“Kaddish.com” vede ancora una volta protagonista l’umorismo funambolico tipico di Nathan Englander. L’autore separa la religione dalla religiosità, e a colpire è la dolcezza quasi spudorata del dolore del figlio per un padre “che ha visto la sua vera natura, amando Larry esattamente per quello che era”. Ciò che tormenta il protagonista, in fondo, non è il senso di colpa ma l’amore – L’approfondimento

È il 1999 e Larry, ragazzo debosciato di una famiglia ebrea ultraortodossa, vola da Brooklyn a Memphis per celebrare la shivah, i sette giorni di lutto prescritti per la morte del padre durante i quali ci si riunisce nella casa del defunto (in questa caso della figlia, la sorella di Larry) e si ricevono i visitatori per le condoglianze.

Dopo lo shivah c’è il Kaddish, la preghiera per elevare l’anima del defunto che il figlio maschio, solo lui, deve recitare ogni giorno per undici mesi alla presenza di un minian di almeno dieci maschi ebrei.

Larry, che non crede né alla preghiera né alla vita ultraterrena dell’anima, avrà l’interesse e la costanza di farlo? La sorella dice no, ritenendolo inadeguato. Lui, quasi per ripicca, accetta di recitare il Kaddish del lutto.

Qui s’innesta l’umorismo funambolico tipico di Nathan Englander perché Larry, tra veglie notturne e incursioni nel porno online, trova su Google il sito kaddish.com (da cui prende il nome il libro pubblicato da Einaudi e tradotto da Silvia Pareschi) che offre la possibilità di “affittare” uno studioso della Torah che da Gerusalemme preghi al posto tuo. Larry ci pensa su e tira fuori la carta di credito. Il sito, peraltro, esiste davvero, con 250 dollari porti a casa il pacchetto completo, ed è stato aperto sei mesi dopo l’uscita del libro negli Usa.

englander einaudi

Vent’anni dopo Larry non “esiste” più. Si è convertito, è diventato rabbino e si fa chiamare Shuli, ha una moglie e due figli e abita nella Brooklyn ortodossa. È un ebreo zelante, ma della sua conversione non sappiamo nulla, liquidata da Englander – altro particolare intrigante – in due righe.

Eppure, andando avanti, si scopre che è proprio questa conversione a condizionare la vita successiva di Shuli. Che sprofonda in un senso di colpa terribile (dai film di Woody Allen sappiamo benissimo quanto possa essere assillante il senso di colpa per un ebreo), e si mette alla ricerca dell’uomo che ha pregato al posto suo salvando l’anima del padre defunto. Tenta online, invano, e poi vola a Gerusalemme dove approda nel quartiere di Nachlaot, la cui descrizione è una delle cose più belle di questo romanzo. Alla fine Shuli, sul quale incombe, oltre al giudizio degli uomini, anche l’inesorabile giustizia divina per aver ceduto a terzi la responsabilità della primogenitura, troverà una soluzione pazza e un po’ disperata volgendo l’errore (per Shuli lo è ed è quasi irreparabile) in giustizia, il peccato in grazia, la scelleratezza in provvidenza.

Englander, cresciuto in una famiglia ortodossa di Long Island anche se lui si dichiara ateo, con il suo stile sornione separa la religione dalla religiosità, descrivendo l’esperienza del sacro come costitutiva dell’uomo, soprattutto quando si trova di fronte al limite, e non come una sorta di sovra-struttura che fa da tampone, con il suo potere consolatorio, all’angoscia esistenziale. Non a caso fa dire  a Gavriel, l’uomo che cerca di aiutare Shuli nella sua ricerca, che “è questo che fanno i riti. Creano un legame nel tempo che ci protegge dal caos“.

Al contempo, l’autore sembra diffidare della religione, incarnata dalla sorella di Larry, intesa come una difesa dell’uomo dal divino considerato pericoloso e che quindi va placato, almeno finché la prassi del sacrificio non viene sospesa da Dio stesso innescando una rivoluzione.

Un altro aspetto è la conversione di Larry su cui Englander non spreca più di due righe, cogliendo la verità di ogni conversione che, quando è autentica, è sempre violenta e totalizzante. Per ogni convertito, infatti, il “prima” non ha alcuna importanza, si riduce a una riga nella propria biografia, perché abbraccia il nuovo con un impeto e, talvolta, un senso di colpa per aver “perso tempo” prima. “Tardi ti amai, bellezza sempre antica e sempre nuova”, esclama, non a caso, Agostino nelle Confessioni.

Ma la cosa più sorprendente e commovente di Kaddish.com è la dolcezza quasi spudorata del dolore del figlio per un padre “che ha visto la sua vera natura, amando Larry esattamente per quello che era”. Ciò che tormenta Larry, in fondo, non è il senso di colpa ma l’amore. Ed è proprio lo scandalo dell’amore che gli impedisce di perdonare se stesso.

Ecco, e se Larry-Shuli fosse proprio Englander?

 

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