Omar Di Monopoli, in libreria con “Nella perfida terra di Dio”, ci parla di un romanzo cult, “La festa del raccolto” di Thomas Tryon, mirabile esempio di letteratura gotica – Torna su ilLibraio.it la rubrica #LettureIndimenticabili

Un piccolo borgo agricolo sperso in mezzo al fittume dei boschi e all’ampiezza sconfinata dei campi di grano, legami con il resto del mondo ridotti praticamente allo zero, antichi cerchi di pietre in spettrali radure affossate nella vegetazione, una serie di eventi enigmatici e via via sempre più minacciosi, un probabile culto esoterico volto a perpetrare il male nel corso dei secoli… no, per quanto la trama gli somigli parecchio non sto parlando di Grano rosso sangue (sciatto horror paratelevisivo diretto dal regista Fritz Kiersch nel 1984) tratto da una short-story di Stephen King intitolata A child of corn, ma del romanzo cui il Re del terrore deliberatamente si ispirò (plagiandone, a ben guardare, più di una buona fetta), in Italia pubblicato nei tardi Sessanta col titolo La festa del raccolto (Harvest Home è invece il titolo originale).

Il suo autore, Thomas Tryon, era un attore appartenente alla rinomata scuderia Disney che dopo aver partecipato a classici della fantascienza come Ho sposato un mostro venuto dallo spazio raggiunse il culmine della sua carriera con la nomination per il Golden Globe per Il cardinale di Otto Preminger. Paradossalmente, a tale vetta professionale coincise anche il suo definitivo abbandono delle scene in qualità d’interprete: per tutta la lavorazione della pellicola il virgulto attore nativo del Connecticut dovette infatti subire la violenza psicologica e le umiliazioni del regista, che arrivò a licenziarlo in tronco proprio il giorno in cui i suoi genitori erano venuti a fargli visita sul set. Terminate le riprese, Tryon decise pertanto di lasciarsi alle spalle lo scintillante mondo del cinema dedicandosi a tempo pieno alla scrittura (riuscendo tra l’altro a farne una professione di grande successo, al punto che da uno dei suoi libri, Fedora, il geniale Billy Wilder seppe trarre una pellicola di ottima fattura).

Ma il suo romanzo di maggiore popolarità resta comunque La festa del raccolto, per l’appunto, ed è un mirabile esempio di letteratura gotica che tiene ben saldo il lettore allo sviluppo della trama, evocando con efficacia quei fantasmi di ancestrali credenze che sono da sempre il cemento della vita di provincia (americana e non).

La storia s’impernia tutta sulle vicende di una giovane coppia di pubblicitari con figlia adolescente al seguito che, stanca della vita caotica di New York, decide di trasferirsi in una minuta comunità rurale del New England, all’apparenza idilliaca ma che in seguito – come da manuale in questi casi – non tarderà a mostrare il suo lato oscuro.

L’autore è davvero abile a inchiodare chi legge al suo solidissimo impianto narrativo accompagnandolo per uno srotolarsi di fatti che trasudano sano mistero fin dalle prime battute. Si prende il suo tempo, Tryon, snocciolando senza fretta lo scandire delle giornate del piccolo villaggio, tutte incentrate sulla raccolta del frumento e sul culto dai risvolti sottilmente pagani che sembrano avvolgerne la cadenza, e anche il lettore più scafato dovrà rassegnarsi a pazientare assaporando la lentezza della vita bucolica assieme ai tre protagonisti, che acquistano dapprima casa e poi la ristrutturano venendo accolti con calore dagli abitanti del villaggio. Nel corso dei giorni tuttavia il capofamiglia comincia a notare alcuni cambiamenti nel comportamento della moglie e della figlia nonché nel resto dei bifolchi residenti, che paiono seguire senza alcuna opposizione i consigli di un personaggio dal fascino austero ed inquietante: la vedova Fortune. Poi, quasi a tradimento, il ritmo degli eventi accelera di botto. E allora anche i dettagli più banali e i personaggi all’apparenza più innocui si rivelano parte di un mosaico spaventoso: che il male serpeggiasse sotterraneo nelle maglie della storia era chiaro sin dalle prime pagine ma all’improvviso zampilla rigoglioso travolgendo ogni frammento della narrazione. Tryon pesta sul pedale dell’efferatezza sempre più energicamente sino a spingerti a cento all’ora sul finale (ovviamente tutto da scoprire) come in un turbinio carnevalesco, una ridda coribantica che mescola con sagacia e mestiere follia, erotismo e morte.

Edizione non facilmente reperibile in italiano (il libro non viene ristampato nel Belpaese da almeno un trentennio) ma assolutamente seminale, è uno di quei volumi che gli amanti di quel particolare sottofilone della grande letteratura a stelle e strisce che viene convenzionalmente definita southern-gothic dovrebbero sforzarsi di rintracciare, magari setacciando le biblioteche pubbliche o i mercatini di libri usati. (Per i più volenterosi, su YouTube è comunque reperibile la miniserie TV integrale che Leo Penn – padre di Sean – trasse dal libro con una sempre grande Bette Davis, trasmessa nel 1978).

LA RUBRICA – Letture impossibili da dimenticare, rivelatrici, appassionanti.Libri che giocano un ruolo importante nelle nostre vite, letti durante l’adolescenza, o da adulti. Romanzi, saggi, raccolte di poesie, classici, anche testi poco conosciuti, in cui ci si è imbattuti a un certo punto dell’esistenza, magari per caso. Letture che, perché no, ci hanno fatto scoprire un’autrice o un autore, di ieri o di oggi.
Ispirandoci a una rubrica estiva del Guardian, A book that changed me, rifacendosi anche al volume curato da Romano Montroni per Longanesi, I libri ti cambiano la vita. Cento scrittori raccontano cento capolavori, abbiamo pensato di proporre a scrittori, saggisti, editori, editor, traduttori, librai, bibliotecari, critici letterari, ma anche a personaggi della cultura, della scienza, dello spettacolo, dell’arte, dell’economia, della scuola, di raccontare un libro a cui sono particolarmente legati. Un’occasione per condividere con altri lettori un momento speciale.

omar di monopoli

L’AUTORE E IL SUO NUOVO ROMANZO – Da tempo, al nome di Omar Di Monopoli ne sono stati accostati alcuni altri di un certo peso: da Sam Peckinpah a Quentin Tarantino, da William Faulkner a Flannery O’Connor. Per le sue storie sono state create inedite categorie critiche: si è parlato di western pugliese, di verismo immaginifico, di neorealismo in versione splatter. Nonché, com’è ovvio, di noir mediterraneo.

Nella perfida terra di Dio (Adelphi), il suo nuovo romanzo dopo quelli pubblicati da Isbn edizioni (Uomini e cani, Ferro e fuoco, Aspettati l’inferno, La legge di Fonzi), conferma il talento dello scrittore salentino, che racconta una vicenda gremita di eventi e personaggi (un vecchio pescatore riciclatosi in profeta, santone e taumaturgo dopo una visione apocalittica, un malavitoso in cerca di vendetta, due ragazzini, i suoi figli, che odiano il padre perché convinti che sia stato lui a uccidere la madre, una badessa rapace votata soprattutto ad affari loschi, alcuni boss dediti al traffico di stupefacenti e di rifiuti tossici, due donne segnate da un destino tragico, e sullo sfondo un coro di paesani, di scagnozzi, di monache), e riesce a congegnare sequenze forti, grottesche e truculente in un impasto di dialetto e italiano letterario, facendo diventare la lingua una protagonista del libro.

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