Una biografia dedicata a Edward Garnett (1868-1937), scrittore, editor, critico, consulente editoriale e talent scout (tra gli altri, di D.H. Lawrence e Joseph Conrad). Ecco perché fu una delle figure più influenti della letteratura del secolo scorso

La storia dei libri è spesso la storia delle persone che, materialmente, li fanno. Gli scrittori, certo, ma anche tutta la rete di professionisti che vi ruotano intorno. Edward Garnett (1868-1937), scrittore, editor, critico, consulente editoriale (prima che questo ruolo esistesse) era un nodo così centrale che la sua vita suona come la storia di un’intera cultura. Di questa storia si occupa Helen Smith che in The Uncommon Reader: A life of Edward Garnett (Jonathan Cape, 2017) ricostruisce come Garnett sia diventato una delle figure più influenti della letteratura del secolo scorso.

Per un cinquantennio, matita blu alla mano, sfogliò una gargantuesca pila di 400 – 500 manoscritti l’anno, per alcune tra le case editrici più importanti di Londra (T. Fisher Unwin, Duckworth & co., Jonathan Cape) scovando autori che oggi consideriamo come dei giganti. Joseph Conrad, per esempio. Garnett, ventenne, nel 1894 lesse il primo romanzo (La follia di Almayer, 1895) di quello che allora era un marinaio polacco neanche in grado di esprimersi perfettamente in inglese (la sua terza lingua); ma ne intuì il talento, incoraggiandolo a scrivere storie marittime. Si comportava da mentore, padre, protettore, promoter: lavorava sui libri, tanto quanto sugli autori. Secondo Henry Green era capace di “vedere nella tua opera quello che neanche nei tuoi sogni ti saresti mai immaginato di poter affermare”.
L’autore di Cuore di Tenebra aveva già girato il mondo – coinvolto nel commercio di armi, in cospirazioni politiche – ma era pieno di dubbi sulle sue capacità e aveva costantemente bisogno di rassicurazioni. Conrad si convinse che fu grazie a lui se “diventò un autore”.

Edward Garnett

Nato tra i libri (del padre, Richard, scrittore e bibliotecario al British Museum, si dice parlasse in prosa: con le virgole e i punti ben visibili), Garnett lasciò presto gli studi e coltivò il suo fiuto leggendo voracemente. Molto si deve anche a Costance Black, la moglie, che dopo aver imparato il russo – grazie all’amante, l’esule anarchico Richard Spitniak, ma questa è un’altra storia – tradusse più di settanta romanzi tra cui Cechov, Tolstoj, Turgenev. E così importò la letteratura russa nel mondo anglosassone.

Conrad, che i russi li odiava, lo chiamava scherzando “ambasciatore Russo [sic] della Repubblica delle Lettere”. Ma è proprio grazie all’esempio del romanzo russo che Garnett privilegiò i romanzieri; e tra di loro chi riusciva a suggerire l’intangibile dal concreto e tracciare attraverso i dettagli la profondità di una situazione. Da qui anche la sua passione per libri poco ortodossi e il credito accordato ai primi modernisti. Quanto ammirava in D.H. Lawrence, di cui fece pubblicare Figli e amanti (1913), il suo primo capolavoro, ma non prima di averlo tagliato di un decimo. Tra di loro i rapporti erano più che professionali; Garnett convinse Lawrence del suo talento e ne indirizzò la carriera, ma lo aiutò anche nel suo rapporto con Frieda Weekley, poi – per l’appunto – Frieda Lawrence. E anche a lei dovette piacere se pensava Garnett fosse “la levatrice” del genio letterario del marito.

Certo, prese anche degli abbagli: rifiutò il Ritratto di Joyce (motivo cui Ezra Pound gli augurava nientemeno che l’estinzione), ma la sua attenzione fu destinata ad autori come T.E. Lawrence, Virginia Woolf (ne consigliò La crociera), Edward Thomas o Ford Maddox Ford (che scrisse a quattro mani con Conrad). Verrebbe da pensare all’effetto farfalla per misurare l’effetto-Garnett: che ne sarebbe di Hemingway senza l’influsso di Conrad? E senza L’amante di Lady Chatterley? E.M. Forster taglia corto: “Ha fatto più di tutti per scoprire e incoraggiare il genio degli scrittori”.

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