“Partire dalla vita dei bambini, questa è la mia proposta per la scuola”: su ilLibraio.it la riflessione di Davide Tamagnini, in libreria con “Continuerò a sognarvi grandi – Storia di una rivoluzione tra i banchi di scuola”. Secondo l’autore, che parte dalla sue esperienza, “la scuola che dobbiamo costruire è una scuola accogliente, aperta agli altri e al mondo, curiosa, in ricerca; è una scuola obbligatoria non tanto perché si impone agli studenti, ma perché, non potendo fare a meno di loro, si dà degli obblighi dinnanzi alla società; è una scuola gratuita, che si fa dono per gli altri…”

Partire dalla vita dei bambini, questa è la mia proposta per la scuola. Vuol dire avere il coraggio di guardare in faccia i bambini, tutti i bambini nessuno escluso, e imparare a cogliere in quella dilatazione delle loro pupille il vero incanto, quello che gioisce e si stupisce di ogni scoperta, che sa guardare oltre l’apparenza con la forza della fantasia.

I loro occhi li troviamo a scuola e li rivolgono a noi, per essere spinti a guardare altrove, profondamente lontano. Il sentiero da percorre con loro lo si scopre cammin facendo, rompendo i recinti dell’abitudine. Dobbiamo tenere gli occhi aperti sui nostri passi, lasciarci sorprendere dai doni che riceveremo e dalle pietre in cui inciamperemo, ciò ripagherà la nostra fatica di camminare.

Perché a scuola impariamo quel che viviamo. L’ambiente, di cui la scuola è una parte, influenza le possibilità e i pensieri delle persone, il loro modo di leggere le vicende umane, di costruire nessi, di discriminare il bene dal male, di dare senso al tutto e alle sue parti. A scuola si impara a pensare con gli altri e per gli altri.

C’è un rapporto inscindibile tra educazione e democrazia; la pedagogia, da Rousseau a Dewey, da Montessori a Freinet, ci ha insegnato che ci si educa attraverso l’ambiente per trasformarlo. Insieme, aggiungerebbe Freire. Le cose che accadono intorno alla vita dei bambini li colpiscono, arrivano alle loro orecchie, talvolta purtroppo ai loro occhi, ci sono eventi e questioni che li scuotono, li imbarazzano, li inducono a pensare, a reagire. Per educarsi alla parola bisogna trovare lo spazio per esprimerla, per esprimersi, per ascoltarla, per ascoltarsi. Partire dalla loro vita, significa anche dare valore alle mani quelle che ci permettono di impastare la vita, sporcandocele. I bambini possono sperimentare e imparare attraverso il gioco e il lavoro, in un ambiente pensato per il loro sviluppo e arredato di materiali opportunamente realizzati e messi a loro disposizione.

Ho raccontato la mia esperienza di insegnante in alcuni libri, l’ultimo dei quali si intitola Continuerò a sognarvi grandi. Storia di una rivoluzione tra i banchi di scuola. Ma cominciamo con un chiarimento: non ho modelli rivoluzionari da proporre, ho semplicemente cercato di vivere quello che la mia esperienza di insegnante nella formazione professionale mi aveva indicato, quello che avevo imparato nella mia formazione universitaria e a farlo dialogare sia con i dettami costituzionali e ministeriali, sia con la conoscenza dell’infanzia assaporata da genitore. Ho impastato il tutto e l’ho fatto diventare il contenuto della mia esperienza di maestro alla scuola primaria. Penso in particolare all’apprendimento significativo, quello che ha e dà un senso alla vita, a come l’esperienza di apprendimento debba essere vissuta con felicità e serenità da tutti.

Allora la scuola che dobbiamo costruire è una scuola accogliente, aperta agli altri e al mondo, curiosa, in ricerca; è una scuola obbligatoria non tanto perché si impone agli studenti, ma perché, non potendo fare a meno di loro, si dà degli obblighi dinnanzi alla società; è una scuola gratuita, che si fa dono per gli altri. La scuola che mette insieme questi tre ingredienti è la scuola della nostra Costituzione (art. 34), una scuola che ha motivo di esistere, per la quale resistere, perché dentro di essa possiamo vivere un’esperienza di comunità, imparare a costruire il bene comune. Cambiare cornice porta con sé un carico di fatiche, farlo dentro un’istituzione è uno scontro aperto con la sedimentazione storica delle pratiche, ma tutto lo sforzo necessario è abbondantemente ricompensato dalla bellezza del crescere insieme ai propri studenti. Forse in questo voler sfidare la forzata e illusoria immobilità del mondo della scuola c’è un pizzico di rivoluzione.

Partiamo dal fondo: nella mia classe ho scelto di eliminare i voti in favore di una valutazione autentica, capace di dare valore agli sforzi di ciascuno, di descrivere il percorso di ciascuno studente, che sappia distinguere il misurare dal valutare. C’è chi attribuisce a questa scelta radicale di non mettere i voti in pagella, il cuore di questa “rivoluzione tra i banchi di scuola”; io penso che si tratti più prosaicamente di aver riportato su un piano di coerenza l’azione e la riflessione che sempre la deve accompagnare, l’insegnamento con la valutazione di sé stesso, i processi di apprendimento con la possibilità di comprenderli.

Non bisogna cominciare togliendo i voti. Se non si riesce a cambiare in profondità la didattica, allora è meglio tenerseli, almeno per coerenza e facilità. Così abbiamo tentato di coinvolgere le famiglie e gli studenti in questo campo di interpretazione della realtà che è appunto la valutazione. Perché diversi punti di vista incontrandosi possono far luce sulla complessità dei processi di apprendimento; senza il bisogno di fare una sintesi, ma legittimandoli tutti, quello degli insegnanti, degli studenti e delle loro famiglie.

Ma come? Abbiamo pensato a strumenti diversi per comunicare cose diverse: il semaforo, con i suoi tre semplici indicatori, andava a comporre a fine quadrimestre, come in un trittico, la mappa degli apprendimenti ministeriali raggiunti da ogni studente. Una lettera scritta ai bambini dagli insegnanti a ogni quadrimestre, e un’altra per mano dei genitori, sono state l’occasione di raccontare la metamorfosi alla quale noi adulti potevamo assistere osservando le vittorie e le cadute dei bambini.

Le lettere hanno fatto cultura, sono state fin dal primo anno il modo di comunicare di questa classe: siamo cresciuti attraverso lo scambio di parole scritte tra di noi e con il mondo fuori dalla nostra aula. Infine, un tempo dedicato all’autovalutazione dei bambini ha completato la nostra proposta in materia di valutazione, sempre tesa a voler far crescere la consapevolezza delle capacità e l’autostima di ciascuno, senza sottrarsi alla propria responsabilità docente trincerandosi dietro la presunta oggettività del voto. Si tratta proprio di uscire dalla solita cornice, dalle pratiche e dalle premesse di una cultura scolastica che ha nel voto numerico una dei suoi simboli e piedistalli più contradditori.

La rivoluzione di cui parlo nel mio libro non sono sicuro che abbia stravolto l’istituzione nella quale lavoro, ma sicuramente ha cambiato la mia vita. Abbiamo provato a mettere la felicità al centro dell’esperienza scolastica, e ne è risultata una vera e propria avventura, fatta di viaggi ed esperimenti, errori e scoperte che non avremmo potuto immaginare all’inizio. Un’avventura che ci ha portati verso il futuro e che non si è esaurita alla fine del quinto anno di scuola. Per questo motivo ho scelto quel titolo, Continuerò a sognarvi grandi; perché è un’esperienza che fa parte della mia storia, mai conclusa, e che si sforza di tenere insieme due elementi fondamentali nell’educazione: il sogno e il futuro.

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L’AUTORE E IL LIBRO – Davide Tamagnini è nato a Novara nel 1977. Prima di arrivare in aula come maestro è stato chimico, animatore sociale, sociologo e docente nei corsi regionali di formazione professionale. Proprio in quest’ultimo contesto è nato il suo desiderio di approfondire i temi della pedagogia per trovare un modo di rendere la scuola un luogo veramente inclusivo e formativo, per tutti. Specializzato presso l’Opera Nazionale Montessori è attivo sia nel Movimento di Cooperazione Educativa, sia come formatore esperto di didattica. È dottorando in Educazione nella società contemporanea presso l’Università Bicocca di Milano. Nel 2016 ha pubblicato un testo sulla sua esperienza da insegnante: Si può fare. La scuola come ce la insegnano i bambini.

Tamagnini, erede di una lunga tradizione di insegnamento che si rifà a Gianni Rodari e don Milani, il maestro salito alla ribalta dell’opinione pubblica per il suo metodo didattico che capovolge il modo classico di concepire la scuola e la formazione primaria, nel suo nuovo libro, Continuerò a sognarvi grandi – Storia di una rivoluzione tra i banchi di scuola (Longanesi) racconta un’esperienza di insegnamento e di vita unica in Italia e in Europa. L’autore, infatti, è riuscito a costruire, dal primo al quinto anno di una scuola elementare di Varallo Pombia, in provincia di Novara, un percorso didattico innovativo e sperimentale la cui punta dell’iceberg è la scelta di abolire i voti.

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