“Il successo per me è stato poter pubblicare un libro folle in cui pochissimi credevano: un libro su Leopardi? Mi chiedevano stupiti in molti e con discreto scetticismo…”. Alessandro D’Avenia parla con ilLibraio.it de “L’arte di essere fragili”, che ha conquistato il pubblico anche nella versione teatrale: “Nel generale vaniloquio in cui siamo immersi credo che i ragazzi cerchino una parola che nomini le cose, senza girarci attorno. Che provi a dire la verità. Come fa Leopardi”. D’Avenia è tra gli autori più seguiti sul web: “I social spesso riempiono il vuoto di una vita senza progetti e passioni, e la rete può dare l’impressione di una vita piena”. Sul futuro: “Il prossimo libro? Posso solo dire che sarà di tutt’altro genere” – L’intervista

“Non avevo intenzione di scrivere un libro su Leopardi, ma poi vedevo gli occhi dei miei studenti rapiti dai suoi versi… Noi presentiamo loro Leopardi come il poeta del pessimismo e loro lo sentono come il poeta cercatore della felicità. Allora mi sono detto: qui sto sbagliando qualcosa…”.  Abbiamo approfonditamente intervistato Alessandro D’Avenia a inizio novembre, quando in libreria è arrivato L’arte di essere fragili (Mondadori). Tre mesi dopo, il libro continua a essere altissimo nella top ten dei più venduti.


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D’Avenia, si aspettava questo successo?
“Prima di rispondere vorrei riformulare la parola successo. Il successo per me è stato poter pubblicare un libro folle in cui pochissimi credevano: un libro su Leopardi? Mi chiedevano stupiti in molti e con discreto scetticismo. Il successo per me è rimanere fedele a quello che l’ispirazione e la mia ricerca interiore mi detta. Se vado fino in fondo e trovo ciò che stavo cercando, allora forse do la possibilità alla bellezza di accadere attraverso le parole, e capita che altri vengano afferrati da questa nuova intuizione sul mondo. Credo sia quello che sta accadendo, al di là di ogni aspettativa per un libro del genere, una specie di romanzo in seconda persona, in cui si assiste alla conversazione tra Leopardi e il sottoscritto”.

Un vero dialogo.
“Sì, in cui il logos viaggia attraverso (dia- vuol dire questo) lo spazio e il tempo, grazie alla filologia dei testi, cioè l’amore (fileo-) della parola (logos). I classici sono attuali perché ci fanno fare esperienza della realtà quando noi non riusciamo più a farla, perché ci mancano le parole adatte. Leopardi mi ha spiazzato e cambiato, dandomi le parole per abitare la condizione umana in tutti i suoi aspetti, anche quelli più malinconici e drammatici. Leopardi è grande non perché mi rispecchi in lui, ma proprio perché le sue parole scuotono e ampliano il mio modo di essere, come fanno i classici”.

l'arte di essere fragili

Lei ha voluto raccontare il suo libro nei teatri, rivolgendosi direttamente ai ragazzi: com’è andata quest’esperienza?
“I biglietti per teatri di più di mille posti terminano in meno di 10 minuti. Sono allibito, perché è uno spettacolo serale in cui può venire chi vuole, non si viene ‘deportati’ dalla scuola. E i teatri sono pieni di persone di tutte le età, soprattutto giovani, che vogliono ascoltare una parola che pesa, una parola consistente (consistency doveva essere il titolo dell’ultima delle Lezioni americane che Calvino non riuscì a scrivere. Parola che indica sia consistenza sia coerenza). La poesia può restituirci la grandezza della parola, col suo peso di essenzialità, verità e bellezza. Credo che i ragazzi cerchino questo nel generale vaniloquio in cui siamo immersi: una parola che nomini le cose, senza girarci attorno. Che provi a dire la verità. Come fa Leopardi”.

Dal contatto diretto, dal vivo (che, nel suo caso, avviene sia in classe, sia nei teatri, come pure nelle librerie in cui incontra i lettori) a quello virtuale, attraverso i social. Lei è tra gli autori italiani più seguiti su Facebook: che tipo di dialogo riesce ad avere con i suoi lettori, giovani e meno giovani, attraverso la rete?
“Mi ha fatto sempre sorridere il mito dell’autore isolato dal mondo, che si eleva sulle persone come una specie di profeta… Uno scrittore è immerso nel mondo, ne conosce le contraddizioni, la bellezza, le cadute, i sogni e la sua scrittura si nutre di tutto questo. Per me si tratta di un’unica esperienza, perché cerco di essere la stessa persona in ogni circostanza e ambiente, e oggi la rete è a tutti gli effetti ambiente, mondo. Mi sorprende vedere quanto si possa fare con i social”.

Per esempio?
“Consigliare libri, condividere opinioni, commentare un quadro… Insomma si può fare moltissimo. Un capitolo a parte sono le lettere che ricevo, a molte delle quali non riesco a rispondere, ma anche questo fa parte della novità di questo tempo in cui si cerca il contatto umano dopo averlo trovato sulla pagina, quasi a voler proseguire il dialogo, ciò la ricerca del logos, insieme”.

Spesso i social media sono oggetto di critiche, anche per il tipo di utilizzo (e in alcuni casi di abuso) che ne fanno gli adolescenti: anche lei nutre preoccupazioni in questo senso?
“Mi fa sorridere anche l’espressione: ‘uso che ne fanno gli adolescenti’. Mi sembra che i social siano usati soprattutto dagli adulti e per fini non sempre nobili, e che gli adolescenti li usino di conseguenza. Le cose di questo mondo non mi preoccupano, ma mi occupano, quindi si tratta di partecipare a questo ambiente e umanizzarlo, come per qualsiasi ambiente che le persone si sentono spinte ad abitare. In una piazza io posso raccontare una storia o sparare alla gente, come sempre è in gioco ciò che ciascuno di noi vuole immettere nel mondo. E questo rimanda alle scelte di vita che facciamo noi adulti e l’esempio che diamo. Per i ragazzi il rischio che vedo è una gran perdita di tempo, perché i social spesso riempiono il vuoto di una vita senza progetti e passioni, e la rete può dare l’impressione di una vita piena”.

Perché?
“Perché copre la noia, grande molla per uscire dall’accidia e lanciarsi a esplorare il mondo. Il tempo passa e non torna indietro, e i ragazzi rischiano di sostituire alla conoscenza reale di sé e del mondo, idoli della conoscenza, maschere della realtà, precipitando poi al momento di scegliere o in luoghi comuni del così fan tutti o in crisi di identità che prima o poi dovranno comunque affrontare”.

Ha già in mente l’idea per il nuovo libro?
“Sono già a lavoro, ma non parlo mai di quello su cui sto lavorando, perché ho bisogno di custodire la mia vita interiore come ciò che ho di più puro e indisponibile, perché costituisce il nucleo vitale della mia persona, il mio modo di vivere e amare. Non smetto mai di scrivere, anche se poi magari non scrivo righe, ma leggo, studio, pongo domande alla gente, frequento territori nuovi verso cui la scrittura mi porta. La scrittura non è solo il lavoro sulla pagina, ma è un viaggio di esplorazione del mondo che cambia il tuo modo di stare al mondo. Solo una nuova e reale esperienza interiore può generare una nuova e reale esperienza letteraria. Purtroppo, anche a scuola, abituiamo i ragazzi non tanto a fare esperienza della letteratura, ma del programma di letteratura. Infatti anche se sanno che l’Odissea è composta da 24 libri, poi non l’hanno letta. Anche per questo volevo che il libro su Leopardi facesse fare ‘esperienza’ delle parole di Leopardi, senza liquidarlo in quelle storielle delle ‘fasi’ degli autori. Il prossimo libro, questo posso dirlo, sarà di tutt’altro genere”.

 
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