“Il giornalismo per me ha significato la vita stessa, la passione che ho vissuto fino in fondo”. Gianni Minà è uno dei più importanti giornalisti italiani, passato alla storia per celebri interviste, come quella a Maradona, e per programmi televisivi innovativi. ilLibraio.it lo ha intervistato in occasione della pubblicazione dell’autobiografico “Storia di un boxeur latino”: “Quali caratteristiche deve avere un buon giornalista? Curiosità e rispetto per il prossimo”

Gianni Minà porta sulle sue spalle una buona parte di storia del giornalismo italiano, che sia cartaceo o televisivo, d’intrattenimento o di attualità politica.

Una vita dedicata all’informazione, che celebra con Fabio Stassi nel volume autobiografico Storia di un boxeur latino (minumum fax). Una passeggiata sui viali della memoria, dall’infanzia torinese agli esordi nel giornalismo sportivo su Tuttosport, dal giornalismo politico alla conoscenza con atleti, letterati, registi e guerriglieri (l’agendina telefonica di Minà dello sketch di Massimo Troisi).

Celebre è la fotografia con Muhammad Ali, Sergio Leone, Robert De Niro e Gabriel Garcìa Màrquez, tutti a cena insieme a Roma da Checco er carrettiere, e da cui infatti prende le mosse il libro.

Minà, ottantadue anni compiuti da poco, è insomma un fuoriclasse del giornalismo, che ha dato vita a programmi che hanno rivoluzionato i palinsesti televisivi, come L’altra domenica e Blitz, e che è stato autore di molte straordinarie interviste. Quella a Maradona, per esempio, a cui era legato da un rapporto di amicizia, o quella a un personaggio carismatico e sfuggente come il subcomandante Marcos. Per non parlare dell’impresa incredibile di intervistare Fidel Castro per ben sedici ore, dalle due di pomeriggio alle cinque del mattino successivo, alla fine degli anni Ottanta. Sì, perché l’altra grande passione di Gianni Minà è il Sud America, che ha percorso con i piedi e con la mente, raccontandone la storia travagliata e le lotte (anche con la rivista Latinoamerica e la collana Continente desaparacido di Sperling & Kupfer).

Minà ripercorre con ilLibraio.it alcuni momenti salienti della sua carriera, di cui potrete godere, con una lettura che veramente sarà tutta d’un fiato, in Storia di un boxeur latino.

Cassius Clay, Gianni Minà

Minà, cosa significa, per lei, la parola “migrazione”?
“È il ricordo delle lettere che mia nonna aspettava con ansia dai suoi parenti americani. C’era il racconto di un’esistenza all’inseguimento della propria famiglia, ma anche della fatica per raggiungere una qualità di vita che in Italia era stata loro negata”.

C’è un momento della sua infanzia che ha in qualche modo “predetto” il suo futuro nel mondo dell’informazione?
“Da quando ero bambino mi appassionava ascoltare il Giro di Italia o il Tour de France alla radio. Prendevo appunti su tutti i tempi dei ciclisti e poi li portavo ai miei amici per imbastire una discussione sportiva che si protraeva fino all’ora di cena. Seguire questo sport ci aiutò a conoscere la geografia di queste due nazioni”. 

Dal suo lavoro emergono due grandi passioni: lo sport e la politica. Su che terreno si incontrano?
“Non si incontrano. Ho provato, quando ero direttore del Tuttosport, dal 1996 a metà del 1998, a far raccontare lo sport ad alcuni grandi scrittori: Osvaldo Soriano ed Eduardo Galeano per il calcio e il Sudamerica, e Mina per il pugilato. Purtroppo la mia permanenza a quel giornale fu troppo breve per capire se questo insolito innesto poteva funzionare o meno”.

gianni minà minimum fax

Nel libro racconta anche di Giovanni Pische…
“Giovanni Pische per me è stato molto più che un mentore. È stato anche un maestro di vita. Per me e per i miei compagni di Corso IV Novembre e Largo Orbassano. Non c’è stato problema o tematica che non abbiamo affrontato con lui: dal lavoro al teatro, dalla morale sportiva alle ragazze. Ci ha disegnato addosso una sorta di corazza di umanità che ci ha permesso, praticamente, di affrontare la vita con più disinvoltura”.

E Maradona?
“Maradona è stato il più grande calciatore mai nato (qualunque siano i pareri sul campione) ed è stato oggetto anche di smisurato amore da parte dei ceti popolari, e di smisurata avversione da parte di molti giornalisti”.

E poi c’è il ricordo del subcomandante Marcos…
“Mi piacque la sua conoscenza, la sua profondità, il suo modo di mettersi a disposizione delle etnie Maya del Chiapas. Alla prima intervista lo cercai io, andando ad una ‘cumbre’ degli intellettuali che si svolgeva proprio dentro la selva Lacandona. Alla seconda intervista, stavo a Città del Messico con Manuel Vazques Montalban. Mi fece cercare attraverso un bambino che mi portò un biglietto scritto di suo pugno, chiedendomi di avere pazienza e dandomi l’appuntamento per l’intervista a due giorni dopo il mio arrivo, nella notte. Io e Manolo decidemmo di condurre l’intervista insieme.

Maradona, Minà

Chi sono gli eredi delle lotte che ha raccontato?
“Chi ha cercato di tenere in piedi questa utopia si è ritirato dalla lotta. Molti sono morti. Gli eredi, ce lo insegnano i poveri, sono e saranno sempre loro”.

Nomina Enzo Biagi come esempio di un giornalismo che non si usa più.
“Mi rimane il ricordo di un uomo retto e onesto, anche rischiando di perdere un’esclusiva, come racconto nel libro. Oggi il rapporto tra colleghi è diverso, com’è diverso il modo di approcciarsi a chi deve essere intervistato: proprio perché i giornalisti oggi, evitano il rapporto umano, mediano sempre con una email o con un messaggio su Whatsapp”.

Quali caratteristiche deve avere un buon giornalista?
“Curiosità, rispetto per il prossimo; chiedersi sempre, come un mantra, se il tuo giudizio di chi hai di fronte è frutto di un pregiudizio o di uno stereotipo”.

Come si fa a conoscere in profondità un personaggio?
“Ho in parte risposto prima a questa domanda. Inevitabilmente, quando si è aperti anche al confronto, l’intervistato ti darà molto di più di quello che speri”.

E cos’ha significato, per lei, il giornalismo?
“La vita stessa, la passione che ho vissuto fino in fondo. Sacrificando anche molto”.

 

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