Prodotta da Cattleya in collaborazione con il gruppo comico dei The Jackal, e composta da otto episodi di mezz’ora ciascuno, “Generazione 56K” (disponibile su Netflix) è ambientata tra Procida e Napoli, tra la fine degli anni Novanta e i nostri giorni, e ci ricorda cosa vuol dire vivere in mezzo agli altri proprio adesso che rischiavamo di dimenticarlo…

Il 2021 è l’anno in cui Google inaugurerà un nuovo algoritmo molto più potente di quello attuale. Si chiamerà MUM e sarà capace di aiutarci a incrociare dati elaborati e prendere scelte complicate. È anche l’anno in cui le app di dating hanno registrato un significativo aumento nel tempo passato a interagire in chat, anziché lontano dallo smartphone a scoprire come andrà un appuntamento, ed è quello in cui Amazon ha comprato Metro-Goldwyn-Mayer per concorrere con le altre piattaforme di streaming (per citare solo una fra le notizie più eclatanti sul tema).

Locandina di Generazione 56K

Certo, la pandemia ha contributo ad accelerare alcune tendenze, però è vero che il nostro rapporto con la tecnologia e con il resto dell’umanità stava già cambiando prima di marzo 2020. Per questo, probabilmente, è ancora più significativo che il 2021 sia anche l’anno in cui è arrivata su Netflix Generazione 56K, la miniserie italiana dell’estate che è già stata rinominata Hot Vax Summer.

Prodotta da Cattleya in collaborazione con il gruppo comico dei The Jackal, e composta da otto episodi di mezz’ora ciascuno, Generazione 56K è ambientata tra Procida e Napoli, tra la fine degli anni Novanta e i nostri giorni, e ci ricorda cosa vuol dire vivere davvero in mezzo agli altri proprio adesso che rischiavamo di dimenticarlo.

La serie, infatti, è ben cosciente del suo pubblico: non una generazione di nostalgici disillusi, bensì di persone cresciute troppo in fretta, in modi inediti e spesso deludenti, quando internet era ancora un mistero e una videocassetta porno non restituita al bullo filocamorrista della scuola rischiava di finire in un annegamento di gruppo.

La stessa generazione che ha visto padri partiti per lavoro non tornare più, o amanti sbucare da ogni parte come se non servissero ulteriori spiegazioni. Quella che ascoltava solo musica in inglese o degli 883, che non aveva i soldi per andare a un concerto e che raccoglieva gli spiccioli ricavati dallo spaccio di floppy disk.

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La generazione che, tuttora, si sente in imbarazzo a parlare con qualcuno al primo appuntamento e preferisce scrivere online per settimane. La generazione che si sposa secondo le tradizioni di una volta, ma che poi fa una megafesta di divorzio con spogliarellisti e decine di vibratori in regalo inclusi, perché sotto sotto è fragile, ferita, insicura.

La generazione di quei millennials che fra qualche mese potranno chiedere a un motore di ricerca quali scarpe usare per un’escursione in montagna, ma che non sapranno liberarsi dei vecchi amori e porteranno gli sconosciuti nella villa dell’ex e della nuova compagna, perché vedano che la rottura è stata elaborata eccome.

Questa rappresentazione del loro mondo ha il coraggio di prendere per mano una generazione cresciuta con il modem a 56K, e di farlo senza effetti speciali (nonostante i videogiochi e i film di fantascienza sullo sfondo) e senza pretese di eccezionalità, al netto del lavoro di regia, scenografia e giovani comparse, di cui non si può non fare menzione.

È così che riesce a fare breccia come a suo tempo era successo al Federico Moccia di Tre metri sopra il cielo o a Notte prima degli esami (quando ancora non era un film): libri, i primi e serie tv la seconda (se vogliamo, di generi apparentemente poco affini tra loro) per persone che intanto sono cresciute, che magari non si immedesimano più in Step e Babi, o in Luca e Claudia, e che forse, però, sono diventate come Daniel (Angelo Spagnoletti) e Matilda (Cristina Cappelli), alle soglie dell’età adulta e con la paura di seguire il cuore fino in fondo.

Fra un sorriso e un pugno nello stomaco, grazie a un plot in parte classico e in parte condito dall’imprevedibilità partenopea che rende vincente qualunque commedia, i due protagonisti e la loro brillante comitiva di amici sono quindi pronti a ricordarci che siamo più complessi di qualunque algoritmo, e che le risposte alle nostre esigenze più profonde non si trovano digitando qualche lettera su una tastiera.

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