Nel 1865, la ventenne Edmonia Lewis, figlia di un’indiana Chippewa e di un nero libero, lascia Boston e si trasferisce a Roma per completare la sua formazione di scultrice. Ora un libro racconta la sua storia, e un mondo dove le gerarchie “razziali” erano una triste realtà

Nel 1865 una ventenne lascia Boston per trasferirsi a Roma.

Roma, come ci ricorda Louisa May Alcott in Piccole donne, era a quei tempi il centro dei desideri, è lì che si andava per “diventare la migliore artista del mondo”. La ventenne si chiama Edmonia Lewis e ama la scultura sopra ogni cosa. Il suo sogno è quello di far fiorire il suo talento nella Città Eterna, una città che trabocca letteralmente di arte. La ragazza vuole lasciare il segno e sa bene che solo Roma è in grado di accogliere le sue fantasticherie.

Va detto però che Edmonia Lewis, figlia di una nativa americana Chippewa e di un nero libero, è ben conscia che la sua epoca è contro le persone “mescolate” come lei. Nativi e afroamericani vivono ai margini della società e, per qualcuno che viene da quei mondi, sognare l’arte è un po’ come sognare l’impossibile. Edmonia, che ha ereditato la pelle nera del padre e i capelli ondulati della madre, non vuole però cedere a un destino già segnato che la vede sconfitta. Per questo ha cercato per tutta la vita di trasformare se stessa in un inno di libertà.

In questo 2017, dopo varie pubblicazioni che le sono state dedicate negli States, ecco finalmente anche sugli scaffali italiani un libro che renda giustizia al grande talento di Edmonia Lewis.

Il libro si intitola Forever Free. Oltre la barriera del colore. L’esilio romano di Edmonia Lewis e l’autrice Luisa Cetti, con una prosa fresca e mai banale, è riuscita a restituirci (nonostante le difficoltà nel reperire del materiale attendibile) la forza dirompente della scultrice afroamericana. E lo ha fatto soprattutto ricostruendo la sua figura attraverso il contesto storico in cui lei stessa si è mossa. Luisa Cetti usa diversi documenti, lettere, interviste, resoconti degli artisti statunitensi a Roma, romanzi; come un segugio l’autrice, che si è occupata molto dell’Ottocento statunitense, cerca le tracce di Edmonia a Roma, la insegue da vicolo a vicolo, cercando di capire quali sentimenti animassero il petto di un’artista che voleva eccellere a ogni costo, nonostante le difficoltà oggettive di un mondo dove le gerarchie “razziali” erano una triste realtà.

Forever Free

Ed eccola Edmonia, come ci appare sulla copertina del libro, con uno scialle pesante e un fez (il cappello, ndr), con il suo viso da bambina che non guarda verso l’obbiettivo. Ed ecco le sue due mani, quelle che plasmano la materia della sua arte, sottili e delicate che fuoriescono dallo scialle.

Luisa Cetti ripercorre la sua vita da prima che Edmonia diventi una romana d’adozione.

Nel 1856 era già orfana di entrambi i genitori, costretta ad abbandonare la vita nomade dei chippewa; sarà suo fratello Samuel a darle il sostegno economico e avviarla agli studi.  La vediamo anni dopo al Collegio di Oberlin, uno dei collegi che accettava anche afroamericani. Sono anni in cui da una parte degli Stati Uniti sei schiavo, dall’altra libero e dove da un momento all’altro questo stato di libertà poteva anche essere revocato, bastava solo fare brutti incontri per finire di nuovo in catene, di nuovo schiavo.

Oberlin sulla carta può sembrare un paradiso, ma Edmonia è uno spirito libero e mal si adatta- spiega l’autrice – alla mentalità vittoriana fatta di regole, buone maniere e falsità. E non è un caso che a Oberlin diventa il centro di un caso che sconvolge la quiete del collegio: viene accusata di aver servito a due sue compagne del vin brulè avvelenato e successivamente, forse a causa di questo episodio, Edmonia viene selvaggiamente picchiata in una gelida sera invernale e abbandonata in un campo agonizzante. Sta di fatto che questi due episodi hanno minato nel profondo la fiducia di Edmonia in quel collegio e in generale negli Stati Uniti d’America. Non si fida più del suo paese e da lì pianifica la sua fuga in un altro continente.

Tutto questo le sarà possibile solo grazie all’arte. Avvicinatasi ad ambienti abolizionisti, riesce a smarcarsi dall’atmosfera soffocante del collegio e riesce a guadagnare (soprattutto grazie alla vendita di alcuni medaglioni raffiguranti figure celebri della lotta alla schiavitù, come John Brown) quei soldi che la porteranno a Roma, verso la libertà.

Qui Luisa Cetti ci porta per mano in una Roma che abbiamo vagamente intravisto nei romanzi di Henry James: una Roma cosmopolita, centro di attrazione culturale che attraverso il suo glorioso passato sa come costruire il futuro. Il Neoclassicismo e Canova sono il modello a cui aspirare e tutto diventa, soprattutto per gli stranieri, improvvisamente alla moda; i turisti americani si riforniscono, come spiega l’autrice, di opere d’arte e souvenir romani, e gli atelier degli artisti statunitensi diventano centri di attrazione, quanto il Colosseo e San Pietro. Come altre sue colleghe, anche Edmonia Lewis entra in questo mondo fatto di aspettative e business. Il lettore insegue la protagonista nei suoi vari spostamenti romani, da Via della Frezza (vicino all’antico atelier del Canova) a Via San Nicola da Tolentino 8, fino ad arrivare a Via Venti Settembre 4.

La vediamo faticare nei suoi primi anni romani, quando dipende ancora dalla “carità” paternalista degli abolizionisti, e la vediamo, anni dopo, sicura di sé nel suo atelier, con alle sue dipendenze maestranze italiane. Ed eccole le sue sculture in marmo bianco: il bellissimo Forever Free, raffigurante uno schiavo che rompe le catene della sua oppressione, il nostalgico (per l’ormai perduto mondo dei nativi americani) Il matrimonio di Hiawatha, una Agar contemplativa, una Cleopatra dormiente, o morente, sulla poltrona del suo automartirio; gusto classico, dove Edmonia mette molto del suo vissuto nascosto tra le righe. La sua opera però non riesce sempre a trovare delle sedi appropriate: Luisa Cetti, con la sua prosa scorrevole, sa farci capire quanta difficoltà potevano incontrare delle opere come quelle di Edmonia Lewis a trovare un collocamento; ora le sue si trovano nei maggiori musei statunitensi, dallo Smithsonian American Art Museum al Montgomery Museum of Fine Arts.

Ma, per fare l’esempio della sua opera La morte di Cleopatra, portata all’esposizione universale di Filadelfia del 1876, il successo non sempre si accompagnava con un guadagno reale: Cleopatra avrà un successo clamoroso di pubblico e attirerà l’attenzione pure all’Interstate Industrial Exposition di Chicago di due anni dopo; nonostante il successo l’opera rimane invenduta, ed Edmonia non la riporta con sé a Roma, ma la lascia in un magazzino a Chicago. Da lì la statua vive una serie di vicissitudini che la vedono prima esposta in un saloon, poi trasformata in improbabile monumento funebre di John Condon, re delle scommesse sui cavalli. Soltanto nel 1995, ci racconta l’autrice, lo Smithsonian American Art Museum di Washington acquisisce la scultura, la restaura e la espone al pubblico come doveva essere fatto fin dall’inizio.

Le vicissitudini erano all’ordine del giorno per Edmonia. Lei ha sempre lottato per essere un’artista. Il suo essere nera portava intorno a lei molta curiosità, ma in lei c’era la ferrea volontà (molto contemporanea) di essere un’artista a tutto tondo e non essere un’artista nera, considerata solo per il suo colore e quindi di fatto inferiorizzata da una visione paternalista del suo lavoro. Aveva grinta Edmonia. E Luisa Cetti ricostruisce la figura di questa donna attraverso un gioco di specchi, riportando anche le male parole di chi la invidiava o di chi come lo scrittore Henry James la ridicolizzava e non la considerava degna per il  colore della sua pelle.

Nel 1876, dopo 20 anni a Roma, incontrerà proprio in città il grande intellettuale afroamericano Frederick Douglass e anche lì con i pochi elementi a disposizione Luisa Cetti riesce a ricostruire una giornata memorabile, dove due afroamericani riescono di fatto a incontrarsi in un territorio per loro libero dai soprusi come Roma.

Non morirà nella Città Eterna Edmonia Lewis, ma a Londra. Negli ultimi anni lascia infatti la Città Eterna. Ma è di Roma che si sentirà sempre parte attiva. Non a caso nell’iscrizione funebre (uscita sul Tablet) viene indicato come luogo di origine Roma ed esattamente Via Gregoriana 7, non gli Stati Uniti D’America che per Edmonia ormai sono un mondo alieno. Roma di fatto è la sua R(h)ome, la sua casa, lì dove il suo spirito è fiorito. Di lei ci sono rimaste oltre le opere alcune fotografie dove indossa una gonna amplia non voluminosa, fatta di panneggi, arricciature e balze di tessuto plissetato (come ben ci descrive Luisa Cetti). Guardiamo la foto, sfogliamo il libro e capiamo che nonostante le difficoltà se lo vogliamo possiamo anche noi essere Forever Free come Edmonia. Luisa Cetti ricostruendo questa figura di fatto ha restituito in italiano, lingua che Edmonia parlava fluentemente, una donna che va annoverata tra le più interessanti figure della storia dell’arte. Una donna che ha saputo superare le barriere del colore e del sesso per poter essere solo se stessa, solo Edmonia, solo un’artista.

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