Dopo anni di silenzio, Violetta Bellocchio torna sulla scena letteraria con “Electra”, un romanzo che rappresenta un’immersione nella realtà vissuta dall’autrice, esplorando temi come la fuga, l’identità e la rinascita. Durante il lockdown, ha scelto di sparire, abbandonando Milano, una città da lei definita “spietata, sempre più pericolosa, sempre più costosa”, per ricostruirsi sotto un nuovo nome, Barbara Genova: “La fuga è stata un modo per riappropriarmi di me stessa”. “Electra” non è solo una riflessione sul trauma e sul cambiamento, ma anche un elogio della scrittura come strumento di benessere: “Scrivere mi rende più lucida. Solo quando ‘faccio’ sono felice. Essere Barbara mi ha fatto capire che, prima, qualcosa non andava. Le ansie, il malessere… non era normale. Con lei ho riscoperto l’entusiasmo di vedere il mio nome su un libro, un’emozione che Violetta aveva smarrito. Mi sono sentita libera. La noia è ciò che mi spaventa: è nella noia che nascono i mostri…”, racconta l’autrice, incontrata da ilLibraio.it
Dopo un lungo periodo di silenzio, in cui sembrava essere sparita senza lasciare traccia, Violetta Bellocchio (nella foto di Claudia Cosentino, ndr) torna con un nuovo romanzo, Electra, pubblicato da Il Saggiatore.
Sono trascorsi sei anni da La festa nera (Chiarelettere), il suo romanzo distopico e apocalittico che raccontava le vicende di tre giovani documentaristi in un mondo ormai alla deriva. Ma Electra non è una distopia. Electra è la realtà, o perlomeno, la realtà così come l’autrice racconta di averla vissuta.
“Potremmo definirlo un memoir, una biografia, o non-fiction letteraria“, dichiara Bellocchio, incontrata a Milano da ilLibraio.it a pochi giorni dal ritorno in libreria. “Le etichette servono per orientare i lettori, ma ciò che ho fatto è mettere i fatti reali al servizio di una narrazione più ampia. L’autofiction è un genere ibrido: ti permette di svelarti ma, contemporaneamente, di proteggerti, di nasconderti”. E anche Bellocchio si è nascosta, per molto tempo. Un nuovo nome, una nuova identità. Di questo parla il suo libro.
Durante il lockdown, l’autrice ha compiuto un gesto che molti sognano ma pochi hanno il coraggio di fare: sparire, tagliare i ponti con il passato e iniziare una nuova vita: “No, non ho aperto un chiringuito a Ibiza“, scherza. “La mia fuga è stata diversa. Ho chiuso con tutto, pronta a ricominciare da capo. Mi sono detta: qualcosa farò. E qualcosa ho fatto. Ho ritrovato me stessa, ho riscoperto la facilità di vivere“.
Electra è un libro travolgente, capace di trascinarti in territori imprevisti. Il lettore non riesce a prevedere la direzione della storia: viene sorpreso, disorientato, ma si lascia trasportare dalla narrazione, guidato da una voce – una voce “di fumo e di miele” – che è la vera protagonista dell’opera. Alla fine, si riemerge con una nuova consapevolezza.
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Il libro si apre con un lungo racconto, crudo e diretto: un episodio di violenza subito dalla narratrice. Milano, centro città. Una zona animata, popolata di studenti che affollano bar, librerie e locali, mentre pizzerie e creperie restano aperte fino a tarda notte. Ma in una serata qualunque, tranquilla e tiepida, un uomo incappucciato aggredisce e abusa di una donna.
La violenza si trasforma in parole: prima quelle urlate per chiedere aiuto a due sconosciuti, poi quelle rivolte alla polizia, al centro antiviolenza, agli amici. Infine, le parole che la protagonista rivolge a se stessa, ripercorrendo l’accaduto, interrogandosi su chi possa averle fatto del male, su quali nemici possa avere. La mente si contorce in pensieri ossessivi, avvolta in una spirale di dubbi e paure. Lei è una donna nota, bella, ammirata e desiderata, una di quelle che vengono fermate per strada, corteggiate con lettere, osservate da lontano. E in quel mondo fatto di sguardi e attenzioni, l’unica via di fuga è, appunto, la fuga stessa.
“La fuga è stata un modo per ritrovare la gioia di scrivere“. Bellocchio lascia Milano, città che descrive come “spietata, sempre più pericolosa, sempre più costosa“, e decide di scomparire. È il periodo culmine della pandemia di Covid-19, un momento in cui molti si ritirano, si chiudono in casa e in se stessi. Per alcuni di loro, la scrittura diventa uno sfogo e una terapia: “Per me no. La terapia è terapia, la scrittura è scrittura. Non mi ritrovo nell’idea di una scrittura che possa salvare. Ma, per me, scrivere – produrre – è un motore di benessere, mi rende più lucida“.
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Così Bellocchio si trasferisce in una città dell’Europa centrale, getta via i vecchi abiti, interrompe ogni rapporto e rinasce come Barbara Genova. Un alter ego, certo, ma anche una parte autentica di sé. Il suo non è un cambiamento radicale, ma un ritorno all’essenza: essere, finalmente, chi è veramente: “Barbara mi ha permesso di scrivere tanto, di creare. Solo quando ‘faccio’ sono felice. Essere lei mi ha fatto capire che, prima, qualcosa non andava. Le ansie, il malessere… non era normale. Con Barbara ho riscoperto l’entusiasmo di vedere il mio nome su un libro, un’emozione che Violetta aveva smarrito. Mi sono sentita libera. La noia è ciò che mi spaventa: è nella noia che nascono i mostri“.

Scrittrice, traduttrice e giornalista, Violetta Bellocchio (nella foto di Valentina Vasi) è l’autrice del memoir Il corpo non dimentica (Mondadori, 2014). Ha fatto parte di L’età della febbre (minimum fax, 2015) e di un’altra antologia, Ma il mondo, non era di tutti? (Marcos y Marcos, 2016), curata da Paolo Nori. A sua volta ha curato l’antologia di nonfiction Quello che hai amato (Utet, 2015). Ha pubblicato Mi chiamo Sara, vuol dire principessa (Marsilio) e, nella collana Altrove di Chiarelettere, La festa nera. Qui i suoi articoli per ilLibraio.it
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Lo pseudonimo è stato per Bellocchio un mezzo per esprimere la propria creatività senza il peso delle aspettative. Ma ora, tornare significa esporsi nuovamente a quel mondo che aveva lasciato. “Sono felice di presentare il libro, ma credo che ogni opera meriti una promozione su misura. Non tutto va bene per tutti. Bisogna saper fermarsi quando necessario. In passato, certi ambienti sociali mi svuotavano“.
E ora, con il tour di presentazioni alle porte, Bellocchio si prepara a rientrare in quel “giro” da cui era fuggita. Paura delle reazioni? “Chi vuole riabbracciarmi, lo farà. Io non ho abbandonato nessuno”.
Riuscirà a sparire di nuovo? “Non credo, ma chissà… magari potrei ricominciare a scrivere sotto pseudonimo”. In un’epoca in cui l’identità si riduce a brand e la visibilità diventa una forma di sopravvivenza, dove l’imperativo è “esserci” a tutti i costi, al di là della fatica o del significato, Electra lancia un messaggio che risuona con una potenza rara: a volte, per ritrovarsi davvero, è necessario lasciarsi alle spalle il proprio nome e sparire. Solo così si può tornare a vivere, liberi da ciò che gli altri si aspettano, finalmente fedeli a ciò che siamo.
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