“Magra o grassa, naturale o rifatta, tatuata o meno, comunque non c’è un modo per far sì che l’aspetto delle donne passi in secondo piano rispetto al resto”. Sui social e sui media si parla tanto di femminismo e di body positivity (di cui la moda e la pubblicità tendono ad appropriarsi), e le polemiche non mancano. Su ilLibraio.it la riflessione di Ilenia Zodiaco, secondo cui “non esiste un approccio univoco che vada bene per tutti quando si tratta di accettazione del sé. Il clima da tifoseria sul corpo delle donne è quanto ci sia di più distante da una efficace lotta per la libertà”

È indubbio che i social media hanno dato slancio al movimento femminista o, quanto meno, ne hanno rinvigorito la portata, estendendo su più fronti il dibattito.

Le donne hanno fatto ricorso ai social per denunciare reati sessuali, ambienti di lavoro sessisti e trattamenti ingiusti. Mai come adesso possiamo rivolgerci in maniera diretta a politici, aziende e leader per richiamarli sui loro errori e far notare le loro mancanze riguardo il raggiungimento dell’uguaglianza di genere. C’è un maggior senso di responsabilità sulle affermazioni che si fanno o sugli ideali da promuovere, specialmente nella pubblicità. Ma c’è ancora molta strada da fare.

Unirsi online contro la disuguaglianza ha portato alla ribalta campagne come #HeForShe, #ImWithHer e, soprattutto, #MeToo, un fenomeno scatenatosi dallo scandalo di Harvey Weinstein, ma estesosi rapidamente, includendo migliaia di racconti di aggressioni subite da donne. Chi si è fatto avanti condividendo la propria denuncia ha contribuito a normalizzare la conversazione sulle molestie sessuali, che è sempre stata un tabù. Gli hashtag, però, non sono sempre degli strumenti che portano a reali cambiamenti sociali. È il caso di citare un’altra controversa lotta femminista che ha trovato molto spazio sui social media: il cosiddetto body positivity.

Alla base del movimento vi è l’idea di accettare se stessi e il proprio corpo, denunciando al contempo la pressione psicologica che spinge le donne ad adeguarsi a degli standard di bellezza e magrezza insostenibili. Non essere giudicati per il proprio peso è sicuramente un messaggio positivo e femminista, visto che smarca le donne dalla continua oggettivazione a cui i loro corpi sono da sempre sottoposti. Quante volte vi siete sentite in colpa per i vostri chili di troppo anche in una situazione in cui il vostro aspetto non avrebbe dovuto contare?

Eppure, l’evoluzione della discussione sul corpo femminile sui social network è ben lontana dalla positività che tanto viene decantata. Anche nella cornice del body positivity, raramente il corpo delle donne è un oggetto neutrale di discussione, specialmente se paragonato alle conversazioni sul corpo maschile. È vero, sui social, molto più che nei media tradizionali, la rappresentazione della bellezza si è ampliata, includendo donne con forme e pesi diversi. Il mondo curvy in particolare si è saputo inserire in questo dibattito, diventando la testa d’ariete del body positivity e non senza polemiche. Infatti il termine stesso è stato accusato di veicolare messaggi sbagliati e di promuovere patologie dannose per la salute, come l’obesità.

Nonostante tutto, quindi, non è stato affatto disinnescato il meccanismo per cui il corpo femminile è oggetto di discussione, terreno comune di disquisizioni, sempre sulla sedia degli imputati. Magra o grassa, naturale o rifatta, tatuata o meno, comunque non c’è un modo per far sì che l’aspetto delle donne passi in secondo piano rispetto al resto. Il fatto stesso che abbiamo così bisogno di modelli a cui ispirarci – che siano skinny o curvy – marca ancora di più la portata del nostro disagio: cambiare o mantenere il proprio aspetto per le donne è un lavoro a tempo pieno. Un lavoro per cui non solo non veniamo pagate ma che anzi è dispendioso – quanti prodotti usate per la vostra skincare? Quanti di questi dieci anni fa non esistevano sul mercato? – e per cui non ci sono né ferie né permessi e soprattutto pensione. Invecchiare è vietato e se provate a trascurare i vostri doveri da insoddisfatta cronica, verrete severamente rimbrottate dalla società tutta. Che voi abbiate abbracciato o meno la filosofia del body positivity, non verrete risparmiate sia offline sia online: la possibilità di commentare in maniera cattiva la forma fisica delle donne non è mai stata così accessibile come oggi su Instagram. Siamo ancora vittime della scelta dell’ideale, siamo schiavi del perfezionismo, anche quando si parla di accettazione dei propri difetti.

Prima di tutto il body positivity non dovrebbe significare avere degli standard di corpi belli e sani né di trovare il corpo più giusto per tutte. Anzi, dovrebbe essere proprio il rifiuto dello standard. Non si tratta di scegliere a che modello adeguarsi: magra, curvy, fit. Si tratta proprio di rifiutarsi di entrare a forza in una categoria solo perché i corpi delle donne sono dieci volte più disciplinati di quelli maschili. C’è un’ossessione per l’adeguamento al mito della bellezza.

Ancora sui social network le discussioni predominanti sul femminismo riguardano l’aspetto delle donne. Cos’è più femminista? Essere depilate o no? Avere le smagliature o no? Essere a dieta o no? Il punto è proprio smarcarsi da queste logiche. Ma ancora non abbiamo la forza e la libertà di farlo. Ancora il mercato non si può permettere di farci uscire da questa impasse. E come potrebbe con i suoi continui stimoli a farci comprare prodotti sovrapprezzati soltanto perché destinati al consumo femminile (la pink tax dovrebbe essere uno dei primi argomenti di discussione), con il suo ipersaturo mercato del beauty e dei prodotti dimagranti? Quindi anche il body positivity diventa pubblicità, branding, un modo per le aziende di moda di ripulirsi l’immagine e di sembrare più inclusive e corrette, un modo per dire “stiamo facendo qualcosa di buono”, anche se per loro questo richiede il minimo sforzo. Sarebbe più utile impegnarsi anche a fornire ai cittadini documenti trasparenti sulle condizioni di lavoro delle loro lavoratrici tessili e sulla loro filiera produttiva.

Probabilmente accettare il proprio corpo non è così semplice da realizzare grazie a uno slogan. Non solo per le nostre debolezze psicologiche ma anche per i messaggi a cui siamo sottoposti quotidianamente. Le donne sono ossessionate da un lato da comunicazioni che rinforzano le nostre insicurezze e che ci spingono a cercare nuovi modi (sempre più costosi) per cambiare e migliorare il nostro aspetto; dall’altro comunicazioni che ci fanno credere che amare il proprio corpo (anche in presenza di patologie) sia facile come schioccare le dita. Non esiste un approccio univoco che vada bene per tutti quando si tratta di accettazione del sé e di femminismo. Il clima da tifoseria sul corpo delle donne è quanto ci sia di più distante da una efficace lotta per la libertà.

L’AUTRICE – Qui tutti gli articoli e le recensioni di Ilenia Zodiaco per ilLibraio.it

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