biagi e Bocca.

Invece, se mi guardo indietro e penso a qualcuno che mi abbia fatto pensare davvero “però, sarebbe bello fare il giornalista”, mi viene in mente il faccione burbero di Lou Grant.

Maniche della camicia arrotolate, colletto perennemente sbottonato, cravatta sempre troppo corta sulla pancia prominente, Lou Grant era il protagonista di una serie televisiva andata in onda tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta.

Ed Asner Lou Grant

Interpretato da Ed Asner, Lou era il capocronista di un quotidiano di fantasia, il Los Angeles Tribune. Aveva a sue disposizione cronisti tenaci e idealisti, come Joe Rossi e Billie Newman, dipendeva da un direttore fermo ma corretto, e a volte si scontrava con una proprietaria, la signora Margaret Pynchon impersonata dalla grande Nancy Marchand, che pur stando attenta ai conti alla fine faceva sempre in modo che ciò che era giusto prevalesse su ciò che era conveniente.

Era il sogno di un giornalismo romantico, bellissimo, perfetto, che proteggeva i giusti e metteva alla berlina i cattivi. Un giornalismo che, se mai è esistito in questi termini, temo si sia estinto.

E di sicuro non assomiglia al giornalismo che racconto in Nessuna notizia dello scrittore scomparso.

Sapevo che ambientare il romanzo in una redazione, per di più di un settimanale in crisi, poteva far alzare qualche sopracciglio, visto che io da tre anni non faccio più parte di quel mondo e mi occupo di comunicazione d’azienda (per mia fortuna una delle aziende più belle d’Italia, la Ferrari).

Così come sapevo che non sarebbe bastato un disclaimer a scongiurare il gioco del “chi è chi”: il libro era uscito da pochi giorni quando sono arrivate le prime telefonate da ex colleghi che chiedevano “a me puoi dirlo, dai, ma il tal personaggio è in realtà Tizio?”.

La verità è che no, nessun personaggio è Tizio, chiunque sia Tizio.

Così come la verità è che sì, tutti i personaggi assomigliano a tutti noi che abbiamo lavorato in una redazione negli ultimi vent’anni e quel giornale che muore è qualsiasi giornale oggi boccheggi e stia cercando di restare a galla a colpi di tagli di personale, abbassamento della qualità, concessioni di ogni tipo agli investitori.

Non c’è alcun moralismo in questo né c’è la presunzione stupida di chi, da fuori, dice “finché c’ero io era tutto diverso”. C’è solo la presa di coscienza di una realtà, quella dell’editoria appunto, che sta cambiando radicalmente e si sta trasformando in altro. Ed è un “altro” che facciamo ancora fatica a definire.

Io, in 25 anni di giornalismo, ho avuto una carriera che è andata molto al di là delle mie aspettative di giovane praticante. Ho lavorato in giornali di successo e ho avuto direttori straordinari, che mi hanno insegnato molto, come Candido Cannavò alla Gazzetta dello Sport e Carlo Verdelli a Vanity Fair.

Ma ho anche il piccolo rimpianto di non aver mai trovato un vero Lou Grant né di essere stato io in grado di assomigliarli fino in fondo.

E allora, per rifarmi, ho messo un po’ di quel giornalismo romantico in Emma, la protagonista di Nessuna notizia dello scrittore scomparso. Le ho dato lealtà, tenacia, coraggio. E le ho regalato anche la capacità di restare coerente malgrado tutto.

Secondo me, Lou l’avrebbe presa al Tribune.

P.S. Una piccola chiosa. Qualcuno di recente mi ha detto: “la carta è romantica, ma l’iPad è più pratico”. Vero. E io sono uno che sull’iPad legge anche i libri. Però ho sempre pensato e continuo a pensare che un giornale di carta sia qualcosa che nessun sito (nemmeno questo per il quale sto scrivendo, lo dico cospargendomi il capo di cenere) possa eguagliare. La carta, alla fine, ha una marcia in più. Questione tattile, di odori, memorie. Ma se non ci credete, di nuovo, guardatevi la sigla sempre di Lou Grant.

Ci trovate tutto il processo che va dal tronco d’albero (eh sì, lo so, questo è doloroso) alle bobine di carta, dalla redazione alle rotative fino al lancio di porta in porta del quotidiano che viene letto davanti al caffè. Arrivate all’ultima scena, guardate quello che succede e dite, sinceramente: potreste farlo con un PC?

L’AUTORE E IL SUO SECONDO ROMANZO – Nessuna notizia dello scrittore scomparso (Garzanti) è il secondo romanzo di Daniele Bresciani, giornalista molto stimato, attualmente alla direzione comunicazione della Ferrari, e porta il lettore nella mente di uno scrittore e di un giornalista. Qui i particolari sulla trama e un estratto

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