“Combatto la retorica dell’elogio dell’imperfezione… trovo giudicante l’esaltazione e l’autoesaltazione dell’incapace. Tutto si può fare e tutto si può imparare, perfetto significa solo compiuto, fatto. Quindi ogni storia, compresa la mia, è perfetta. Quanto alle cadute, ne ho avute moltissime, e rovinose… ma sono tali solo se ci accorgiamo del tonfo”. L’intervista a Maria Beatrice Alonzi, in libreria con “Non voglio più piacere a tutti”, che riflette sulla solitudine, ampliata dai social, dove “gli standard che vediamo sono impossibili da raggiungere”, e sulla mancanza, nel nostro tempo, dell’ascolto. Quanto alla felicità, “sta nell’essere liberi. E per essere liberi bisogna essere molto coraggiosi…”

Il progetto è ambizioso: insegnare a raggiungere tutto, in tutti i campi. Come – o meglio puntando su cosa, e lasciando quali zavorre – cerca di spiegarlo Maria Beatrice Alonzi nel libro Non voglio più piacere a tutti (Vallardi): una storia che vuole essere una guida per uscire passo dopo passo da sensi di colpa e di inadeguatezza, e da altre catene.

Una carriera tra virtuale e reale, tra recitazione e marketing, tra piani di business e social network; Alonzi raggiunge una fan base di 250mila followers, sommando i vari social, Clubhouse compreso.

L’abbiamo raggiunta all’indomani del lancio del libro. Quando ormai, ci dice, “travolta da un bagno d’amore” da parte di lettrici e lettori, “non resta che andare a camminare nel cuore delle persone”.

“Ho voluto scrivere – spiega – perché volevo dare alle persone che interagiscono con me la sensazione, anzi la certezza, di non essere da sole, di avere tutte dubbi simili. L’approccio non è terapeutico, perché non sono una psicologa, ma l’intento è quello della chiarezza: se vuoi sapere cosa ti accade, anziché rispondere in pochi caratteri a un tuo messaggio in dm, te lo racconto per esteso qui. Quello che mi dicono, oggi, è che non vedono l’ora di iniziare questo nuovo viaggio insieme, facendo proprie le frasi che sono solita dire loro nei miei post: è infatti con il linguaggio che cambiamo la prospettiva di ciò che andiamo a guardare. Se invece di dire ‘ci siamo lasciati’ imparassimo a dire ‘abbiamo cambiato strada, idea’, per esempio, sarebbe un modo per parlare con se stessi, e di se stessi, tenendo lontano l’autogiudizio”.

Il suo linguaggio, diretto e colloquiale, risponde al bisogno che le persone hanno di trovare qualcuno che le rispecchi: possibile che in un’epoca interamente social siamo così soli? Ancor di più pensando all’ultimo anno…
“Le persone si rivolgono a me perché le ascolto, le faccio parlare, mi rivolgo a loro dando del tu, dando la possibilità di guardarsi dentro, e a volte anche attraverso: dando, cioè, una lente per guardare al mondo attraverso se stessi. I social network possono essere usati in svariate maniere, quella che ho voluto usare io è fare la differenza. Anche solo di un millimetro”.

In che modo?
“L’ascolto che do a chi mi segue punta a orientare comunicazione e narrazione verso il cuore dei problemi che affrontiamo tutti i giorni. Da lì viene l’esigenza di scrivere Il libricino della felicità e ora Non voglio più piacere a tutti. In ultimo: ci sentiamo più soli? Sì. Non a causa dei social, però…”.

E di cosa?
“Dell’amplificazione dei social. La maggior parte delle persone che si approcciano a me sono individui che per tutta la vita si sono sentiti come se stessero urlando fortissimo dentro una stanza piena di gente, senza che a nessuno ciò importasse. Mi viene sempre in mente un bar affollato, uno di quelli che non vediamo più in questo periodo, dove tutti chiedono il caffè: immagina una persona in mezzo alla stanza che grida che ha bisogno di aiuto, mentre gli altri continuano a ordinare caffè. Non è che non lo sentano, è che non hanno interesse. Questa persona si sente sola in mezzo a tanti. I social hanno amplificato questo elemento”.

Perché?
“Gli standard che vediamo sono impossibili da raggiungere. La comunicazione detta ‘organica’ – cioè i contenuti che qualcuno decide di postare -, è completamente interconnessa con un asset pubblicitario onnipresente, gigantesco: siamo tutti potenziali clienti, attraverso le piattaforme social, delle aziende che comprano gli spazi pubblicitari. Le piattaforme hanno trovato un modo intelligente di confondere il messaggio pubblicitario con quello non pubblicitario; vediamo così la nascita degli influencer che orientano la volontà d’acquisto con consigli integrati alla comunicazione, come prima si faceva con le televendite. Solo che allora riuscivamo a distinguere ciò che stava dentro e ciò che stava fuori di noi, attraverso la televisione, mentre il telefono lo abbiamo sempre tra le mani, contiene tutto di noi, e quindi distinguere gli spot è più difficile, anche perché le persone che seguiamo le sentiamo amiche. Sono anche una business strategist: elaboro piani per aziende e imprenditori. Quello che so lo metto a disposizione di chi mi segue perché voglio che sia consapevole”.

Cos’è cambiato nell’ultimo anno?
“Le cose che dico hanno trovato un pubblico più vasto, soprattutto negli ultimi mesi, forse anche a causa del lockdown: è più facile, infatti, che si cerchi sui social qualcuno che ti parli di come ti senti dentro, quando sei costretto a non uscire, piuttosto che qualcuno interessato a sponsorizzare bellissimi oggetti che al momento non puoi usare perché non esci”.

Ogni storia è imperfetta? Tra le pagine del suo libro c’è tanto della sua esperienza: qual è stata la “caduta” più importante, la molla per costringerla alla risalita?
“Combatto la retorica dell’elogio dell’imperfezione. Non mi piace che si dica che imperfetto è bello, trovo giudicante l’esaltazione e l’autoesaltazione dell’incapace. Tutto si può fare e tutto si può imparare, perfetto significa solo compiuto, fatto. Quindi ogni storia, compresa la mia, è perfetta. Quanto alle cadute, ne ho avute moltissime, e rovinose”.

Come tutti.
“Sì, ma una caduta è tale se ti accorgi di essere caduto. Io, come tanti, per molto tempo non mi sono permessa di accorgermene, così continuavo a risalire non curandomi delle ferite, della testa rotta, del cuore in frantumi. Questo è molto performante, perché non solo non ti accorgi di stare male, ma continui ad andare avanti, ti trovi ad avere successo in tanti campi. Però ci arrivi a pezzi. E non ti permetti di andare a guardare questa parte di te. Questo crea un problema”.

Quale?
“Tutti i tuoi traguardi non li riconosci come tali, miri sempre a quello successivo. Quando sono stata tradita, mi sono accorta di un problema e mi sono ripromessa di non voler più stare così male: ho iniziato un percorso di terapia e ho lavorato su ciò che in me funziona in un dato modo, dandomi così la possibilità di aprire un vaso di Pandora e rimettere insieme i cocci. Come siamo ce lo portiamo avanti tutta la vita: quello che impariamo è a sgamare le nostre difese e rispondere. Il fallimento dal quale sono risalita è il mio: a 34 anni mi sono permessa di accettare un mio fallimento e di iniziare a lavorare sulle mie difese”.

Cosa manca in questo tempo?
“L’ascolto. Non ci diamo il tempo di stare in silenzio a capire cosa le persone ci dicono, come, in che tempi, con quali silenzi. Possiamo cambiare la vita degli altri ascoltandoli. Una mia caratteristica, prima, era quella di ascoltare sì, ma subito intervenire con la soluzione. E mi stupivo pure se l’altro non l’accettava”.

Perché non vuole più piacere a tutti?
“Ho scelto questo titolo perché ‘piacere a tutti’ è stato il motore che mi ha concesso di raggiungere tante vette, essere qualcuno con un buon curriculum personale e professionale. Solo che era scorretto. Perché l’ultimo gol per me era sentire di esistere. Sentirmi amata, voler piacere agli altri significava dire ‘per favore dimmi che esisto’. Non ‘che conto qualcosa’ o ‘che sono importante’, ma solo che esisto. Capita a tanti, è una piaga”.

È la pandemia del nostro tempo.
“Sì. Il desiderio di piacere, che nasconde quello di essere amati e di essere visti e sentiti. Il mio invito è quello di farsi toccare da questo. Spero che il lettore si faccia toccare, che senta quel pizzicottino, quel fastidio vicino al cuore. E ci lavori su”.

Cos’è la felicità?
“Essere liberi. E per essere liberi bisogna essere molto coraggiosi”.

Abbiamo parlato di...